Investire nelle holding è come sposare la figlia del re senza dover governare il regno. Le casseforti di famiglia sono il modo elegante (e intelligente) con cui le grandi dinastie proteggono e moltiplicano la loro ricchezza. Investirci significa entrare, con discrezione, in un club esclusivo dove il rischio è spesso diluito, la visione è di lungo termine e le decisioni vengono prese con calma. Diversificazione, controllo e ottimizzazione fiscale fanno il resto. Chi esattamente un anno fa avesse investito in una delle conglomerate segnalate a suo tempo a Mf-Milano Finanza da AlphaValue si troverebbe ora a festeggiare, in alcuni casi con guadagni superiori al 30% (si veda Prosus, Bouygues, Vivendi nella tabella in pagina).
Alcune, spiega Saïma Hussain, analista di AlphaValue, sono puramente operative, ovvero detengono partecipazioni di lungo termine in aziende che controllano, direttamente o indirettamente. Questo consente loro di utilizzare la leva finanziaria per massimizzare il controllo con un investimento iniziale limitato. Tra queste spicca Bolloré, la multinazionale dell’omonima famiglia, che ha interessi nei settori della logistica, dei media e dell'energia.
Un’altra categoria è costituita da veicoli puramente d’investimento, ossia società che assumono partecipazioni in aziende quotate o non quotate e fanno arbitraggi con le loro partecipazioni. Differiscono molto tra loro: alcune preferiscono investire solo in società quotate, come Industrivarden, altre hanno un’esposizione più bilanciata tra società quotate e non quotate, come Wendel, alcune sono esposte esclusivamente ad asset non quotati (Eurazeo). Senza dimenticare le ibride. Come il colosso del lusso Lvmh che, con oltre 75 marchi da gestire, è alle prese con alcune criticità per le controllate Dior e Moët Hennessy e con la perdita di slancio di Louis Vuitton tanto da indossare l’etichetta di «sconto holding». Il fondatore Bernard Arnault potrebbe presto correre ai ripari con qualche spinoff selettivo (Sephora?).
Un comune denominatore, però, lo hanno tutte: lo sconto rispetto al net asset value (nav), che è la differenza tra il valore teorico delle loro partecipazioni e quello del patrimonio netto. In generale le azioni scambiano a sconto rispetto al nav, ancora di più le holding che soffrono del cosiddetto «sconto conglomerata», aggiunge Hussain, precisando che lo sconto sul nav tende a diminuire nei mercati rialzisti e ad aumentare in quelli ribassisti. In quest’ultimo caso, questi scrigni finanziari soffrono due volte: non solo vedono diminuire il valore dei propri investimenti, ma lo sconto tende ad aumentare, il che significa che, se il valore degli asset cala del 15%, lo sconto può salire del 20% o più.
Gli investitori acquistano le holding per ottenere un'esposizione a leva agli asset sottostanti, accedendo a investimenti altrimenti irraggiungibili. Attualmente quelle europee sono scambiate in media con uno sconto del 20% rispetto al loro nav, un livello piuttosto elevato. Sarebbe più corretto intorno al 15%. Invece, ci sono scatole di valore come la Exor della famiglia Agnelli/Elkann il cui sconto ha continuato ad allargarsi: da una media del 30% dal 2009 ha superato il 50% nel 2024 e attualmente resta a ridosso di questo livello a causa della performance disomogenea tra i suoi principali asset quotati (Stellantis, Ferrari, Cnh, Iveco, Philips). Ha influito negativamente anche la quotazione in Olanda e non in Italia, secondo Marco Nascimbene, co-responsabile azionario Italia di Ersel Asset Management, dove sono quotate le principali controllate, e la sua scarsa liquidità sulla borsa di Amsterdam.
Eppure, Exor ha attivamente ristrutturato il suo portafoglio negli ultimi anni. «Tra il 2020 e il 2024 ha effettuato dismissioni per 8,6 miliardi di euro, investito 6,8 miliardi in nuove società, destinato 2 miliardi a investimenti aggiuntivi e riacquistato azioni proprie per 1,5 miliardi per una rotazione complessiva del portafoglio di circa 19 miliardi», sottolinea Hussain. L’operazione di punta è stata la vendita di una partecipazione del 4% in Ferrari per 3 miliardi di euro. Contemporaneamente, ha rafforzato la sua posizione in Philips al 18,7%. Ora conta di investire 2 miliardi di euro per una quota del 10-15% in una società quotata in Europa o negli Stati Uniti nel mondo tech, sanità e lusso.
Un tale investimento, secondo Equita, rappresenterebbe il 5% del nav attuale e aumenterebbe il peso delle attività quotate sul gross asset value intorno all’80%. Così sia la Sim sia AlphaValue continuano a consigliare l’azione. Certo, ammette Hussain, «rimangono dei rischi: la debolezza protratta di Stellantis, i venti contrari macroeconomici e le incertezze nel turnaround di Philips, ma la forza finanziaria di Exor, la disciplina nella rotazione del portafoglio e l’approccio di investimento orientato al valore offrono una solida protezione al ribasso».
Come per Hal (sconto sul nav di quasi il 32%) che negli ultimi anni ha gestito con successo il proprio portafoglio, includendo la vendita di GrandVision a Essilor per 5,5 miliardi di euro e il delisting di Boskalis per 2,3 miliardi. «Riteniamo che l’attuale sconto sul Nav rappresenti un’opportunità interessante. Solo un anno fa, l’azione era scambiata con uno sconto del 14%. Oggi detiene un portafoglio di asset di alta qualità come Technip, Sbm e, appunto, Boskalis, tutti beneficiari di trend favorevoli di lungo termine nei rispettivi settori. Grazie a questi investimenti, Hal è ben posizionata per trarre vantaggio dal passaggio globale dall’energia tradizionale a quella verde», precisa Hussain che nella rosa delle holding più a sconto sul nav ha un rating buy anche su Vivendi, balzata agli onori della cronaca per aver ceduto progressivamente la sua partecipazione in Tim, ma anche per voler far crescere la società di sviluppo di videogiochi Gameloft tramite acquisizioni, e su Wendel, per la quale il ritorno agli azionisti rimane una priorità. Infatti, ha ribadito l’impegno a restituire il 2,5% del nav ogni anno.
Ai prezzi attuali ciò implica un rendimento da dividendo del 5,5%. Non male visto che le roccaforti familiari di solito sono poco generose: il rendimento medio dei dividendi è del 2,5%. Lo stesso vale per la holding belga Gbl della famiglia Lambert che offre un dividend yield molto promettente (7%) ma, avverte Hussain, deve essere valutato con cautela data la scarsa visibilità sulla sua sostenibilità oltre il 2027. «In ogni caso l’attuale sconto sul nav, considerando la limitata esposizione ai dazi e il profilo difensivo del titolo, lo riteniamo eccessivo».
Non mancano le sorelle minori quotate in Italia dove è interessante investire nelle holding che hanno una gestione attiva del portafoglio, come First Capital, o che hanno in pancia asset non quotati di valore che possono essere valorizzati tramite Ipo e/o m&a, suggerisce Gianmarco Bonacina, Head of Research di Banca Akros. «È il caso di Tamburi che ha in portafoglio brand non quotati di grande valore, ad esempio Alpitour, Azimut Benetti e Limonta. O di Cir della famiglia De Benedetti che ha in portafoglio la rete di strutture sanitarie Kos. Queste società hanno un approccio attivo all’investimento partecipando ai consigli di amministrazione e aiutando l’imprenditore nelle scelte di finanza straordinaria come la crescita inorganica che nel lungo termine permette di mantenere e aumentare il vantaggio competitivo, creando valore per gli azionisti. Attualmente le holding Tip, Cir e First Capital, che seguiamo, trattano a sconti elevati sul nav, sopra le medie storiche, rispettivamente, del 36%, 43% e 41%».
Anche Italmobiliare, la holding della famiglia Pesenti, tratta con uno sconto superiore al 40%. In questo caso sull’allargamento ha pesato un peggioramento delle performance di Caffè Borbone (legato all’aumento del costo del caffè stesso) e la mancata quotazione di Tecnica, spiega Nascimbene che, in vista di una ripresa dell’attività di m&a e di nuove quotazioni, non esclude una rotazione degli investimenti in grado di far emergere il valore nascosto di alcune partecipazioni.
Ultimo elemento positivo è quello legato ai buyback come si è visto di recente con Italmobiliare che ha reagito positivamente alla notizia dell’avvio di un programma di acquisto di azioni proprie (fino a 350 mila per un esborso massimo di 10 milioni). La decisione è arrivata a sorpresa dato che l’ultimo buyback risale al 2017, ma è più che ragionevole considerando l’elevato sconto sul Nav (43%). «Riteniamo più interessanti Italmobiliare, Cir e Tip, dove è predominante il peso delle non quotate e dove c’è spazio», conclude l’esperto di Ersel, «per tornare a muovere il portafoglio, rispetto a Exor dove gli asset principali sono quotati». (riproduzione riservata)