Dove può arrivare Wall Street? Tutte le incognite che incombono sulle borse Usa dal ritorno di Donald Trump alle mosse della Fed
Dove può arrivare Wall Street? Tutte le incognite che incombono sulle borse Usa dal ritorno di Donald Trump alle mosse della Fed
A novembre il Tycoon potrebbe rientrare alla Casa Bianca, e la sua rielezione, dicono gli esperti, potrebbe avere una serie di conseguenza sui mercati. La riunione Fed di settembre dovrebbe poi aprile la stagione dei tagli dei tassi. Secondo gli analisti le mid e small cap dovrebbero recuperare terreno

di Sara Bichicchi 19/07/2024 20:04

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Senza Nvidia l’S&P 500 avrebbe dovuto dire addio a 450 punti di crescita da inizio anno. Togliendo anche Apple, l’indice avrebbe dovuto rinunciare ad altri 130 punti. Questi numeri dicono almeno una cosa del rally delle borse americane, che nonostante il calo delle ultime sedute viaggiano su livelli record: finora la cavalcata è stata guidata dai Magnifici 7 (Nvidia, Meta, Apple, Amazon, Microsoft, Alphabet e Tesla) e da una minoranza di società in prevalenza legate al settore tecnologico. Ma durerà? Tra le elezioni presidenziali in programma per novembre, le tensioni geopolitiche con la Cina e le prossime mosse della Federal Reserve, sono numerose le incognite che aleggiano su Wall Street. Elementi da tenere in considerazione per investire sul mercato a stelle e strisce.

Wall Street, il rally non è finito

La corsa dei listini, secondo gli esperti, potrebbe non essersi ancora esaurita. «Veniamo da oltre 350 sedute senza un calo superiore al 2%, perciò ora è naturale aspettarsi qualche correzione, tenendo conto del fatto che il terzo trimestre tradizionalmente è quello meno favorevole per l’indice S&P 500; sul lungo periodo però resto ottimista», osserva Gabriel Debach, market analyst di eToro. Nelle prossime settimane l’andamento dei listini potrebbe intanto risentire dei risultati delle trimestrali, inaugurate dai grandi istituti di credito. «I conti in arrivo saranno un driver importante per gli indici», ribadisce Filippo Diodovich, senior market strategist di Ig Italia. «I risultati delle banche hanno restituito luci e ombre, evidenziando un potenziale raffreddamento della ripresa economica. Ora aspettiamo di vedere le big tech». I Magnifici 7, e in generale i titoli tecnologici, arrivano all’appuntamento trimestrale con multipli già tirati e grandi aspettative. «Abbiamo valutazioni di partenza piuttosto elevate, ma anche gli utili potenziali appaiono molto alti nel comparto tech», sottolinea Robert Griffiths, global equity strategist di Lgim. «Le aspettative sono molto elevate e il non riuscire a rispettarle, anche se di poco, non sarebbe ben accolto dagli investitori».

Le borse americane potrebbero poi beneficiare di un allentamento della politica monetaria della Fed, dato quasi per certo a settembre. «Nei prossimi mesi potremmo vedere un ulteriore rialzo, soprattutto dopo la riunione della Fed», conferma Diodovich. «Nel medio periodo mi aspetto qualche tensione in vista delle elezioni e soprattutto una rotazione settoriale dai titoli tecnologici verso le small cap che costituiscono l’indice Russell 2000».

L’«effetto Trump»

La riscossa delle piccole potrebbe essere favorita non soltanto dal taglio dei tassi d’interesse, che renderebbe meno gravoso il rifinanziamento del debito, ma anche da una vittoria di Donald Trump a novembre. Il programma di Trump, sintetizzato dallo slogan «Make America Great Again», contiene infatti una serie di misure a favore del tessuto produttivo americano: tagli delle tasse, deregolamentazione, dazi sui prodotti importati. Tutte promesse che, se mantenute, andrebbero ad agevolare proprio le mid e small cap. «Ci aspettiamo da tempo una rotazione del portafoglio», ricorda Debach. L’atteso recupero delle pmi, però, finora è stato sempre rimandato.

Un «effetto Trump» sui mercati potrebbe influire su alcuni settori specifici nei prossimi mesi, ma secondo lo strategist di eToro non sarà generalizzato: «Guardando a quello che è successo quando Trump è stato eletto nel 2016, l’effetto che ci aspettavamo non si è verificato», ricorda Debach. «Il mercato può reagire nel breve termine, ma nel lungo periodo guarda all’intero sistema economico, indipendentemente dall’inquilino della Casa Bianca». Nell’ultima settimana, ad esempio, alcune dichiarazioni del tycoon, che ha di fatto invitato Taiwan a provvedere da sola alla sua difesa, unite a indiscrezioni su nuove restrizioni alle esportazioni verso la Cina, hanno appesantito i titoli della filiera dei chip: da Nvidia ad Arm, Tsmc, Broadcom e Qualcomm, tutte le principali società del settore hanno perso terreno.

Chi vince in caso di Trump bis 

In generale «i comparti sensibili all’andamento del commercio internazionale e alle tariffe doganali sono crollati», nota Griffiths. Al contrario, le società legate alla difesa, ma anche al petrolio e alle fonti di energia tradizionali, potrebbero ricevere una spinta dall’eventuale rielezione di Trump, considerata ormai probabile dai sondaggi: l’ultima rilevazione effettuata da YouGov per Cbs News prevede una vittoria del tycoon con il 52% contro il 47% di Biden (dati al 18 luglio).

«Alcuni settori ‘pro Trump’ hanno fatto registrare dei rally di mercato: è il caso del petrolio, che sta scontando una maggiore propensione verso le fonti energetiche tradizionali, o del bancario, che potrebbe beneficiare di una forte deregolamentazione in caso di vittoria del Grand Old Party», sostiene Eric Turjeman, co-cio of mutual funds di Ofi Invest Am. «Se i Democratici dovessero prevalere, il tema dell’energia pulita dovrebbe presentare più opportunità per gli investitori, visto che i Democratici si sono sempre espressi a favore di un forte sostegno federale all’energia green», aggiunge Morgane Delledonne, head of investment strategy Europa di Global X.

Trump invece potrebbe adottare una politica più permissiva verso le nuove trivellazioni e sostenere così la produzione di greggio made in Usa. Una svolta che avrebbe un impatto positivo sui titoli del settore, ma non sui prezzi del petrolio. Sulle quotazioni dell’oro nero, secondo Diodovich, «l’impatto di un Trump bis potrebbe essere marginalmente negativo». Un aumento dell’estrazione negli Stati Uniti contribuirebbe infatti a creare un eccesso di domanda che spingerebbe al ribasso i prezzi.

Un altro comparto che potrebbe trarre vantaggio da un secondo mandato del tycoon è quello della difesa. «Una vittoria repubblicana comporterebbe probabilmente un aumento degli investimenti in infrastrutture per promuovere ulteriormente il reshoring e la difesa», spiega Delledonne. «Storicamente le amministrazioni repubblicane favoriscono l’aumento della spesa per la difesa, come dimostrano proposte come quella del senatore Roger Wicker di aumentare la spesa per la difesa al 5% del prodotto interno lordo».

Oro ancora in rally

Tra i beni rifugio gli esperti consigliano di tenere d’occhio i movimenti dell’oro, che nella settimana del 15 luglio ha superato i 2.400 dollari l’oncia, salvo poi ripiegare poco sotto questa soglia (dati a venerdì 19 luglio). Nei prossimi mesi «potremmo assistere a una rotazione verso un posizionamento difensivo dei portafogli, con una maggiore domanda di oro in presenza di un possibile inasprimento delle tensioni commerciali globali», ipotizza Delledonne, tenendo conto dell’approccio isolazionista e protezionista che Trump ha tenuto durante il suo primo mandato e che continua a mostrare in campagna elettorale.

Un movimento opposto potrebbe coinvolgere il dollaro. Per il biglietto verde Diodovich si aspetta «un leggero calo come conseguenza della politica monetaria della Fed e di eventuali misure protezionistiche di un Trump bis». Anche un nuovo aumento del debito statunitense, che alcuni analisti ritengono possibile con Trump alla Casa Bianca, potrebbe indebolire la valuta statunitense. «Un’estensione del Tax Cuts and Jobs Act del 2017 (i provvedimenti su tasse e lavoro di Trump, ndr) potrebbe aggravare i deficit federali», dice Delledonne. Uno scenario che, a cascata, avrebbe un impatto sui bond statunitensi a 10 anni che venerdì 19 si mantenevano sopra il 4,2%. Un deficit più alto potrebbe «determinare un aumento dei rendimenti dei Treasury, pesando sul dollaro in termini reali», precisa Delledonne.

Su questo punto però c’è anche chi crede che l’impatto sul T-bond sarà tutto sommato limitato. «Trump punterebbe molto sull’abbassamento delle tasse compensato da una minore spesa governativa, un cambiamento di politica fiscale che a mio avviso non dovrebbe influenzare i rendimenti dei bond statunitensi che con i primi tagli della Fed dovrebbero iniziare a scendere», sostiene Diodovich. (riproduzione riservata)