I segreti di Tether, la stablecoin più usata nel mondo
I segreti di Tether, la stablecoin più usata nel mondo
Con utili netti di oltre 30 miliardi in tre anni, Tether reinveste in vari settori, dall'agricoltura alla tecnologia. Un successo straordinario. Con qualche zona d’ombra

di di Fabio Pavesi 07/11/2025 20:40

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Diventare multimiliardari, in pochi anni, usando i soldi degli altri? E senza chiamarsi Bill Gates o Warren Buffett oppure Giovanni Ferrero, che guida un gruppo multinazionale con decine e decine di fabbriche e 47mila dipendenti in giro per il mondo?

È quel che è successo a Giancarlo Devasini e Paolo Ardoino, i creatori di Tether, diventato il gigante delle criptovalute in poco tempo e che detiene il 56% del mercato di quella tipologia di token che sono le stablecoin, monete private ancorate al dollaro, che vale oltre 400 miliardi di dollari. Una cifra che cresce anno su anno, in un mercato complessivo delle cripto monete che conta ormai 4000 miliardi di dollari.

I due ormai sono saliti nell’empireo dei grandi miliardari italiani, e non solo, con ricchezza personale stimate da Forbes in oltre 22 miliardi, nel caso di Devasini, ex chirurgo plastico trasformatosi prima in commerciante di informatica e infine in padre di una delle stablecoin più diffuse nel mondo. Mentre per Ardoino, oggi ceo di Tether, il patrimonio personale ammonterebbe, sempre secondo Forbes, a quasi 10 miliardi.

Tanta gloria certo, tanto intuito per un business nascente. Ma come si spiega un’attività capace di produrre utili netti per oltre 30 miliardi negli ultimi tre anni, impiegando poco capitale e che conta solo 200 dipendenti? Una profittabilità da far invidia alle big tech di turno, che però impiegano miliardi di capitale in investimenti sempre più massicci.

Nessuna magia, è tutto banale

Nessuna magia, ma una formula tanto semplice, quasi banale. I compratori dei token Usdt versano nelle casse di Tether i dollari necessari all’acquisto del conio virtuale. Quei dollari non sono di Devasini e Ardoino ma dei loro clienti. Come fossero depositi in banca senza nessuna remunerazione. Quei dollari, che crescono a braccetto con la quantità di valuta cripto che viene emessa, non restano giacenti, ma diventano la materia prima per gli investimenti di Tether. Un forziere che è arrivato a valere a fine settembre 2025 ben 181 miliardi di dollari Usa.

Quel tesoro è impiegato da Tether per comprare titoli di Stato a breve, i T-bill, ma anche oro, bitcoin e prestiti garantiti. Ebbene, nel 2024, quando i depositi valevano 143 miliardi (saliti nei nove mesi del 2025 a quota 181) i rendimenti degli investimenti hanno prodotto utili per 12 miliardi in un solo anno, con un rendimento sul capitale intorno all’8%. I tassi a breve americani erano alle stelle e l’oro con la sua fiammata ha consentito ritorni degni del miglior gestore obbligazionario.


Ma quei rendimenti, figli dei depositi per comprare la stablecoin di Devasini e Ardoino, restano nelle mani dei due. Non vengono pagati a chi ha dato a Tether i dollari fisici per comprare la valuta virtuale.

Nei primi nove del 2025 i rendimenti si sono abbassati e hanno prodotto utili per 10 miliardi su 181 miliardi investiti con un ritorno del 5,5%. Sempre ottimale per degli investimenti a breve. E così, se si sommano gli ultimi tre anni, ecco che i profitti prodotti ammontano a oltre 30 miliardi per le casse di Tether.

Non solo, ma i due fondatori non trattengono gli utili nella società, ma se li assegnano pressoché tutti con un bel dividendo. Nelle dieci paginette degli sparuti rendiconti di Tether ecco che nei primi nove mesi del 2025 il dividendo è stato di 10,3 miliardi. Nel 2024 altro dividendo da 10,2 miliardi sui 12 di utili. Nessuna magia, nessuna sofisticata ingegneria finanziaria, ma solo una massa di denaro che arriva dai compratori del token di Tether e che la società impiega per fare il gestore obbligazionario, tenendosi però tutti i guadagni.

Si dirà che Tether deve fronteggiare quello che è un debito contratto con i suoi clienti e che se un domani il compratore dei token rivolesse indietro i suoi soldi, Tether sarebbe costretta a garantire il rimborso. Tra l’altro una stablecoin come Usdt è ancorata in un rapporto uno a uno con il dollaro. Tanti token, tanti dollari equivalenti.

E così i depositi devono per forza superare il valore dei token emessi, che a settembre di quest’anno ammontavano a 174 miliardi. Con depositi a 181 miliardi la copertura dovrebbe essere più che assicurata. La differenza di quasi 7 miliardi è il corrispettivo del patrimonio netto della società, che dovrebbe rappresentare il valore patrimoniale effettivo di Tether. Anche se si valorizzasse la società fino a 5 volte il capitale proprio, o persino a 10 volte, come certi big del tech, ecco che il valore di Tether sarebbe di massimo 70 miliardi. Mentre sui media circolano valutazioni del gruppo sui 500 miliardi.

Ma ci sono zone d’ombra

Le zone d’ombra di questo business, che fa diventare i loro padroni multimiliardari in poco tempo, non sono poche. In primis, non c’è nessuna trasparenza sui bilanci che non esistono e i report di qualche pagina a firma Devasini sono solo attestati da Bdo Italia, non certo una delle big four mondiali, sugli stessi dati forniti da Tether.

Il gruppo, nato nel 2014, ha prima avuto sede nelle Isole Vergini britanniche che non sono certo il massimo della trasparenza e dal 2025 Tether si è spostata a El Salvador, Paese centro-americano divenuto il regno delle cripto, adottate come moneta ufficiale.

C’è il problema quindi di un’autorità terza regolatoria che possa valutare la reale consistenza delle riserve. In teoria, se tutti i tokenisti di Tether volessero indietro i loro dollari, le riserve, secondo la stessa società, supererebbero sempre il valore delle emissioni.

Ma è un atto di fede, che del resto vale anche per le banche, che non reggerebbero se tutti i depositanti corressero allo sportello nello stesso momento. In fondo come per tutte le attività finanziarie il cemento tra risparmiatori e intermediari è la fiducia.

In passato Tether ha subito dalle autorità Usa due cause, risoltesi con sanzioni comminate alla società. Una con la Cftd americana che nel 2021 ha multato Tether per 41 milioni di dollari per dichiarazioni ritenute fuorvianti, tra il 2016 e il 2019, sulla consistenza delle riserve. L’altra condotta nel 2019 dal procuratore generale di New York, con una multa da 18,5 milioni, per aver dirottato fondi da Tether verso un’altra società della costellazione, Bitfinex, che avrebbero così fatto mancare per un certo tempo le garanzie sui depositi per i clienti Tether.

Senza contare che il mondo intero delle cripto (ma a oggi non c’è nulla al riguardo su Tether) incombe il rischio di essere, consapevolmente o meno, un porto sicuro per il riciclaggio di denaro. Non solo la regolamentazione è frammentata, ci sono troppe interconnessioni tra gli emittenti che pongono rischi sistemici non indifferenti.

Il monito del presidente della Consob

Da tempo il presidente della Consob, Paolo Savona, ha lanciato più di un alert sui rischi delle cripto monete private per la stabilità dell’intero sistema finanziario e del risparmio, ricordando con un’immagine più che efficace che «chi investe in criptovalute è spinto dall'illusione di facili guadagni, come Pinocchio nel Campo dei miracoli».

Il vantaggio che ha consentito a Tether ma anche a Circle, l’altro grande emittente, di emergere con forza è proprio la stabilità del conio. Essendo legata a un rapporto ferreo con il dollaro, la moneta di Usdt non risente delle oscillazioni frutto del gioco di domanda e offerta delle altre cripto non agganciate a una valuta di riferimento. Se il prezzo scende perché l’offerta supera la domanda allora si emettono meno token. Se al contrario il prezzo sale, in virtù dell’eccesso di domanda, ecco che si emettono più token. E alla fine un certo equilibrio è assicurato nel tempo.

Ciò non toglie che si tratti sempre e comunque di valute gestite da privati e che dietro non hanno una banca centrale che ne assicura la stabilità. Il problema cardine è proprio la fiducia nel fatto che quei dollari sborsati in cambio di token siano sempre disponibili e superiori al valore delle emissioni.

Dalle poche paginette di reportistica che Tether pubblica ogni trimestre parrebbe proprio di sì. Ma per ora Tether corre con il vento in poppa, anche perché ha un supporter di peso come il presidente Donald Trump, favorevole alle cripto e con la sua famiglia, forte investitore nel settore. L’approvazione del Genius Act in America ha in qualche modo più che legittimato il mercato delle valute virtuali.

Diversificare gli investimenti

Ma che cosa se ne fanno Devasini e Ardoino dei miliardi che prelevano ogni anno dagli utili di Tether? Hanno cominciato a diversificare, investendo quel mare di liquidità nei campi più svariati. Uno dei primi è quello del business agricolo con l’acquisizione di una quota di maggioranza nella società sudamericana Adecoagro. Poi una lunga serie di investimenti in aziende che hanno le royalties sull’estrazione dell’oro e dei metalli preziosi. Da Elemental Altus; a Metalla Royalty; a Gold Royalty. Ma anche tecnologia per i coin con Bitdeer technology.

Poi hanno investito in produttori di video come Rumble. E un pensierino c’è anche per L’Italia. La passione sportiva per la Juventus da parte del duo Devasini-Ardoino li ha indotti a investire denaro nella squadra degli Agnelli-Elkann.

L’investimento, fatto a tranche, ha raggiunto una quota dell’11,5% del capitale della Juventus e i soci di Tether vorrebbero avere voce in capitolo anche nella gestione, saldamente in mano a John Elkann che non ne vuole sapere di dare potere ai due neo multi-miliardari. Per ora Tether è riuscito solo a ottenere un suo rappresentante nel cda, l’ortodontista Francesco Garino.

Dulcis in fundo, il duo è entrato con una quota del 30,4% nel capitale di Be Water, il gruppo che controlla Chora Media e Will, le società attive nei podcast che dovrebbero aver cominciato a produrre utili dopo la fase di startup e relative perdite. Qui i tempi per le risorse immesse dai padroni di Tether sembrano più favorevoli a un ritorno positivo dell’investimento. (riproduzione riservata)