Exor, con l’addio a Iveco ora John Elkann ha 4 miliardi in cassa per puntare su sanità, tech e lusso. Cosa farà?
Exor, con l’addio a Iveco ora John Elkann ha 4 miliardi in cassa per puntare su sanità, tech e lusso. Cosa farà?
Con la cessione di Iveco a Tata e della divisione Difesa a Leonardo, Exor continua il suo disimpegno dall’automotive. In cassa ora ci sono più di 4 miliardi per nuove acquisizioni nei settori salute, tecnologia e lusso. Come li spenderà Elkann?

di di Andrea Boeris 01/08/2025 20:00

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Il 30 luglio 2025 rimarrà una data simbolo. Per la prima volta Exor si libera definitivamente di una delle quattro ruote della sua storica produzione automotive, quella di bus e tir di Iveco. La macchina ora prosegue con le tre rimaste: Stellantis (auto), Ferrari (superbolidi di lusso) e Cnh (macchine agricole). Una cessione, quella della ruota Iveco, che non farà sbilanciare la holding della famiglia Agnelli-Elkann, almeno dal punto di vista finanziario. Tutt’altro.

La holding incassa 1,5 miliardi dalla cessione di Iveco

Exor ha annunciato la cessione del 27,1% in Iveco a Tata Motors, colosso automobilistico indiano, per 1,05 miliardi di euro. Ma l’operazione, che complessivamente farà sborsare agli indiani 3,8 miliardi con l’opa per delistare la società da Piazza Affari, non si ferma qui. Iveco ha venduto parallelamente la sua divisione Defence Vehicles a Leonardo per 1,7 miliardi, cifra che sarà redistribuita ai soci Iveco tramite un dividendo straordinario di 6 euro per azione. Per Exor significa un ulteriore incasso di 440 milioni, che fa salire l’incasso totale della doppia cessione a 1,5 miliardi.

Per il gruppo guidato da John Elkann è la chiusura simbolica (e strategica) di un ciclo storico legato all’industria pesante e alla meccanica tradizionale. Ma è anche l’ennesima prova, numeri alla mano, che l’erede designato dell’impero di Gianni Agnelli non si sta solo disimpegnando dall’automotive: sta cambiando pelle. Radicalmente.

Con l’addio a Iveco oltre 4 miliardi per fare acquisizioni

Agli 1,5 miliardi in arrivo in cassa dall’operazione Iveco vanno sommati i 2 miliardi netti rimasti dalla cessione del 4% di Ferrari avvenuta a febbraio (dei 3 miliardi incassati, 1 è stato destinato al buyback) e i quasi 600 milioni di liquidità presente a fine 2024. Complessivamente la holding si ritroverà presto con una disponibilità superiore ai 4 miliardi di euro. Una potenza di fuoco nelle mani di Elkann e del cfo di Exor, Guido De Boer.

Entrambi hanno affermato in più occasioni che il 2025 potrà essere l’anno di una nuova grande acquisizione: una quota significativa, tra il 10 e il 15%, di una società di circa 20 miliardi di euro, operante nei settori che rappresentano il nuovo asse strategico di Exor: tecnologia, sanità, lusso.

Il percorso di diversificazione intrapreso da Elkann

A ben vedere, il percorso che la holding sta seguendo è iniziato almeno dieci anni fa. Il primo passo risale al 2015 con la cessione di Cushman & Wakefield per 1,28 miliardi di dollari. Poi via le quote in Banijay, Banca Leonardo e, tra il 2018 e il 2019, Magneti Marelli, uno dei gioielli della componentistica automotive italiana, venduto per oltre 6 miliardi a KKR/Calsonic Kansei.

Quella su Marelli è l’avvio della ritirata strategica dall’auto e che proprio in questi giorni è tornata al centro dell’attenzione politica in Italia dopo che la società ha aperto negli Usa una procedura di Chapter 11: il ministro delle Imprese Adolfo Urso monitora da vicino la vicenda, con i sindacati che chiedono che Stellantis sostenga Marelli rinnovando i contratti sulle future forniture.

I numeri di Exor: Ferrari fiore all’occhiello

Risale invece al 2022 il capolavoro finanziario di Exor: l’acquisto e la successiva vendita a stretto giro del riassicuratore PartnerRe, ceduta ai francesi di Covéa per 9,3 miliardi con oltre 2 miliardi di plusvalenza netta. Nel frattempo Exor, con la fusione Fca-Psa è diventata il primo azionista di Stellantis (con il 14,2%) rimanendo così attaccata all’eredità di Fiat.

Ferrari resta il vero fiore all’occhiello, anche se pure il Cavallino ha smesso di essere intoccabile, come dimostra la cessione parziale di febbraio. Perché l’obiettivo non è più l’industria o la produzione, ma il valore. Oggi Exor ha un nav di circa 34 miliardi che in borsa viene tuttavia trattato con uno sconto di circa il 50%: oggi la holding capitalizza poco più di 17 miliardi.

La nuova filosofia che comanda in Exor

Negli ultimi dieci anni Exor ha dismesso partecipazioni per oltre 20 miliardi di euro. Non si tratta solo di una riallocazione tattica: è un mutamento profondo del modello di holding. Elkann ha spostato il baricentro da Torino ad Amsterdam (dove da tempo Exor ha sede legale e fiscale), dalla fabbrica all’investimento strategico, dall’Italia a un orizzonte sempre più europeo e transatlantico.

La filosofia è quella del value over control: non serve detenere la maggioranza ma entrare con quote rilevanti e giocare un ruolo da azionista attivo, con governance solida e visione di lungo periodo. È la lezione appresa anche da modelli come Berkshire Hathaway: agire meno come imprenditori operativi, più come architetti del capitale.

Quali sono le possibili prede di John Elkann?

Con oltre 4 miliardi in cassa, di cui sicuramente almeno 2 pronti a essere investiti, il radar di Exor è ancora più attivo. Tra le direzioni cui guarda, c’è la salute, oggi una delle sfide strategiche e allo stesso tempo più redditizie del XXI secolo. Exor è presente con quote importanti in Institut Mérieux (10%), specializzato in biotecnologie e vaccini, nelle cliniche italiane di Lifenet Healthcare (45%) - che potrebbe presto cedere ad Antin Infrastructure Partners e Cvc Capital Partners – e in Philips (17,5%), l’ex colosso dell’elettronica oggi sempre più focalizzato sui dispositivi medici. L’operazione del 2023 sulla società olandese, rilevata quando il titolo era in difficoltà, è considerata il modello da replicare: un grande nome, in una fase di svolta, con potenziale di rilancio e sinergie.

Oltre alla salute, Exor guarda con sempre più interesse alla tecnologia, e in particolare all’intelligenza artificiale. Il solido rapporto di stima e di confronto tra Elkann e Sam Altman, ceo di OpenAI, è la linea di congiunzione con un mondo in cui i margini sono altissimi e la competizione non si gioca sul costo del lavoro ma sulla capacità di innovare. Infine c’è il lusso, settore in cui Exor è presente con il 24% di Christian Louboutin acquistato nel 2021, oltre ad avere anche in Ferrari una realtà che risponde più alle logiche di quel comparto, che a quelle dell’auto.

Ecco qualche possibile target di Exor

Armani, stimata tra i 12 e i 15 miliardi di euro: sebbene non quotata, l’ipotesi di una futura apertura al capitale ha spesso fatto capolino tra gli analisti. La storica amicizia tra il 49enne Elkann e il 91enne Giorgio Armani potrebbe favorire un’operazione simbolica e di grande valore anche per l’immagine di Exor.

MF-Milano Finanza ha provato a individuare altre società quotate che rispettino quei parametri. Un esempio è la svizzera Straumann, multinazionale che capitalizza 20 miliardi ed è leader nell’implantologia dentale, in forte espansione e attiva in un segmento molto redditizio della salute. Oppure la francese Sartorius Stedim Biotech, 17 miliardi di capitalizzazione, uno dei nomi chiave nelle soluzioni per la produzione farmaceutica e biotecnologica, con una clientela composta dai big pharma mondiali. C’è un’altra francese, Dassault Systèmes (22 miliardi), attiva in software 3D per il design industriale, automotive e biomedical. Negli Usa c’è ResMed (20 miliardi di dollari): specializzata in dispositivi per disturbi respiratori, leader mondiale nella cura dell’apnea notturna, in crescita costante e ben posizionata nei mercati globali.

Ma cosa resta dell’Italia dentro Exor?

In tutto questo il disimpegno dal settore industriale italiano è sempre più evidente. Iveco (sede a Torino e circa 14 mila i dipendenti in Italia) perde l’azionista italiano, l’abbandonata Marelli è in crisi, Ferrari rimane l’asset più pregiato in portafoglio ma è parzialmente usata per monetizzare e Stellantis si muove da sempre come gruppo globale, lontana dalle vecchie logiche di Fiat.

Eppure Elkann non sembra nostalgico e una cosa è assolutamente chiara: Exor da tempo non è più la cassaforte di quella che fu la Fiat. Oggi è di fatto un fondo sovrano privato che affronta una partita globale. E che sta via via scegliendo nuovi campi da gioco. (riproduzione riservata)