L’ombrello militare statunitense si chiude per scaricarne i costi sugli alleati europei e la Germania decide un massiccio piano di riarmo portando l’obiettivo della spesa annua per la Difesa al 3,5% del pil.
Ma oggi ci sono molte ragioni di politica interna, ancor più che di strategia internazionale, nel proposito di rafforzare la Bundeswehr, per renderla l’esercito convenzionale più forte d’Europa, che è stato espresso dal cancelliere tedesco Friedrich Merz sin dal suo primo intervento al Bundestag dopo aver ottenuto la fiducia il 6 maggio scorso.
È ben vero, certo, che le relazioni internazionali sono state terremotate dalla rielezione di Donald Trump, e che siamo di fronte ad una sorta di «sommovimento tettonico»: parlando qualche giorno fa al Congresso della Csu tenutosi a Monaco di Baviera, Merz ha infatti riconosciuto che la Germania, già in gravi difficoltà in quanto reduce da un decennio di stagnazione economica, deve affrontare un rivolgimento profondo, dalla fine della Pax americana come è stata conosciuta da ottant’anni a questa parte, che nasce dalla decisione di Trump di difendere con forza gli interessi strategici americani utilizzando unilateralmente lo strumento dei dazi sul commercio. Una svolta, ha sottolineato Merz, che non nasce dal nulla e che è destinata a segnare ancora per molto tempo la politica estera americana.
Non è di oggi, però, l’incrinatura dei rapporti fra gli Stati Uniti e la Germania: risale alla prima partecipazione di Trump al G7, al vertice tenutosi a Taormina nel 2017, quando il presidente americano rinfacciò alla cancelliera Angela Merkel l’insostenibile squilibrio commerciale e strategico tra le due sponde dell’Atlantico, con la Germania che si arricchiva senza sosta esportando negli Usa, approfittando del gas russo a basso costo e dell’euro svalutato dal Qe, e che per di più aveva fatto della Cina il suo migliore partner commerciale. «L’America non è più quella di una volta», ebbe a commentare amaramente Merkel, mentre il presidente francese Emmanuel Macron arrivò qualche tempo più tardi a diagnosticare per la Nato una sorta di «coma cerebrale».
La drammaticità del momento storico attuale è stata sottolineata da Merz nel suo intervento a Monaco non solo citando le parole di Max Weber, che concluse in questa città la sua carriera accademica e che aveva sostenuto come sia proprio del mestiere degli uomini politici il tenere in mano i «fili nervosi» degli avvenimenti che stanno per compiersi, ma richiamandosi all’operato dei suoi più illustri predecessori, protagonisti della grande ripresa economica della Germania dopo la Guerra e soprattutto del suo ruolo sempre più forte in Europa: da Konrad Adenauer di cui si celebrerà a febbraio il 150° anniversario della nascita, all’indimenticabile «leone della Baviera» Franz Josef Strauß, fino a Helmut Kohl che fu l’artefice della Riunificazione.
Non è casuale quindi che sia stata ricostituita la Grande Coalizione tra Cdu-Csu e Spd come ai tempi della cancelliera Merkel, che aveva guidato con polso fermo la Germania ininterrottamente dal 2005 al 2021: Merz ha posto fine alla deludente esperienza della coalizione semaforo guidata dal suo predecessore Olaf Scholz, con un governo dimostratosi incapace di riavviare il processo di crescita economica, penalizzata ad avviso di Merz dagli eccessivi costi fiscali, energetici, burocratici e del lavoro, di contrastare con fermezza la immigrazione illegale dilagante, e soprattutto colpevole di aver determinato in questo modo la forte crescita elettorale di AfD, un partito che si presenta pericolosissimo per le tendenze neo-naziste che fa affiorare di continuo.
Il nazismo, che è il vero nemico da combattere, non si rivede solo sul piano interno: e infatti Merz ha affermato che è la Russia di Vladimir Putin la grande erede del delirio di potenza che aveva caratterizzato il Terzo Reich, paragonando l’invasione russa della Ucraina nel 2022 a quella hitleriana dei Sudeti nel 1938.
Da questa situazione derivano i quattro pilastri della sua politica estera: sostenere l’Ucraina finché è necessario, difendere in ogni caso la coesione europea, cercare di preservare il più a lungo possibile sia la Nato che l’alleanza occidentale.
Le questioni di politica interna sono fondamentali per comprendere la decisione del riarmo tedesco, convalidata dal ministro della Difesa Boris Pistorius, che ha addirittura evocato la costruzione di un «muro di droni» per difendere la Germania dal pericolo russo: non è una assonanza al Muro di Berlino ma un richiamo alla churchilliana «cortina di ferro» che fu eretta dopo la Guerra a difesa della democrazia, della libertà e della pace rispetto alle minacce del comunismo sovietico. La Germania deve tornare a essere, come allora, il bastione dell’Occidente libero.
Dietro queste parole, ci sono i fatti, che per Berlino sono assai più gravi: la svolta di Trump ha messo in crisi il mercantilismo di cui la Germania è stata la più grande protagonista e beneficiaria a partire dall’entrata in circolazione dell’euro, che ne ha garantito l’arricchimento continuo. Il modello di crescita economica basata sulle esportazioni non è più proponibile, visto che l’Europa intera è piombata da tempo dalle rigorose regole fiscali, che gli Usa si difendono a suon di dazi e che la Cina riversa sui mercati quanto non riesce più ad esportare in America.
Dietro il rafforzamento dell’esercito tedesco, che comporta per il 2026 una spesa di circa 377 miliardi di euro, si celano due obiettivi: innanzitutto, c’è quello politico di rabbonire gli Usa sul piano della bilancia commerciale, importando altri 50 aerei da caccia F35 e addirittura 400 sistemi missilistici Tomahawk con una gittata di 2.500 chilometri, più che sufficiente per colpire Mosca che dista soli 1.850 chilometri da Berlino, oppure per mettere nel mirino San Pietroburgo che sta ad appena 1.700 chilometri. Questa scelta non si puó spiegare altrimenti, visto che nello stesso tempo Berlino starebbe chiedendo a Washington di togliere le sanzioni alla società russa Rosneft che fornisce il petrolio indispensabile per il funzionamento di tre centrali tedesche.
Per il resto, i finanziamenti alle industrie tedesche sono finalizzati alla costruzione di sistemi d’arma già sviluppati, in particolare carri armati e sistemi missilistici: è un keynesismo di rimessa, da economia di guerra. D’altra parte, le collaborazioni internazionali dell’industria tedesca degli armamenti stentano a realizzarsi: lo stallo recente nei colloqui tra la componente tedesca e spagnola di Airbus e la Dassault francese per la realizzazione congiunta dello Fcas, l’aereo da caccia di sesta generazione, ha probabilmente motivazioni politiche, visto che Parigi ha esigenze strategiche nucleari e non ha interesse a condividere con Berlino le sue tecnologie aeronautiche di punta.
L’industria francese è già in grado di realizzare autonomamente praticamente di tutto: dai mezzi navali di superficie e sottomarini nucleari attraverso Naval Group, a quelli aerei della Dassault che si è detta in grado di procedere da sola nel progetto Fcas, fino ai mezzi corazzati Leclerc e ai cannoni Caesar.
L’Italia, invece, si è fatta forte di ogni possibile partnership internazionale: con i francesi per il Samp/T Ng; con le intese tra Fincantieri e la tedesca Tkms per contrastare lo Scorpene Evo della francese Naval Group, nonostante abbiano sviluppato congiuntamente le fregate Fremm che rappresentano un caso di grande successo in campo internazionale; con la collaborazione con gli inglesi e i giapponesi per la realizzazione del caccia di sesta generazione Gcap, pur avendo realizzato in precedenza l’Eurofighter Thypoon attraverso una ampia compagine europea che aveva messo insieme Bae Systems, Alenia Aermacchi, DaimlerChrysler Aerospace ed Airbus Group.
La prospettiva di un forte esercito tedesco, per il momento su base volontaria e se dovesse servire attraverso il ricorso alla leva, risponde a una necessità interna inderogabile: alla Germania serve una solida motivazione sociale e ideologica non solo per difendere i valori della libertà e della democrazia quanto per combattere unita il suo vero nemico, che non è la Russia, ma il suo passato nazista che riemerge pericolosamente al suo interno. Farà di tutto, ha detto Merz, per impedire alla AfD di arrivare al potere: questa è la guerra interna che si prospetta. (riproduzione riservata)