Il mondo intero, con l’Europa a fare da aprifila, si prepara verso un nuovo ordine fondato sul riarmo. Un New War Deal che mette nel cassetto (almeno per il momento) le ambizione del New Green Deal. Certo, questo ritorno al modo di fare politica del Novecento non era una prima scelta per cittadinini e governanti, ma i continui conflitti partiti dal 2022 – prima l’Ucraina, poi il Medio Oriente, ora il confronto armato tra Isreale e Iran – hanno riportato in auge la necessità di una prevenzione armata.
L’intesa siglata all’Aja tra i 32 Paesi della Nato per alzare al 5% la spesa militare sul pil, osannata da Donald Trump come un grande successo personale all’interno dell’alleanza, prepara le basi per una nuova allocazione dei budget statali in cui la difesa dovrà giocare per forza un ruolo da protagonista. Se a questo si aggiungono gli 800 miliardi del piano ReArm Eu dell’Unione Europa, il gioco è fatto: sul settore degli armamenti stanno per arrivare ogni anno centinaia di miliardi di euro di commesse e ordini.
Che la difesa sia ormai un affare d’oro, anche per gli investitori individuali, è un dato di fatto da tempo: negli ultimi cinque anni titoli come quello della tedesca Rheinmetall hanno visto il loro valore in borsa crescere di oltre il 2.000%. Se a ciò si aggiunge che fino al 2021 queste aziende erano diventate le grande escluse dai portafogli di investimento, sempre più attenti alle dinamiche di sostenibilità (Esg), il gioco è fatto: il loro ritorno nel mirino dei grandi fondi ha provocato rally di borsa a tre se non quattro cifre.
E la corsa può continuare: nella tabella in basso sono stati ordinati alcuni dei principali titoli della difesa europei, ordinati per potenziale di rialzo in borsa secondo il consenso Bloomberg. L’italiana Leonardo, prima in graduatoria, a detta degli analisti può apprezzarsi di un ulteriore 20% dopo il 74% messo a segno da inizio anno. La già citata Rheinmetall ha un upside potenziale del 16,7%, e ben 19 analisti suggeriscono ancora di comprare il titolo nonostante la corsa a tripla cifra da gennaio. Chiude il podio la francese Thales: per lei il consenso vede un potenziale di crescita del 12,3% dai prezzi attuali.
Ma l’effetto dirompente che può avere l’accordo dell’Aja non si ferma ai titoli della difesa tradizionale: le nuove minacce globali richiedono infatti sistemi di cybersicurezza avanzati, infrastrutture efficienti, e tutte le materie prime che servono all’industria pesante.
Per un investitore con profilo di rischio medio ci sono poi altre avvertenze: i continui conflitti porteranno nuova volatilità sui mercati? E come proteggersi? Ecco quindi che un portafoglio che voglia cavalcare il riarmo senza fare all-in sui soli titoli della difesa deve pensare anche a una parte di protezione tramite bond, oro, liquidità. MF-Milano Finanza ha chiamato a raccolta tre esperti di mercato per costruire un portafoglio tipo: Gabriel Debach, market analyst di eToro, Aldo Martinale, senior portfolio manager di Symphonia sgr, e Giorgio Vintani, analista e consulente finanziario indipendente. Ecco le loro idee di investimento.
La corsa dei titoli della difesa «non va considerata come un effetto moda: è un riallineamento strategico, visto che tutti i principali produttori in Asia, Europa, America Latina e Nord America stanno beneficiando di una domanda strutturalmente crescente», sottolinea Debach, che ai titoli della difesa tradizionale attribuisce un’allocazione fino al 25% del portafoglio.
Ma questa è solo una parte: fino al 15% andrebbe investito in società (o Etf) delle tecnologie militari, intelligenza artificiale e cybersecurity. E poi spazio alle materie prime critiche (fino al 10%): «Uranio, terre rare, litio: senza questi materiali non si costruiscono radar, chip, batterie, sistemi di puntamento», spiega l’esperto. Un altro posizionamento tattico, fino al 10%, andrebbe quindi destinato al filone dell’indipendenza energetica, un settore cruciale come dimostrato dall’impennata dell’inflazione dopo l’invasione russa all’Ucraina. Così come un’altra fetta di portafoglio, anch’essa fino al 10%, andrebbe rivolta alle infrastrutture critiche: «Le aziende che proteggono e rendono resiliente il sistema industriale sono ormai parte del comparto sicurezza», osserva Debach, che tra i titoli di questa categoria cita anche quello di Fincantieri.
Infine la parte di difesa: fino al 10% in oro e metalli rifugio, fino al 5% in liquidità o strumenti monetari «in un contesto dove la volatilità geopolitica può generare drawdown improvvisi e opportunità selettive», e fino al 40% in bond sovrani a breve termine (compresi i Btp), che «possono coprire il ruolo di controparte non correlata nei momenti di stress».
Aldo Martinale di Symphonia sgr propone di affiancare a una base di azioni globali (35%) e bond governativi a breve-medio termine (20%), una parte di azioni europee a media e piccola capitalizzazione (10%), una quota di Cina (5%) e poi alcuni posizionamenti su credito investment grade (15%), high yield (5%) e subordinati ibridi (10%).
Quanto al settore della difesa, il money manager riflette sul fatto che «le quotazioni di molti gruppi (europei, ndr) hanno già incorporato in modo significativo la prospettiva di un importante incremento del fatturato e in alcuni casi hanno probabilmente raggiunto livelli da bolla speculativa, mentre, considerate le valutazioni, dovrebbero presentare un migliore rapporto rischio-rendimento i gruppi della difesa americani». Al contempo, sottolinea l’esperto, non va dimenticato il potenziale di crescita per l’azionario nella sua interezza: «L’incremento delle spese militari è a tutti gli effetti una politica fiscale espansiva e, di conseguenza, al di là dell’impatto diretto va considerato l’effetto indiretto positivo sulla crescita economica in generale e, quindi, sul comparto azionario nel suo complesso.
Dal canto suo il portafoglio di Giorgio Vintani prevede una pari quantità di azioni e bond, 40% a testa, a cui affiancare una cospicua quota di metalli, il restante 20% visto che «l’oro, che generalmente si muove in maniera opposta al ciclo, mostra una domanda sostenuta anche in periodi non di crisi e di rincorsa ai beni rifugio».
Guardando alle azioni, i benefici del riarmo includono secondo il consulente «anche altre asset class, come industriali e materie prime, che sono molto legati al ciclo economico». Tra i titoli industriali non solo (o meglio, nonlegati soltanto) alla difesa Vintani cita ad esempio Airbus, «la cui attività commerciale si è avvantaggiata approfittando dei problemi di Boeing, e la cui divisione di difesa potrà sicuramente avere nuovi contratti legati al riarmo». E poi il colosso edilizio francese Vinci, «titolo basato sulla crescita economica e non direttamente legato alla difesa», e Siemens, «altra azienda di brillanti prospettive», mentre nel settore delle materie prime Vintani segnala il titolo Air Liquide.
E sul versante dei bond? Oggi il consulente guarda in particolare a «titoli a reddito fisso e non legati all’inflazione, attesa in calo, con un possibile ultimo taglio della Bce a settembre». Spazio poi ai bond finanziari, visto che le banche sono riuscite «ad accumulare profitti anche con tassi in calo, con Unicredit e Intesa Sanpaolo sugli scudi». (riproduzione riservata)