L’economia statunitense è stata caratterizzata quest’anno da un paradosso: un mercato azionario in rialzo a fronte di un mercato del lavoro in rallentamento. La spiegazione potrebbe essere un boom della produttività, guidato in parte dall’intelligenza artificiale? È un’ipotesi plausibile alla luce del rapporto diffuso mercoledì, secondo cui l’economia è cresciuta di un robusto 4,3% nel terzo trimestre.
Il dato, pubblicato in ritardo a causa dello shutdown del governo, è risultato ben al di sopra della maggior parte delle previsioni. Nei sondaggi la fiducia dei consumatori è in calo, ma non lo si direbbe guardando al contributo di 2,4 punti percentuali fornito dalla spesa dei consumatori al Pil del terzo trimestre. Sanità, farmaci su prescrizione e viaggi internazionali sono stati i principali motori della crescita, con il settore sanitario che da solo ha rappresentato circa un terzo dell’aumento complessivo.
È un nuovo “boom dell’Ozempic” (il farmaco contro il diabete utilizzato per dimagrire, ndr) ? Intanto le compagnie aeree segnalano che i clienti più abbienti viaggiano di più all’estero e ringraziano un mercato azionario tonico, sostenuto dall’IA.
Una prima preoccupazione è che la spesa sia disomogenea. Molte aziende segnalano una frenata dei consumi tra le fasce di reddito medio-basse. General Mills ha dichiarato la scorsa settimana che i consumatori con redditi inferiori ai 100.000 dollari annui acquistano più spesso alimenti in promozione. Chipotle ha riferito in ottobre di un rallentamento della spesa tra i clienti più giovani e meno abbienti.
Un’altra fonte di preoccupazione è l’inflazione. L’indice core dei prezzi delle spese per consumi personali (al netto di alimentari ed energia) è salito al 2,9% nel terzo trimestre, dal 2,6% del secondo. Il reddito personale disponibile, però, è cresciuto solo del 2,8%, mentre il tasso di risparmio è sceso al 4,2%. Le persone non si sentiranno meglio riguardo all’economia finché i loro redditi non terranno il passo con l’aumento dei prezzi.
L’aumento delle esportazioni nette ha contribuito per 1,6 punti percentuali alla crescita. Gran parte di questo risultato è dovuta a un calo delle importazioni, dopo il boom di inizio anno, quando le imprese avevano anticipato gli acquisti per evitare i dazi. Una riduzione delle importazioni non è salutare se si traduce in prezzi più elevati per i consumatori o in una minore competitività delle aziende statunitensi, costrette a pagare di più per i componenti.
Gli investimenti delle imprese in macchinari hanno continuato a crescere in modo sostenuto (effetto IA?), mentre gli investimenti privati complessivi sono diminuiti a causa della flessione nell’edilizia residenziale e nelle strutture produttive. La Trumponomics, in sostanza, è una scommessa: l’impatto pro-crescita di deregolamentazione e tagli fiscali dovrebbe compensare i danni provocati dai dazi, che di fatto sono aumenti delle tasse. Basta immaginare quanto meglio starebbe andando l’economia senza i dazi. (riproduzione riservata)