Ecco come Sam Altman ha legato i giganti della tecnologia a OpenAI
Ecco come Sam Altman ha legato i giganti della tecnologia a OpenAI
L’ondata di accordi del ceo di OpenAI ha convinto i colossi della Silicon Valley a vincolare il loro destino al gigante  dell’intelligenza artificiale, rendendolo di fatto «troppo grande per fallire» 

di Berber Jin (The Wall Street Journal)  21/10/2025 13:16

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Jensen Huang stava concludendo un viaggio in Asia per celebrare il Capodanno lunare lo scorso gennaio, quando Masayoshi Son, amministratore delegato di SoftBank, si è presentato alla Casa Bianca accanto a Sam Altman per annunciare quello che è stato definito il più grande progetto infrastrutturale di intelligenza artificiale della storia.

Per quasi un decennio, Huang – amministratore delegato di Nvidia – aveva fornito i chip di AI che avevano alimentato l’ascesa di OpenAI. Secondo fonti vicine al suo entourage, desiderava essere lui a presentare un accordo di tale portata insieme al ceo di OpenAI.

Poco dopo, Nvidia ha segretamente proposto a OpenAI un progetto simile, offrendo di mettere da parte SoftBank e contribuire a raccogliere i fondi necessari per costruire nuovi data center in autonomia. Le trattative si sono concluse con un colossale accordo da 100 miliardi di dollari tra le due aziende, annunciato il mese scorso presso la sede di Nvidia a Santa Clara.

«Questo è il più grande progetto di calcolo della storia», ha dichiarato Huang.

Altman, forse inconsapevolmente, aveva scatenato in lui la Fomo – la paura di restare indietro. E il contagio si è diffuso rapidamente.

Altman e la nuova corsa all’oro dell’AI

Per realizzare la sua visione di una potenza di calcolo virtualmente illimitata per OpenAI, Sam Altman ha dato il via a una frenetica sequenza di accordi, mettendo in competizione i giganti della Silicon Valley, ciascuno desideroso di trarre profitto dal futuro dell’azienda.

Questa corsa a chi investe di più ha intrecciato il destino dei maggiori produttori di semiconduttori e delle principali società di cloud computing – e, di riflesso, di ampie porzioni dell’economia statunitense – al successo di OpenAI, rendendola di fatto «troppo grande per fallire».

Tutti stanno scommettendo sul successo di una startup che non è ancora vicina alla redditività e che deve affrontare una lista crescente di sfide operative.

Gli investitori, tuttavia, non sembrano preoccupati.

Effetto OpenAI: la febbre del mercato

Negli ultimi due mesi, in quattro diverse occasioni, le azioni di Oracle, Nvidia, Amd e Broadcom sono schizzate in alto dopo l’annuncio di accordi con OpenAI, aggiungendo complessivamente 630 miliardi di dollari di valore di mercato in un solo giorno di contrattazioni. Ogni volta è seguita una più ampia ondata di rialzi tecnologici che ha contribuito a spingere Wall Street ai massimi storici.

«Le persone di maggior successo che conosco credono in sé stesse quasi fino al punto dell’illusione», scriveva Altman in un post del 2019 intitolato How To Be Successful, aggiungendo: «La fiducia in se stessi da sola non basta – bisogna anche saper convincere gli altri di ciò in cui si crede».

Una visione smisurata

Fin dal lancio virale di ChatGpt, Altman ha alimentato più di chiunque altro la narrativa sull’impatto epocale dell’intelligenza artificiale, profetizzando un mondo in cui la tecnologia troverà la cura per il cancro, offrirà tutor personalizzati a ogni studente del pianeta e genererà profitti infiniti per le aziende che la sostengono.

Ha dichiarato ai dipendenti che l’obiettivo a lungo termine di OpenAI è costruire 250 gigawatt di potenza di calcolo entro il 2033 – un piano che oggi costerebbe oltre 10 trilioni di dollari, sufficiente ad alimentare un paese di medie dimensioni come la Germania.

OpenAI dovrebbe generare 13 miliardi di dollari di ricavi quest’anno, una frazione infinitesimale dei 650 miliardi di spese computazionali che sta assumendo tra gli accordi con Nvidia e Oracle, secondo le stime del Wall Street Journal.

Il costo potrebbe avvicinarsi al trilione di dollari, se si includono anche Amd, Broadcom e i fornitori cloud come Microsoft.

Il rischio bolla

Gli impegni per costruire enormi quantità di chip e data center prima ancora che OpenAI possa permetterseli alimentano il timore che l’entusiasmo per l’AI si stia trasformando in una bolla basata sul successo di una sola azienda – e, sempre più, sulla visione di un solo uomo.

Alcuni partner di Altman stanno persino aiutando OpenAI a pagare i chip che acquistano, creando accordi circolari che sostengono artificialmente la domanda.

Altman sostiene che la società stia affrontando una carenza di potenza di calcolo così grave da dover ritardare il rilascio di nuovi prodotti. Crede tuttavia che le entrate cresceranno di pari passo con la capacità computazionale.

Questo mese, la nuova app video Sora è balzata in cima alla classifica dell’App Store, dimostrando che la capacità di OpenAI di creare prodotti virali va ben oltre ChatGpt.

«Ho imparato nella mia carriera, più e più volte, che bisogna semplicemente fidarsi dell’esponenziale», ha detto Altman durante un evento a Tokyo. «Non siamo costruiti per concepirlo, ma bisogna fidarsi».

Colazione a «Versailles»

Il quarantenne pioniere dell’AI non ha mai avuto paura di rischiare in grande. Abbandonò Stanford per fondare la sua prima azienda, arrivando perfino a finanziare le spese universitarie con le vincite del poker.

Dopo aver accumulato ricchezza, Altman ha investito somme ingenti in startup che inseguivano tecnologie futuristiche come le criptovalute e la fusione nucleare, assumendo debiti per ampliare la portata dei suoi investimenti, convinto del loro potenziale illimitato.

Non tutti i ceo, però, condividevano la sua aggressività.

L’anno scorso, Altman chiese all’ad di Microsoft, Satya Nadella, se la sua azienda fosse disposta a investire almeno 100 miliardi di dollari nella costruzione di nuovi data center per OpenAI, un progetto battezzato Stargate. Nadella rispose di no.

Ricevette lo stesso rifiuto dal colosso taiwanese dei chip Tsmc, dopo aver proposto un progetto da 7 trilioni di dollari per nuovi impianti di produzione in tutto il mondo. «Altman è troppo aggressivo perché io possa credergli», dichiarò il Ceo C.C. Wei nel 2024.

Altman si rivolse allora a Masayoshi Son, il visionario di SoftBank, desideroso di riscattarsi dopo una serie di scommesse sbagliate – tra cui un investimento da 16 miliardi fallito con WeWork.

Il sogno della singolarità

Son, ossessionato dall’idea della singolarità – il momento in cui l’AI supererà l’intelligenza umana – sognava di costruire fabbriche di robot alimentate dall’AI in tutto il mondo.

Quando Altman lo incontrò per cena nel 2023, sottolineò che nulla di ciò sarebbe stato possibile senza molta più potenza di calcolo. «Ho pensato: se di più è meglio, allora dovremmo farne moltissimo», ha raccontato Son durante un evento a Tokyo.

Nella speranza di concludere un accordo, Son invitò Altman a soggiornare per alcuni giorni nella sua villa di campagna vicino Tokyo – un’enorme tenuta costellata di statue di imperatori romani,  che i collaboratori chiamano «Versailles» per la somiglianza con la reggia di Luigi XIV.

Durante la colazione Altman presentò la sua visione: costruire con SoftBank una nuova società cloud che avrebbe finanziato e realizzato data center negli Stati Uniti per OpenAI. Son accettò di guidare l’iniziativa, annunciata come un piano da 500 miliardi di dollari, anch’esso chiamato Stargate.

Le tensioni con SoftBank e il ritorno di Microsoft

Il progetto ha incontrato ostacoli dopo disaccordi sui siti di costruzione, ma l’alleanza tra Altman e Son ha scatenato un’ondata d’investimenti. Le azioni di SoftBank sono salite dell’11% dopo l’annuncio alla Casa Bianca, insieme a quelle degli altri partner tecnologici coinvolti.

Pochi mesi dopo, OpenAI ha ricevuto centinaia di proposte per nuovi siti di data center.

Nel frattempo, Microsoft – il partner storico di OpenAI – sembrava perdere terreno. A gennaio, durante il World Economic Forum di Davos, Nadella ironizzò sull’annuncio di Stargate: «Tutto ciò che so è che io sono a posto con i miei 80 miliardi», disse ridendo, riferendosi al budget previsto da Microsoft.

Ma le tensioni erano reali: alcuni dirigenti di Redmond iniziavano a dubitare della sostenibilità delle ambizioni di Altman.

In febbraio, Microsoft ha autorizzato OpenAI a trovare potenza di calcolo anche presso altri fornitori cloud. Pochi giorni dopo, Oracle ha colto l’occasione e firmato un contratto da 300 miliardi di dollari, portando il suo titolo a un rialzo del 40%.

L’accordo con Nvidia

In estate, le trattative tra OpenAI e Nvidia per un proprio progetto infrastrutturale sembravano essersi arenate. Poi, il 27 giugno, il sito The Information ha pubblicato un articolo secondo cui OpenAI avrebbe iniziato a noleggiare i chip Tpu di Google per alimentare ChatGpt.

L’indiscrezione ha creato agitazione nella sede di Nvidia a Santa Clara.

Dopo la pubblicazione, Huang ha chiamato Altman per chiarire la situazione e si è detto pronto a riprendere i negoziati. Poco dopo, Nvidia ha pubblicato un post sul suo account X mostrando un articolo in cui OpenAI negava di voler usare i chip di Google.

Il risultato è stato un accordo mastodontico: fino a 5 milioni di chip Nvidia noleggiati a OpenAI per un valore di 350 miliardi di dollari, con la possibilità per Nvidia di investire ulteriori 100 miliardi per aiutare la startup a sostenere l’operazione. (riproduzione riservata)