Il sogno europeo è più concreto grazie al prestito all’Ucraina
Il sogno europeo è più concreto grazie al prestito all’Ucraina
Il Consiglio Europeo ha raggiunto un accordo sul prestito di 90 miliardi di euro all’Ucraina, con il bilancio comunitario come collaterale. L’operazione appare come la soluzione meno rischiosa tra quelle vagliate, ma la sua attuazione dipenderà anche dall'evoluzione diplomatica del conflitto

di Angelo De Mattia 22/12/2025 20:00

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Nella notte fra il 18 e il 19 dicembre il Consiglio Europeo ha finalmente trovato l’intesa sul sostegno finanziario all’Ucraina. Verrà emesso un prestito europeo di 90 miliardi di euro avente come collaterale il bilancio comunitario che sarà alla fine rimborsato con gli indennizzi che l’Ucraina dovrà ricevere (ammesso che così sarà) quando saranno cessate le ostilità.

I dettagli, non appena noti, meriteranno un attento approfondimento con particolare riferimento all'onere che graverà sui singoli partner europei, che comunque dovrà essere escluso dall'osservanza del Patto di Stabilità.

Aderiscono anche i Paesi inizialmente contrari

Questo accordo vede l’adesione anche di Paesi inizialmente contrari al finanziamento dell’Ucraina, a partire dall’Ungheria, che però hanno sottoscritto l’intesa sull'istituzione del prestito, ma si sono riservati l’opting out, cioè di parteciparvi concretamente o no: un modo, questo, necessario per superare l’impasse che si era determinato con diversi Stati non favorevoli all’accordo poi raggiunto e tanto meno a quello in precedenza progettato con l’utilizzo dei beni russi congelati e, in gran parte, depositati in Belgio presso Euroclear. Sarà in futuro un modello di cooperazioni rafforzate?

Rischi giuridici ed economici

Da molti mesi si discuteva, in sede europea, e poi si rinviavano le decisioni sull’impiego degli asset in questione. Non si voleva in effetti tener conto di tre punti fondamentali: utilizzare in qualsiasi forma questi beni, come diretto finanziamento o come garanzia, presuppone che su di essi si vanti un diritto di proprietà, cosa che non è vera perché gli asset sono congelati non confiscati e, comunque, se si volesse passare alla confisca si violerebbe il diritto internazionale; in quest’ultima ipotesi la Russia reagirebbe con ritorsioni sul piano legale - come ha cominciato a fare la Banca centrale che, contro il depositario Euroclear, ha deciso, per i rischi di un improprio impiego dei beni in questione e lo stesso congelamento, di adire il Tribunale moscovita - a suo tempo individuato per dirimere le controversie con un arbitrato - per le iniziative, come reazione, di congelamento o di possibile confisca di beni europei esistenti in Russia; l’effetto annuncio che potrebbe avere il suddetto utilizzo nei confronti di investitori in Europa per il timore che impreviste decisioni di altri congelamenti vengano assunte, con conseguenze pure sulla moneta unica e sulla stabilità monetaria e finanziaria nell’area.

Le resistenze europee all’impiego degli asset russi congelati

A insistere sul ricorso ai beni russi bloccati è stata in particolare la Germania con la sua avversione a qualsiasi forma di debito, che in tedesco, Schulden, vuol dire anche colpa. Si aggiungano le condizioni ora non propriamente felici dell’economia tedesca e i rischi di un colpo allo storico rigorismo germanico con il possibile innalzamento del rapporto debito pubblico/pil.

Né era perseguibile l’ipotesi di una garanzia concessa dalla Bce. Come giustamente è stato eccepito, ciò si sarebbe trasformato in finanziamento monetario dei governi tassativamente vietato dal Trattato per il funzionamento dell’Unione. Né, ancora, è apparsa percorribile la strada del ricorso al Mes per i limiti del relativo Trattato le modifiche del quale, per di più, non sono state ratificate dall’Italia.

Dal canto suo il Belgio, sede di Euroclear, si è sempre opposto all’impiego dei beni congelati per i rischi legali e per i problemi anche di liquidità che ne sarebbero derivati al depositario.

Il prestito europeo: l’opzione meno esposta a rischi

Esplorate tutte le possibilità, la meno esposta a rischi è parsa, dunque, quella del prestito europeo che, come accennato, si collega alla riparazione dei danni di guerra, una fase per ora non facile da prevedere per i tempi, i modi e le quantità.

Il finanziamento che si concede non deve essere, però, inteso come frutto di una eventuale valutazione dei tempi lunghi del conflitto. Anzi, parallelamente occorrerebbe intensificare le iniziative sul terreno dei rapporti diplomatici per arrivare almeno alla cessazione temporanea della guerra di invasione.

Ciò ridimensionerebbe la stessa necessità di un certo tipo di sostegno finanziario. La replica del debito comune europeo dovrebbe costituire uno stimolo a ripercorrere in futuro questa strada per altre importanti iniziative. (riproduzione riservata)