Costruirsi una seconda entrata oltre allo stipendio o alla pensione solo con i dividendi: missione possibile, usando gli strumenti adeguati. È questo il principio base dell’income investing, lstrategia di portafoglio che prevede di utilizzare prodotti a distribuzione (azioni ad alta cedola, bond, Etf che distribuiscono dividendi e interessi) cercando di toccare il meno possibile il capitale.
Non si tratta certo della strategia migliore possibile a livello fiscale, perché ogni distribuzione viene tassata (al 26% quelle azionarie e obbligazionarie societarie, al 12,5% i titoli di Stato), ma può essere utile, per esempio, per chi ha un tesoretto di capitale e la necessità di avere flussi cedolari periodici da impiegare per alcune spese.
Le simulazioni proposte dal portale specializzato JustEtf riassumono i flussi cedolari al netto della tassazione e l’apprezzamento del capitale ipotizzando un investimento di partenza di 100 mila euro effettuato nel 2016 (quindi lungo un orizzonte temporale particolarmente positivo per le borse globali) in tre differenti Etf a distribuzione: uno più generalista sulle azioni globali e due specifici sui titoli ad alto dividendo.
«Tendenzialmente gli Etf ad alto rendimento presentano prospettive di crescita più contenute», commenta Lorenzo Demaria, country manager per l’Italia di JustEtf. «Questo dipende in linea di principio dalle società sottostanti, generalmente più mature e solide, con modelli di business stabili e una minore necessità di reinvestire gli utili per sostenere la crescita».
Infatti, come si può notare dalla tabella in basso, dopo nove anni di investimento i due Etf ad alto dividendo avrebbero distribuito all’investitore rispettivamente 29.180 e 37.930 euro al netto delle tasse contro i 15.760 euro dell’Msci World generalista a distribuzione. Di contro il valore del portafoglio per quest’ultimo sarebbe ben più cospicuo: 258 mila euro contro 161 mila e 183 mila degli altri due.
Il grafico in alto riassume invece, anno per anno, le distribuzioni periodiche dell’Etf più generoso con i suoi sottoscrittori, ossia il VanEck Morningstar Developed Markets Dividend Leaders (3,8 miliardi di euro di masse in gestione). Nel corso dell’ultimo biennio questo prodotto avrebbe portato nei conti correnti di chi ci avesse investito 100 mila euro nel 2016, sempre al netto della tassazione, rispettivamente 5.360 e 5.000 euro, con frequenza di distribuzione trimestrale. In media un piccola integrazione allo stipendio da 1.250 euro ogni tre mesi e da 416 euro al mese.
Altro elemento interessante è che le distribuzioni nette sono aumentate nel tempo. E questo per due motivi. Primo, perché il valore dell’Etf (quindi il capitale investito) è cresciuto, aumentando la quantità di denaro sulla quale viene applicata la distribuzione periodica. Secondo, perché l’indice di riferimento include titoli con payout tendenzialmente in crescita nel tempo. Ma che cosa si trova concretamente in portafoglio chi sceglie un prodotto di questo tipo? L’Etf in questione, che ha un indicatore di spesa annuo (ter) dello 0,38% - sopra la media dei prodotti indicizzati - investe in 100 titoli di mercati sviluppati, con Francia (14,5%) e Stati Uniti (14%) in testa. Sul podio delle partecipazioni ci sono Verizon (4,8%), Pfizer (4,75%) e Roche (4,25%).
Va da sé che, affinché strategie di questo tipo costituiscano un reddito aggiuntivo, deve aumentare proporzionalmente il capitale impiegato. «Già con 500 mila euro», elenca Demaria, «la rendita inizia a diventare consistente e, se abbinata ad altre entrate come una pensione o redditi extra, può già garantire un buon sostegno economico». Il vero punto di svolta però, secondo l’esperto, arriva dal milione di euro in su: «I dividendi generati possono arrivare a coprire almeno in parte lo stile di vita medio di una persona che vive in Italia, soprattutto se supportati da una gestione oculata delle spese». Facendo le dovute proporzioni, infatti, lo stesso Etf analizzato in precedenza avrebbe fatto entrare nei conti degli investitori milionari circa 50 mila euro netti all’anno nell’ultimo biennio.
Un approccio di questo tipo non è privo di punti deboli. Il primo e più importante è che un investimento income non consente di beneficiare dell’interesse composto, ossia dell’effetto moltiplicatore della performance che si ha in presenza del reinvestimento delle cedole nel nav degli strumenti finanziari.
C’è poi un tema di tasse. «A livello matematico e fiscale l’accumulo è sempre una scelta più efficiente della distribuzione, anche perché ha anche poco senso vendere un investimento costruito in anni di accumulo per spostarsi totalmente a distribuzione al momento del decumulo», spiega il country manager.
«Anche chi investe ad accumulazione può costruirsi, in un certo senso, un dividendo, ad esempio con la regola di decumulo del 4% (che consiste nel prelevare ogni anno il 4% del capitale, ndr): una strategia più complessa ma che garantisce una migliore ottimizzazione fiscale e al tempo stesso può essere modulata in base alle esigenze temporali, cioè alla quota di denaro che serve in un momento preciso per sostenere determinate spese».
Per finire, conclude l’esperto, non va dimenticato che «i dividendi non sono certi: un’azienda in periodo di difficoltà può tagliarli o ridurli notevolmente». Investire in Etf ad alto dividendo, insomma, «è una mossa da fare prestando molta attenzione alle aziende sottostanti. Se queste staccano dividendi alti ma non hanno fondamentali né prospettive solidi, il rischio è che una performance negativa eroda il capitale». (riproduzione riservata)