Il 2025 dei mercati azionari ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che cercare di prevedere il futuro delle borse è un’impresa di fatto impossibile. Tanto più se all’equazione si aggiungono guerre, una rivoluzione rapidissima ed epocale come quella dell’AI, valutazioni dei titoli tecnologici americani su livelli che evocano quelli della grande bolla delle dot-com di inizio anni Duemila.
In questo rebus di difficile interpretazione, però, le grandi case di gestione globali hanno impostato una rotta di navigazione abbastanza condivisa da tutti: una rotta che conduce direttamente in Europa.
Da inizio anno, nonostante le tensioni provocate sui mercati ad aprile dall’annuncio dei dazi di Donald Trump, i mercati hanno fin qui viaggiato a vele spiegate. L’S&P 500 americano ha guadagnato il 17%, lo Stoxx 600 delle azioni europee il 14%. Nessuno ha fatto però meglio del Nasdaq che, trainato ancora una volta dai grandi nomi legati alla rivoluzione AI, ha messo a segno una performance superiore al 21%.
Ma per un investitore in euro c’è un’altra variabile da considerare: l’effetto cambio. Se il dollaro si indebolisce, come è successo nel corso di quest’anno, gli asset in valuta americana genereranno ritorni molto meno generosi. È quanto evidenziato da Maria Paola Toschi, global market strategist di Jp Morgan Am, nel corso della presentazione dell’outlook della società di gestione. Come si nota nella tabella in pagina, un investimento negli Stati Uniti avrebbe fin qui generato, in euro, un total return (rendimento comprensivo di dividendi) appena superiore al 5%. Quello nei mercati europei (compreso il Regno Unito) sarebbe arrivato al 18%. Mentre alcuni specifici settori, come la difesa del Vecchio continente, avrebbero addirittura generato un total return del 105%.
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A ciò si aggiungono le valutazioni: l’indice Msci Europe, che comprende anche listini extra-Ue come Londra e Zurigo, tratta attualmente a meno di 15 volte gli utili attesi tra 12 mesi, contro le oltre 20 dell’Msci World delle azioni globali dei mercati sviluppati e le quasi 23 dell’indice Msci Usa (rappresentativo dell’85% della capitalizzazione di mercato degli Stati Uniti).
Se tre indizi fanno una prova, ecco che un altro elemento, oltre ai due già citati, può giocare a favore dei mercati europei nel corso del prossimo anno: i grandi piani, varati nel corso di quest’anno, di spese per le infrastrutture e la difesa. Un elemento segnalato anche da Monica Defend, head of Amundi Investment Institute, e Francesco Sandrini, direttore degli investimenti per l’Italia del colosso del risparmio gestito francese. «Siamo positivi su titoli finanziari, industriali, difesa e transizione verde del continente, così come sulle infrastrutture e le small e mid cap: tutti settori che potrebbero beneficiare di un dollaro strutturalmente debole e di trend di lungo periodo come le spese per la difesa».
Amundi, che al contempo rimane neutrale sugli Usa («dove privilegiamo gli indici equiponderati», evidenziano gli strategist), è in buona compagnia. Un’altra grande banca francese, Bnp Paribas, nel suo portafoglio-tipo per il 2026 segnala l’Europa come posizione di maggior sovrappeso tra tutte le asset class. Le previsioni di Bnp Paribas Cash Equities Research per la fine del 2026 sono di 7.500 punti per l’S&P 500 americano e 650 punti per l’Eurostoxx 600. Ciò rappresenterebbe un total return rispettivamente del 15% e 19%. «Per noi, queste cifre sottolineano l’importanza di rimanere investiti nel beta di mercato (cioè mantenere un’esposizione ampia e diversificata, ndr), con una gestione dei rischi durante tutto l’anno».
In questo contesto, aggiungono gli esperti della banca, la politica monetaria accomodante della Bce, insieme all’aumento della spesa fiscale (per finanziare piani come quelli di riarmo), «dovrebbe sostenere la sovraperformance dei titoli dell’Eurozona. Posizionamento di partenza più basso e valutazioni iniziali più convenienti offrono un margine più ampio per uno slancio positivo».
Costruire posizioni robuste in Europa, così come in altri mercati come Giappone e Cina, può essere utile anche per non ingombrare troppo il portafoglio di titoli americani legati all’intelligenza artificiale, che rappresentano a oggi circa un terzo dei grandi indici di mercato globali. In generale, l’idea è quella di esporre una parte del portafoglio a borse più a buon mercato di quella a stelle e strisce. Ed è proprio su queste aree che guarda Toschi di Jp Morgan Am per bilanciare l’esposizione alla borsa americana. «Gli utili europei sono ora destinati a crescere e, per la Cina, la scelta del Paese di puntare sul comparto tecnologico è da guardare con grande interesse».
Diversificazione è la parola d’ordine anche di Paul Jackson, global market strategist Emea di Invesco, che nella parte azionaria del suo portafoglio-tipo per il 2026 (42% dell’asset allocation totale) arriva addirittura a dare più peso ai listini europei (10% più 6% di Regno Unito) che agli Stati Uniti, sottopesati al 10%. Per capire il metro di paragone, l’allocazione considerata neutrale da Invesco prevede il 25% di Usa e solo l’11% di Europa.
A differenza degli indici americani, dove la componente tecnologica è protagonista indiscussa, in Europa le proporzioni sono ben diverse e quasi il 22% dello Stoxx 600 (24% per l’Msci Europe) è composto da titoli finanziari. A fari molto più spenti rispetto ai titoli dell’intelligenza artificiale, le banche sono state le vere vincitrici dell’ultimo triennio sui mercati: come segnalato da Manuela Maccia, chief investment officer Italy, e Sergio Pizzini, cio equity di Deutsche Bank, andando a vedere il total return degli ultimi tre anni di vari indici a partire dal 30 settembre 2022, lo Stoxx Europe 600 Banks ha messo a segno una performance monstre del 274%, superando perfino il 252% delle Magnifiche 7.
Tanto che il settore bancario viene citato dagli strategist dell’istituto tedesco tra i trend strutturarli per diversificare il portafoglio oltre il tech.
Anche BlackRock, seppur con un posizionamento di base neutrale, in Europa va a caccia di opportunità mirate. E le principali le sta trovando proprio nel settore bancario: «L’anomalia maggiore tra borse Ue e americane riguarda i titoli finanziari», riassume Bruno Rovelli, chief investment strategist per l’Italia della più grande società di risparmio gestito al mondo. «I ritorni sul capitale delle banche sono ai massimi degli ultimi dieci anni ma le valutazioni sono ancora inferiori del 40% rispetto agli Usa. Ci aspettiamo che il re-rating del settore continui, dopo un anno già molto positivo».
Al contempo BlackRock invita a non abbandonare troppo presto gli Stati Uniti, e in particolare i titoli dell’AI.
Stavolta, rispetto alla bolla dot-com degli anni Novanta, «i multipli sono molto più bassi», argomenta Rovelli. «Finché gli utili crescono come oggi, è difficile che i multipli si contraggano», osserva il manager. A livello macro, inoltre, la grandi aziende Usa presentano un financing gap negativo: generano cioè più cassa di quanta ne serva per finanziare i propri investimenti. «Un contesto molto diverso rispetto alla bolla di Internet». Il mercato, al tempo stesso, «sta diventando più selettivo: i drawdown autunnali hanno colpito in modo molto diverso i titoli AI», evidenzia Rovelli. Che aggiunge: «Non si premia più il tema in sé, ma la qualità e la credibilità dei progetti e la solidità dei bilanci». Un altro invito a diversificare, anche nell’ambito dei grandi nomi che stanno trainando le borse mondiali. (riproduzione riservata)