Banche, oro e la kangabubble. Il 2025 è stato un buon anno per le azioni globali che hanno registrato un ritorno del 20%, con il 25-30% proveniente da Regno Unito, Europa e Giappone, e il 15% dagli Stati Uniti e dai mercati emergenti. «Gli Usa sono il 53° mercato per performance da inizio anno sui 67 che seguiamo; è stato un buon anno per diversificare l’esposizione azionaria lontano dagli Usa», sottolinea nell’equity strategy, Jonathan Stubbs, analista di Berenberg.
I rendimenti sono stati alimentati dall’espansione dei multipli per tre anni consecutivi, con uno scarso supporto, al di fuori degli Stati Uniti, dagli utili. Le azioni globali sono passate da un multiplo p/e di 13 alla fine del 2022 all’attuale 18. I temi legati all’intelligenza artificiale, alla difesa e all’oro sono stati i veri protagonisti nel 2025.
«Banche, strategie value e momentum hanno continuato a performare bene; tutte ora hanno solide performance su cinque anni», nota Stubbs. «Ulteriori guadagni nei prossimi 12-18 mesi richiederanno crescita dei profitti e assenza di rischi. È il momento del «mostrami i profitti» nel mondo azionario».
In primo luogo, c’è un chiaro passaggio da un mondo unipolare a uno multipolare; la fine della globalizzazione. Il libero scambio e i mercati liberi vengono rapidamente sostituiti da neo-mercantilismo e distorsioni di mercato.
In secondo luogo, «abbiamo previsto la fine del sistema monetario fiat. Vediamo un passaggio verso oro e argento e asset digitali: stablecoin, denaro tokenizzato e bitcoin», prosegue lo strategist di Berenberg.
Terzo, «siamo alla frontiera di un’altra rivoluzione tecnologica con la proliferazione di AI, tecnologia quantistica e il percorso verso la singolarità tecnologica».
Quarto, c’è pressione nel rapporto tra i singoli cittadini e i loro governi; il livello di democrazia per il cittadino globale medio è tornato ai livelli del 1985, secondo Varieties of Democracy.
Nel complesso, gli economisti di Berenberg ora prevedono una crescita del pil reale soft e piatta tra il 2025 e il 2027. Una crescita sostenuta dalla politica fiscale. Usa e Cina dovrebbero registrare deficit fiscali del 7-8% tra il 2024 e il 2029, nonostante non siano in recessione.
In Europa, il rapporto 2024 di Mario Draghi anticipava un allentamento del freno al debito tedesco per sostenere la ripresa tedesca nel 2026-2027. «Prevediamo ancora inflazione e tassi d’interesse più alti per un periodo prolungato», stima Stubbs.
Le azioni statunitensi trattano su valutazioni da bolla, ma possono trovare supporto da una crescita degli utili superiore al 10% nel 2026 e su 20.000 miliardi di dollari di debito pubblico aggiuntivo nel prossimo decennio, sostiene l’esperto di Berenberg. Non solo. Le azioni Usa presentano rischi significativi bidirezionali nel 2026, quindi «non correremmo qui, con segnali provenienti da liquidità, leva e capex che suggeriscono cautela, e ci aspettiamo rendimenti azionari del 5-10% il prossimo anno».
Invece, «le azioni europee hanno bisogno di un ritorno alla crescita degli utili per azione e della fine del conflitto in Ucraina; riteniamo probabili entrambe le condizioni, il che potrebbe sostenere rendimenti del 10-15% nel 2026 e performance più diffuse su tutte le categorie di capitalizzazione. Quanto alle prospettive per le azioni britanniche rimangono sostenute da valutazioni modeste; puntiamo a un altro anno con rendimenti a doppia cifra per le azioni Uk nel 2026».
L’allocazione di Stubbs vede il 40% in azioni, il 50% in oro, cash e bitcoin, e il 10% in asset alternativi. «Preferiamo l’oro ai titoli di Stato da cinque anni. Consigliamo di acquistare sui ribassi, il classico buy the dips, piuttosto che rincorrere le azioni, ma ci aspettiamo un altro anno di rendimenti in dollari più forti per i mercati non statunitensi», precisa Stubbs i cui modelli settoriali vedono in prima linea dopo cinque anni le banche, le tlc Usa e le società automobilistiche europee. Attenzione solo ai cigni neri: guerre, crisi sanitaria e alimentare, debito sovrano.
Nel panel value+ europeo, Berenberg ha inserito azioni con ratio p/e (prezzo/utile) e peg (prezzo e crescita dell’utile) bassi rispetto al mercato e alla loro serie storica. «Riteniamo che il peg e altri parametri di crescita a un prezzo ragionevole debbano essere parte integrante del processo di investimento, poiché gli investitori cercano modi per posizionare i propri portafogli tenendo conto del rischio d’inflazione elevato», spiega ancora Stubbs. «Saremmo, inoltre, cauti nell’aggiungere titoli value a un portafoglio solo per il gusto di farlo; pertanto, riteniamo che lo screening basato sui ratio peg, momentum degli utili per azione e crescita degli utili nel medio termine fornisca a questo elenco di società alcuni fondamentali di supporto».
Ebbene nell'elenco delle large cap con multipli p/e bassi rispetto al mercato e alla loro stessa storia, peg contenuti, forte crescita degli utili per azione nel medio termine e un solido momentum degli utili recenti ci sono 13 società europee: Deutsche Telekom, Anheuser-Busch Inbev, Commerzbank, Sse, Ryanair, Telenor, Eiffage, Eurofins Scien., Alstom, Mowi, Carrefour, Severn Trent e Deutsche Lufthansa.
Usando gli stessi parametri tra le mid cap europe Berenberg ha trovato queste 10 società europee: Forvia, Hochschild Mining, Pfeiffer Vacuum, Dno Energy, Maurel Et Prom, Ams-Osram, Finnair, Smcp, Sgl Carbon e Compagnie Immobiliere De Belgique. (riproduzione riservata)