Ecco come si tagliano gli extracosti dell’energia in Italia
Ecco come si tagliano gli extracosti dell’energia in Italia
Le aziende italiane pagano prezzi energetici superiori ai concorrenti europei. La Germania limita i costi a 50 euro/MWh, mentre in Italia restano sopra i 70-80 euro. Servono interventi per colmare il divario

di di Carlo Stagnaro* e Luca Lo Schiavo** 24/11/2025 20:43

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Le imprese italiane pagano prezzi dell’energia spesso superiori rispetto ai concorrenti europei. La situazione è destinata a peggiorare ora che la Germania ha annunciato un intervento per limitare a 50 euro/MWh la spesa per le industrie energivore: le loro omologhe italiane, pur tenendo conto degli sgravi esistenti, difficilmente possono scendere sotto 70-80. Ancora peggiore è la situazione per le pmi, su cui il peso degli oneri generali di sistema si scarica in modo più che proporzionale: con consumi pari al 26% del totale pagano il 40% degli oneri. Intervenire è urgente, ma che cosa si può fare?

Il dibattito italiano e le sue distorsioni

Da anni il dibattito italiano oscilla tra due estremi: ipotesi più o meno fantasiose di disaccoppiamento del prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica dal gas da un lato, meccanismi di redistribuzione interna tra categorie di consumatori dall’altro. Le prime sono forme di distrazione che non possono andare da nessuna parte, se parliamo di prezzi all’ingrosso (altra cosa sono i prezzi al dettaglio); i secondi sono la causa della sofferenza delle pmi. L’inflazione energetica italiana dipende dal livello sproporzionalmente alto di due voci della bolletta: gli oneri generali di sistema e il costo dell’energia all’ingrosso. In uno studio per l’Istituto Bruno Leoni, che verrà diffuso nei prossimi giorni, discutiamo alcune ipotesi di intervento.

Il peso degli oneri generali di sistema

Gli oneri generali oggi costano 11 miliardi di euro l’anno, perlopiù per i vecchi schemi di incentivazione delle fonti rinnovabili. Fortunatamente a partire dai prossimi anni essi caleranno con l’arrivo a scadenza degli incentivi: ma se la politica non approva una norma che impegni l’attuale e i futuri governi a blindarne la discesa naturale, il rischio è che i consumatori non vedranno mai questa riduzione, che verrà occupata da nuove manovre di spesa.

Un secondo passo è il progressivo trasferimento degli oneri dalla tariffa elettrica alla fiscalità generale. Si può prevedere un percorso progressivo, come suggerito dall’Arera. Dal 2022, per esempio, l’onere dello smantellamento delle centrali nucleari è stato spostato sul bilancio pubblico: bisognerebbe proseguire su questa strada partendo dall’onere delle agevolazioni per le imprese energivore, che è arrivato a costare 2 miliardi l’anno, a detrimento di consumatori domestici e pmi. Poiché si tratta di una scelta di politica industriale, dovrebbe essere spostata a carico della fiscalità generale per ridurre il gap di prezzo che pesa su imprese anche manifatturiere.

Nuove fonti di finanziamento per gli oneri

Per la parte residua degli oneri generali è possibile trovare fonti di finanziamento all’interno sia del bilancio pubblico che del sistema elettrico. Per esempio, la vendita dei permessi di emissione genera un gettito annuo attorno ai 2,6 miliardi. La metà viene per legge destinata all’abbattimento del debito pubblico, ma il resto? Sarebbe opportuno utilizzarne i proventi per finanziare la raccolta tariffaria. Questo sarebbe coerente sia coi vincoli europei sia con gli obiettivi di decarbonizzazione ed elettrificazione, in quanto consentirebbe di rendere l’energia elettrica più accessibile e competitiva.

Allo stesso fine dovrebbe essere destinato tutto o parte del gettito dei canoni concessori derivanti dalle gare per l’affidamento delle reti di distribuzione e delle grandi derivazioni idroelettriche, ma per le une è già stata approvata una potenziale proroga e per le altre si discute da tempo di «quarte vie». Il governo non ha alternative: o sceglie la concorrenza e la riduzione delle bollette oppure la tutela delle rendite.

La concorrenza per ridurre i prezzi all’ingrosso

La concorrenza è anche la chiave della riduzione dei prezzi dell’energia all’ingrosso. Se in altri Paesi questi sono molto inferiori è perché essi hanno saputo sfruttare meglio le fonti di energia con bassi costi variabili, come rinnovabili e nucleare. Quindi occorre semplificare la normativa e facilitare la realizzazione di nuovi impianti. Eppure, anche con l’attuale conformazione del mix, i prezzi italiani appaiono talvolta inspiegabili: perché, diversamente da altri Paesi Ue, raramente raggiungono lo zero e non scendono mai al di sotto, a dispetto di una penetrazione ormai significativa delle rinnovabili? In parte ci sono ostacoli regolatori ai prezzi negativi, che andrebbero rimossi.

Ma in parte è possibile che la responsabilità sia anche delle condotte opportunistiche degli operatori, fotografate dall’indagine dell’Arera sui mercati all’ingrosso nel biennio 2023-23, che ha evidenziato diffuse condotte di potenziale «trattenimento economico di capacità» per gonfiare i prezzi. L’enforcement delle regole deve essere rigoroso e probabilmente sarà uno dei primi dossier che il nuovo collegio dell’Arera dovrà affrontare, non appena sarà nominato.

Il peso dell’Ets e la necessità di un intervento europeo

Infine una parte consistente del prezzo dell’energia elettrica - stimabile in 25-30 euro/MWh - dipende dall’applicazione dell’Ets (il mercato europeo della Co2). Tuttavia esso oggi può dare ben poco contributo alla decarbonizzazione del settore elettrico: il carbone è già praticamente scomparso (l’anno scorso ha avuto una quota dell’1,7%), mentre il vantaggio competitivo delle rinnovabili è dato dai loro costi marginali bassi. E i prezzi attuali e attesi del gas garantiscono che queste potranno godere comunque di flussi di cassa significativi a prescindere dal costo della Co2. Il governo dovrebbe quindi aprire un tavolo in Europa per proporre l’esclusione del settore elettrico dal sistema Ets, quantomeno nei Paesi che hanno già stabilito l’abbandono del carbone. (riproduzione riservata)

*Direttore ricerche e studi
Istituto Bruno Leoni

**Senior Regulatory Specialist Erra