Dopo il risiko bancario arriva l'ora dei piani industriali e il mercato si chiede se le promesse fatte ai soci saranno mantenute
Dopo il risiko bancario arriva l'ora dei piani industriali e il mercato si chiede se le promesse fatte ai soci saranno mantenute
Le banche italiane disegnano le strategie 2026-2027 tra crescita dei prestiti, spinta sulle commissioni e digitalizzazione. Ma il consolidamento potrebbe non essere ancora finito

di di Luca Gualtieri 19/12/2025 21:00

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Dopo il consolidamento per le banche italiane è ora di stringere i bulloni dei modelli di business. Non è detto che il risiko sia finito ma, anche senza operazioni straordinarie, l’agenda ufficiale del 2026 e del 2027 è già fitta per gli istituti di credito. A tenere banco saranno soprattutto i piani industriali che quasi tutti i gruppi dovranno presentare al mercato.

Il contesto macroeconomico

La stagione dei tagli dei tassi sembra finita e Morningstar si aspetta un miglioramento degli interessi netti per il combinato disposto dello stop ai tagli e della crescita dei prestiti. Qualche incertezza in più pesa sulla componente commissionale che negli ultimi trimestri ha sostenuto i ricavi. Per gli esperti la volatilità dei mercati, che ha spinto i guadagni da trading e capital markets nel 2025, dovrebbe diminuire e le valutazioni degli asset potrebbero ridursi dai livelli attuali molto elevati. La profittabilità sarà comunque garantita da politiche attente sul lato dei costi, come spiega Scope Rating che prevede un rapporto costi/ricavi mediano previsto sotto il 53% a livello europeo.

Montepaschi: un cambio di marcia radicale

Il primo istituto a misurarsi con un piano industriale sarà Montepaschi, reduce dall’opas da 14 miliardi su Mediobanca. Il ceo Luigi Lovaglio è al lavoro sulla strategia con McKinsey (per cui è in pista il team del senior partner Maurizio Donato). In termini di business mix ci si aspetta che il cambio di marcia sia radicale. Se infatti nel vecchio Monte i profitti operativi arrivavano quasi integralmente dal retail (49%) e dal corporate (48%) con una componente marginale di cib (3%), nella combined entity Mps-Mediobanca, la base commissionale dovrebbe macinare il 73% dei profitti operativi, ripartiti tra corporate (27%), credito al consumo (18%), assicurazioni (11%), private banking/wealth management (8%) e investment banking (11%). Il mantenimento delle promesse fatte al mercato dipenderà molto dalla capacità dei due istituti di lavorare in modo sinergico.

Per esempio Lovaglio punta a integrare i business di Widiba e Mediobanca Premier sul modello di Fineco e a sfruttare l’investment banking di Piazzetta Cuccia non solo per le grandi imprese, ma anche per le mid cap oggi servite dalla rete Mps. Per mettere completamente a frutto queste strategie bisognerebbe però arrivare a una fusione tra Mps e Mediobanca e al successivo scorporo delle attività che resteranno sotto il brand della merchant. Un passaggio previsto dai documenti di offerta ma ancora oggetto di confronto tra il top management e i grandi soci.

Bper: rafforzare la componente commissionale

La banca di Modena nasce come istituto regionale con focus sul retail e si è sviluppata attraverso acquisizioni graduali sotto la regia del primo azionista, Unipol, ampliando progressivamente la rete di sportelli e la base clienti. Nell’ottobre 2024 il gruppo ha presentato il piano industriale 2024-2027, volto a rafforzare la componente commissionale, prevedendo un incremento della raccolta gestita e delle attività di wealth management tramite le fabbriche Banca Cesare Ponti e Arca sgr, integrate con le attività corporate.

La strategia era impostata per compensare la riduzione del margine di interesse con l’incremento delle commissioni da servizi di investimento, bancassurance e prodotti personalizzati, prevedendo contestualmente la crescita dei crediti alla clientela con un approccio prudente. Il vecchio piano includeva anche investimenti significativi per lo sviluppo tecnologico e la sicurezza dei sistemi, a supporto delle fabbriche prodotto e dei canali di distribuzione.

Se le promesse saranno mantenute, nel nuovo piano previsto entro giugno l’acquisizione della Popolare di Sondrio dovrebbe rafforzare questa strategia con un’estensione della base clienti e dei volumi di prestiti e una maggiore integrazione delle attività di wealth management con le fabbriche esistenti.

Intesa Sanpaolo: digitalizzazione e continuità

La Ca’ de Sass si è tenuta fuori dal risiko e il nuovo piano industriale, atteso per i primi mesi del prossimo anno, sarà rilevante anche perché potrà fare leva solo su motori interni in continuità con l’impostazione degli ultimi esercizi.La banca potrebbe completare la transizione verso un’infrastruttura IT basata sul cloud, riducendo progressivamente l’utilizzo dei grandi sistemi informatici centrali tradizionali. La nuova piattaforma, denominata Isytech, costituirà il nucleo della strategia tecnologica, con l’obiettivo di centralizzare le operazioni bancarie, semplificare l’architettura dei sistemi e contenere i costi operativi.

L’anticipazione è stata fornita alla presentazione dell'ultima trimestrale dal consigliere delegato Carlo Messina che ha indicato come i massicci investimenti fatti in questo ambito saranno una componente decisiva del prossimo ciclo di piano. La digitalizzazione non è una novità per Intesa. Già nella strategia 2022-2025 il gruppo aveva posto la trasformazione tecnologica tra i pilastri, puntando a innovare il modello distributivo. Al centro c’era allora Isybank, una banca digitale costruita da zero internamente al gruppo come entità autonoma rispetto alla rete tradizionale, con architettura nativa in cloud e processi completamente digitali.

Accanto alla leva tecnologica, il nuovo piano dovrebbe consolidare la strategia reddituale delineata nel 2022-2025, con il baricentro ben ancorato ai ricavi commissionali. In questo contesto la consulenza, il wealth management e l’attività assicurativa sono fonti di ricavi stabili e hanno il compito di bilanciare la volatilità del margine di interesse. Le fabbriche prodotto del gruppo, come Eurizon e Fideuram per la gestione del risparmio, e le società assicurative rimangono strettamente integrate con la rete commerciale, consentendo di sviluppare in modo coordinato le diverse linee di business, di offrire servizi personalizzati e di rafforzare il valore complessivo del cliente.

Messina ha più volte escluso grandi acquisizioni, anche se al mercato non dispiacerebbe un’operazione in linea con la strategia del gruppo. Per gli analisti sulla carta potrebbe funzionare una possibile alleanza con le Generali nel comparto dell’asset management, soprattutto dopo che i negoziati tra il Leone e Natixis sono stati recentemente interrotti. La ratio industriale di un’operazione del genere sarebbe chiara: unire due grandi poli italiani del risparmio e creare così un campione europeo in grado di competere con i grandi player internazionali come BlackRock e Jp Morgan, consolidando asset complessivi gestiti potenzialmente nell’ordine di centinaia di miliardi di euro. Per ora però non c’è nulla sul tavolo e il piano, come sempre in questi casi, sarà elaborato su base stand alone. In futuro si vedrà. (riproduzione riservata)