La Germania sta attraversando «la crisi economica più grave dalla fondazione della Repubblica Federale», nel 1949. Queste le parole del presidente della Bdi (l’omologa della Confindustria tedesca) Peter Leibinger ai microfoni della Süddeutsche Zeitung il 15 dicembre 2025.
Il rischio, spiega Leibinger, è la «deindustrailizzazione irreversibile». Le cause? La crisi dell’automotive, la minaccia geopolitica russa (e il conseguente peggioramento delle relazioni economiche ed energetiche con Mosca) e le prospettive fiscali in deterioramento che pesano sui profitti delle imprese tedesche.
Il vertice dell’organizzazione di categoria degli industriali ha dichiarato che «campanelli d’allarme devono suonare», perché il clima delle imprese nel paese è «estremamente negativo, in parte addirittura aggressivo e le aziende sono profondamente deluse».
Il settore automotive, che pesa per circa il 5% del pil tedesco ed è uno dei pilastri dell’industria nazionale, è sempre più sotto pressione per l’avanzata della Cina. Pechino ha progressivamente sottratto quote di mercato ai costruttori tedeschi sia in Cina - da sempre uno sbocco cruciale per gruppi come Volkswagen, Bmw e Mercedes - sia in Europa, grazie a veicoli elettrici più competitivi sul fronte dei prezzi e sostenuti da una filiera fortemente integrata.
Un vantaggio costruito anche attraverso politiche industriali aggressive, trasferimenti tecnologici e il ricorso sistematico alle joint venture con partner occidentali, che hanno permesso ai produttori cinesi di colmare rapidamente il gap tecnologico. Il crescente squilibrio competitivo ha spinto Bruxelles a intervenire con dazi sulle auto elettriche cinesi, alimentando nuove tensioni commerciali tra Ue e Pechino, mentre l’industria tedesca si trova stretta tra costi elevati, ritardi sull’elettrico e un contesto geopolitico sempre più complesso.
In Germania la minaccia russa ha un impatto diretto e crescente sui profitti delle imprese. Dopo l’addio al gas russo a basso costo, i prezzi dell’energia restano strutturalmente più elevati rispetto al periodo pre-2022, erodendo la competitività dell’industria manifatturiera tedesca, in particolare nei settori chimico, siderurgico e automotive.
A questo si aggiunge l’aumento della spesa militare, che Berlino ha portato stabilmente verso l’obiettivo Nato del 2% del pil, con un impegno annuo di decine di miliardi di euro. Il rafforzamento dei bilanci della difesa, finanziato in parte attraverso maggiore indebitamento e in parte con un carico fiscale più elevato, sta riducendo i margini di manovra per alleggerire la pressione su imprese e famiglie, contribuendo a un contesto in cui costi più alti, tasse in aumento e domanda debole continuano a comprimere la redditività del sistema produttivo tedesco.(riproduzione riservata)