La banca d’investimento americana Goldman Sachs ha sintetizzato la situazione in un report, Israel after the war, che delinea gli scenari macro post-bellici e vede nella fine delle ostilità «l’inizio di una possibile fase di crescita sopra le stima di lungo periodo».
Per ora la tregua resta fragile, ma le scommesse sull’accordo sono chiare: i mercati delle scommesse attribuiscono un 63% di probabilità che il cessate il fuoco regga fino a fine anno.
Dall’attacco del 7 ottobre 2023, il Paese ha perso circa il 7% di pil rispetto al trend pre-bellico. La mobilitazione di massa e la chiusura dei confini hanno prosciugato la forza lavoro, in particolare nel settore edilizio, dove i palestinesi rappresentavano quasi un terzo degli occupati.
L’inflazione, schizzata sopra il 3%, ha costretto la Banca d’Israele a mantenere una politica restrittiva e i tassi fermi al 4,5%. Inoltre, le forze armate altamente tecnologiche del Paese hanno richiesto alti costi d’utilizzo e di mantenimento (la difesa dal primo attacco missilistico iraniano, durato una sola notte, arrivò a costare oltre un miliardo di dollari).
Ora, con la smobilitazione militare e l’arrivo di nuovi lavoratori dall’Asia meridionale e sud-orientale, la banca americana prevede una decisa accelerazione del pil: +5,4% nel 2026 e +4,7% nel 2027, grazie alla ripresa di investimenti e consumi. Il recupero sarà graduale, osserva Goldman Sachs, perché servirà tempo per riallocare la manodopera dal comparto difensivo al settore privato. Ma la traiettoria è chiara: Israele si avvia a colmare gran parte del divario creato dalla guerra tra la crescita potenziale e quella effettiva.
L’allentamento delle tensioni geopolitiche e il rafforzamento dello shekel (+5% da inizio anno) dovrebbero riportare l’inflazione sotto il 2% entro metà 2026. La Banca d’Israele, che ha giustificato la stretta monetaria con l’incertezza del conflitto, potrebbe quindi inaugurare un ciclo di tagli già a novembre, allineandosi alla Fed e puntando a un tasso del 3,25% entro il 2026
Goldman Sachs intravede, oltre al rimbalzo immediato, un potenziale di crescita strutturale per l’economia israeliana. Nel medio periodo il pil potrebbe espandersi in media del 3,7% l’anno, sostenuto da due pilastri: una demografia tra le più dinamiche del mondo sviluppato (il tasso di fertilità è di 2,8 figli per donna, contro l’1,18 registrato in Italia) e un ecosistema tecnologico che resta il cuore pulsante del Paese.
Israele, che vanta la più alta concentrazione di imprese hi-tech pro capite al mondo, è infatti considerato da Goldman Sachs uno dei Paesi meglio posizionati per trarre vantaggio dall’adozione diffusa dell’intelligenza artificiale e dall’aumento di produttività che ne deriverà. (riproduzione riservata)