Ecco 16 azioni europee da comprare ora: le vere occasioni di un mercato troppo spesso ignorato
Ecco 16 azioni europee da comprare ora: le vere occasioni di un mercato troppo spesso ignorato
Negli indici globali i Paesi Ue pesano meno del 10%. E sono ormai fuori dal treno dell’AI. Ma tra valutazioni basse e grandi piani di spesa ora hanno una chance per ripartire e affrancarsi dagli Usa. Quali azioni scegliere oggi

di di Marco Capponi 12/12/2025 20:00

Ftse Mib
43.990,48 23.50.36

-0,29%

Dax 30
24.076,87 23.50.36

-0,63%

Dow Jones
48.114,26 23.50.36

-0,62%

Nasdaq
23.111,46 23.50.36

+0,23%

Euro/Dollaro
1,1750 23.38.39

-0,20%

Spread
65,86 17.29.56

-2,05

Un investitore che oggi scommettesse sul più diversificato indice di azioni dei mercati sviluppati globali, l’Msci World, si troverebbe più esposto ai titoli Nvidia e Apple (circa l’11%) che all’intera Unione Europea, ferma sotto il 10%. Se si aggiungono Regno Unito, Svizzera e Norvegia l’Europa allargata raggiunge appena il 15%, meno di un quarto rispetto agli Stati Uniti.

Un indice di questo tipo, chiaramente, non fa altro che fotografare la composizione del mercato: ma fa comunque riflettere sul fatto che gli Stati Uniti, il cui peso sul pil globale è di circa il 25%, rappresentino più del 70% della capitalizzazione di borsa globale.

La grande dimenticata

Che l’Europa, negli ultimi decenni, sia passata da centro nevralgico del mondo ad attore secondario è ormai un dato di fatto. Lo dimostra il fatto che, perso il treno della grande rivoluzione tecnologica di Internet, ora sembra arrancare - salvo qualche sparuto caso virtuoso - anche nell’innovazione dell’intelligenza artificiale. Non a caso la tecnologia, che negli indici globali rappresenta il 30% della capitalizzazione complessiva, nello Stoxx 600 (il più grande paniere di azioni dell’Europa allargata) è solo il sesto settore, fermo all’8%.

C’è anche un motivo tecnico per cui l’Europa è sempre più debole sul fronte azionario, anche a livello di governance. Lo spiega Laurent Chaudeurge, membro del comitato investimenti della società di gestione Bdl Capital Management, specializzata proprio sull’azionario europeo. «Oggi gli investitori Usa detengono quasi il 25% del flottante delle società europee. Ma, per effetto della gestione passiva, l’influenza degli Stati Uniti sulla governance delle imprese del continente è probabilmente il doppio, ovvero la maggioranza del capitale circolante». Infatti, evidenzia il money manager, «la gestione passiva è un quasi-oligopolio di tre gestori americani che applicano principi di governance generici imposti da due proxy advisor Usa, Iss e Glass Lewis: ciò significa che l’enorme maggioranza degli attivi in gestione passiva vota nelle assemblee secondo le raccomandazioni di questi organismi americani».

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Piccoli alla riscossa

Da queste premesse ad auspicare la cancellazione dell’Unione Europea come hanno fatto Elon Musk e, indirettamente, Donald Trump, il salto quantico è tuttavia abissale. Tanto più che l’Europa, ormai da tempo ai ferri corti con il tradizionale alleato transatlantico, oltre che alle prese con la minaccia russa ai suoi confini orientali, ha iniziato a ragionare attivamente sulla propria sovranità.

Un concetto già declinato dai grandi piani di spesa per la difesa e per le infrastrutture, che nei prossimi anni metteranno in moto, se confermati, oltre mille miliardi di euro di risorse. Non finisce qui. «L’Europa ha oggi valutazioni più attraenti rispetto agli Usa e minore concentrazione rispetto all’S&P 500», ricorda Chaudeurge. Basti pensare che la prima società dello Stoxx 600, l’olandese Asml (chip) pesa il 2,9% dell’indice, contro l’8,5% di Nvidia nel più grande paniere di azioni americane.

Inoltre, segnala il money manager, nel Vecchio continente ci sono storie «di qualità industriale elevatissima: leadership globali nell’ingegneria, nell’automazione, nell’energia, nella salute». Senza contare che «il processo di sovranità economica europea genera capex (spese in conto capitale, ndr) strutturali in difesa, energia, infrastrutture digitali e transizione elettrica».

Le 16 da sovranità europea

Considerate le premesse, Bdl Capital ha composto per MF-Milano Finanza un paniere di 16 titoli europei (tutti quotati nelle borse Ue tranne uno inglese) che sono in grado, secondo gli strategist della società di gestione, di rafforzare la sovranità industriale e tecnologica dell’Europa.

Nella tabella in basso ne vengono indicati capitalizzazione di mercato, total return nel 2025, potenziale di crescita secondo il consenso degli analisti (il valore medio è del 12,1%, quello mediano del 13,2%) e valutazioni rispetto alla media degli ultimi cinque anni. Non sono titoli necessariamente a buon mercato, anzi: trattano in media a un multiplo di quasi 19 volte gli utili attesi, contro le 14,7 volte dell’indice Msci Europe. Ma rimangono comunque ben più economici delle azioni Usa, che trattano quasi a 23 volte gli utili stimati.

Le italiane in rosa

La selezione di Bdl Capital include quattro macro-aree: energia e infrastrutture, difesa e sicurezza, tecnologia e automazione («per ridurre la dipendenza da Usa e Asia su semiconduttori e robotica», evidenzia Chaudeurge), comprese anche aree come salute e scienze della vita, e automotive.

La rosa parla anche molto italiano. Compare ad esempio il nome di Prysmian, azienda che combina «un ciclo di domanda strutturalmente favorevole, margini in miglioramento, visibilità pluriennale e crescente capacità di allocazione del capitale», peraltro con «generazione di cassa molto solida, attesa nel range 1,1-1,2 miliardi», elenca il money manager.

A fianco al produttore di cavi per energia e telecomunicazioni c’è Leonardo su cui il consenso degli analisti, nonostante il +700% messo a segno negli ultimi cinque anni, vede ancora margini per un apprezzamento del 21%. «L’azienda ha migliorato margini, generazione di cassa e disciplina finanziaria, con un leverage oggi sotto controllo». E nonostante «il miglioramento operativo, il titolo tratta ancora con uno sconto significativo rispetto ai competitor europei e americani», elenca Chaudeurge.

Per finire c’è Technoprobe, una delle poche aziende tecnologiche quotate a Piazza Affari. Il consenso è un po’ freddo sul titolo, che quest’anno ha registrato un total return del 133%: gli analisti che lo coprono indicano un downside potenziale del 17%. Ma per Bdl Capital questo pessimismo non è condivisibile: la società della famiglia Crippa è infatti «uno dei due leader mondiali nelle probe card per semiconduttori (strumenti che servono per testarne il funzionamento, ndr), un oligopolio globale con barriere tecnologiche elevatissime». Le probe card, aggiunge il money manager, «rendono Technoprobe un fornitore critico per Tsmc, Samsung, Intel, Nvidia e Qualcomm, nonché un beneficiario diretto del boom dell’AI».

Tra indipendenza e monopolio

Il caso di Technoprobe è emblematico delle due facce della sovranità europea. Da una parte ci sono titoli che possono beneficiare dell’emancipazione del continente dagli Stati Uniti (come quelli della difesa o delle infrastrutture).

Dall’altra, società che forniscono prodotti e servizi di cui sono leader mondiali, e quindi indispensabili anche negli Usa. Ne è un esempio la britannica Convatec, specializzata nella cura di malattie croniche, «leader nella vendita di cateteri negli Usa e in business legati a bisogni cronici, caratterizzati da domanda stabile e poca ciclicità».Oppure la spagnola Fluidra, «leader mondiale del mercato delle piscine, con il 45% delle vendite in Nord America», conclude Chaudeurge. Insomma, il messaggio è chiaro: se l’Europa vuole essere davvero sovrana, deve essere anche insostituibile. In primis dagli stessi Stati Uniti. (riproduzione riservata)