Generali, quell’operazione per l’indipendenza del Leone
Generali, quell’operazione per l’indipendenza del Leone
Il consenso del mercato e le incognite sull’inchiesta possono congelare la governance e allontanare ribaltoni al vertice. E si specula su un’operazione che tuteli l’indipendenza della compagnia triestina  

di di Andrea Deugeni e Luca Gualtieri 26/12/2025 22:00

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Oltre che per il risiko bancario, il 2025 sarà ricordato a Piazza Affari per l’assalto finale che Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin – la holding dei Del Vecchio presieduta da Francesco Milleri – hanno lanciato sulle Generali appoggiando la scalata di Mps a Mediobanca che a Trieste è primo socio con il 13,2%.

Un’operazione che è anche finita sotto i fari della Procura di Milano. Caltagirone, Milleri e il ceo del Montepaschi Luigi Lovaglio sono stati iscritti nel registro degli indagati per ostacolo alle autorità di vigilanza e manipolazione del mercato da cui però si dichiarano estranei.

Le indagini della Procura di Milano

Dopo i sequestri di fine novembre di cellulari e pc da parte dei magistrati alla ricerca di prove per confermare l’impianto accusatorio sul presunto concerto, ci vorranno tre mesi soltanto per esfiltrare tutti i dati, le conversazioni, i messaggi e le chat da passare poi al setaccio.

Le indagini dunque potrebbero richiedere ancora molti mesi per arrivare a un epilogo. Con un effetto non di poco conto sulle manovre attorno a Generali: la «fase due», cioè l’intervento diretto dei grandi azionisti nella governance di Trieste con un ribaltone nella prima finestra utile di aprile, potrebbe subire un rallentamento o perfino una battuta d'arresto.

La strategia di Donnet e le performance di Generali

Archiviata la partnership sull’asset management con Natixis mal vista a Roma, il ceo del Leone Philippe Donnet – che in più occasioni ha escluso effetti finanziari del divorzio sui target del piano – e la sua squadra di manager resteranno ancora di più focalizzati sulla strategia «Lifetime Partner27: Driving Excellence», i cui obiettivi potrebbero esser rivisti al rialzo nel secondo semestre, vista l’assenza nel 2025 di catastrofi naturali.

Nel frattempo in borsa il titolo viaggia ai massimi dal 2001 a quasi 36 euro, musica per le orecchie del mercato (istituzionali più retail che in tutto in Generali hanno quasi il 50% del capitale). Tanto più che, da quando nel 2016 è salito sulla tolda di comando, Donnet ha centrato i target di tre piani industriali e ha messo a segno 7,6 miliardi di acquisizioni con 40 deal, battendo così i competitor.

Ostacoli alla sostituzione del board

A sostegno del ceo potrebbero non giocare solo i risultati. Per sostituire il numero uno e l’attuale board servirebbe un’assemblea nella quale Delfin, Caltagirone e Mps-Mediobanca – che oggi hanno in pugno il 29,52% del Leone – dovrebbero votare insieme. Una strategia che potrebbe rivelarsi scivolosa con un’inchiesta in corso che ipotizza proprio un concerto volto a ottenere il controllo di Generali. L’intervento inoltre non farebbe certo contenti alcuni eredi Del Vecchio in Delfin, già in frizione con Milleri sulla governance da trust a vita della holding lussemburghese.

A differenza di qualche mese fa, insomma, oggi un terremoto in Generali appare poco probabile nel breve termine. E c’è di più: nelle sale operative si ipotizza che le forze che nel Paese ritengono imprescindibile l’indipendenza della compagnia come cassaforte del risparmio italiano possano approfittare del clima di tregua per mettere in pista un’operazione capace di tutelare l’autonomia.

Il ruolo delle banche italiane

Gli occhi sono soprattutto puntati sulle due grandi banche del Paese. Da un lato c’è Intesa Sanpaolo, per la quale già nei mesi scorsi era stata ipotizzata una partnership sull’asset management Generali con una posizione di controllo nella nuova joint venture (51%). Dall’altro c’è Unicredit, che ha mantenuto a Trieste una partecipazione diretta intorno al 2% e un altro 4,68% in derivati, rispetto alla partecipazione costruita a inizio 2025 in vista dell’assemblea che ha confermato Donnet.

Le valutazioni degli analisti sul titolo Generali

In attesa di capire come saranno gli assetti futuri di governance, gli analisti si concentrano sull’andamento industriale e sul corso del titolo. Dopo un rialzo di oltre il 30% negli ultimi 12 mesi, le azioni Generali si muovono ormai sopra le valutazioni medie. Secondo il consensus Bloomberg, che raccoglie 22 giudizi, il target price medio è di 35,27 euro, a fronte di un prezzo di borsa intorno a 35,9 euro, con un potenziale teorico negativo dell’1,7%.

Equilibrio tra fondamentali e prospettive

La fotografia evidenzia un mercato diviso: 12 Buy, ma anche 5 Hold e 5 Sell, segnale di un equilibrio fragile tra chi vede ancora valore strutturale nella compagnia e chi ritiene che buona parte delle prospettive sia già incorporata nei prezzi.

Il giudizio riflette un equilibrio tra fondamentali industriali solidi e valutazioni ormai allineate. Sul business Generali continua a beneficiare di un mix favorevole: forte contributo del ramo Vita, buona visibilità sugli utili e un P&C prevalentemente retail, meno esposto alla volatilità del ciclo industriale.

La crescita dei flussi nel ramo Vita, la qualità del nuovo business e la disciplina tecnica nel Danni sostengono una dinamica degli utili tra le migliori del settore europeo. Al tempo stesso, parte del mercato ritiene che molti di questi punti di forza siano già incorporati nel prezzo. L’assenza di catalizzatori nel breve e una gestione prudente delle riserve nel P&C possono limitare ulteriori rivalutazioni, dopo una fase di forte sovraperformance.

Il quadro che emerge è quello di una blue chip assicurativa di elevata qualità, con fondamentali robusti e capitale solido, ma per la quale il tema non è più la credibilità del modello industriale, bensì la capacità di sorprendere ancora il mercato oltre quanto già scontato nelle quotazioni. (riproduzione riservata)