Dopo averla salvata, ora il dottor Lovaglio deve rilanciare su Mps
Dopo averla salvata, ora il dottor Lovaglio deve rilanciare su Mps
L’inchiesta sul concerto di Caltagirone e Milleri lo ha solo sfiorato. Ora deve dimostrare ancor di più l’assoluta autonomia con cui ha portato una banca a un passo dal crack a comprare Mediobanca e a incidere sul futuro delle Generali

di di Paolo Panerai 05/12/2025 19:30

Ftse Mib
43.432,77 23.50.46

-0,20%

Dax 30
24.028,14 23.50.46

+0,61%

Dow Jones
47.954,99 2.56.07

+0,22%

Nasdaq
23.578,13 23.50.46

+0,31%

Euro/Dollaro
1,1645 23.00.29

-0,09%

Spread
68,77 17.30.03

-1,62

Chi è l’azionista di riferimento di Mps e quindi di Mediobanca?

A Siena non hanno dubbi: la Delfin, guidata da Francesco Milleri. In effetti la società fondata da quel genio che è stato il martinitt Leonardo Del Vecchio, e ora ottimamente gestita e sviluppata dal suo ex-braccio destro Francesco Milleri, che l’ha portata a livelli straordinari di valore unitamente alla controllata EssilorLuxottica, ha la quota maggiore nella banca secolare senese ed esattamente il 17,533% a fronte del 10,26% del gruppo Caltagirone.

Ma al di là della percentuale, conta il rapporto e quello con Milleri viene appunto vissuto dalla banca come quello che occorre avere con l’azionista di riferimento. E il gruppo Caltagirone? Ha forse la tigna? Sì, a Siena sono diventati guardinghi e non solo e non tanto per il vecchio posizionamento della città, che in passato era sempre stata guidata da partiti di sinistra e ora in realtà sarebbe in sintonia con le posizioni politiche del gruppo romano avendo un’amministrazione comunale decisamente spostata a destra. Ma per i senesi la loro banca non è tanto una questione politica, quanto esistenziale (insieme al Palio) della città stessa.

Tutte le conseguenze del posizionamento

Se questo posizionamento è vero, come è vero, che cosa ne consegue?

Non poco perché fra il ghigno in voga nel gruppo Caltagirone e la faccia distesa, quasi timida, di Milleri, c’è un mare che si sta inevitabilmente allargando. L’unione del passato era cementata dal comune sentimento negativo verso Mediobanca, anche se per ragioni diverse. Nel caso di Milleri è per l’offesa che l’allora ad di Mediobanca, Alberto Nagel, aveva inferto al suo capo Del Vecchio rifiutando la donazione di ben 500 milioni di euro, che l’ex-martinitt inventore di Luxottica voleva fare a favore dell’ospedale oncologico IEO e di conseguenza del controllato Cardiologico Monzino, di fatto controllati tutti e due da Mediobanca.

Nel caso di Caltagirone, è stato per il tradizionale ostracismo di Enrico Cuccia verso le posizioni politiche di destra spinta del gruppo Caltagirone, nonostante il regalo che lo stesso Cuccia aveva fatto al gruppo romano negli anni ’90 determinando il passaggio nelle sue mani del controllo de Il Messaggero, quotidiano dominus della piazza politica romana e perno di una catena di giornali che ora vanno dalla Puglia fino a Venezia (ma non fino a Trieste, dove il gruppo romano avrebbe voluto avere con Il Piccolo un’arma in più verso Generali, senza riuscirci perché ad acquistare tutti i giornali del nord-est è stato il gruppo folto di imprenditori veneti guidati dal banchiere Enrico Marchi).

Una profonda differenza

Di questa profonda differenza fra Milleri e Caltagirone, a Mps sono più che consapevoli con le conseguenze che ne derivano, peraltro appunto supportate anche da quel delta di quota azionaria fra i due gruppi di più di sette punti. Non che nelle dichiarazioni ufficiali e anche in quelle intercettate dagli inquirenti che si stanno occupando del concerto nell’operazione Mps-Mediobanca traspaia minore simpatia verso il gruppo Caltagirone, anzi.

Ma si ritiene che l’azionista di riferimento sia appunto e con legittimità Delfin guidato da Milleri, che peraltro ha la possibilità concessa dalla Bce, che vigila sulle banche, di arrivare fino al 20%. Lo farà? Una buona occasione potrà essere il momento, come appare probabile, in cui Mps vorrà arrivare al 100% di Mediobanca proponendo agli azionisti residui appunto di fare lo scambio per delistare la banca creata da Cuccia. In quel momento le quote dei due azionisti in Mps si diluiranno, anche se non di molto ed è probabile che Milleri decida di utilizzare le enormi risorse di Delfin per risalire. Nel caso farà altrettanto il gruppo Caltagirone? Anche le sue risorse sono elevate ma non paragonabili a quelle di Delfin, come testimonia anche quella operazione, richiesta mesi fa, di un finanziamento di 500 milioni di euro, che dal gruppo romano fu richiesto, e ottenuto, da Intesa Sanpaolo.

Un altro importante risvolto

Questo posizionamento della banca senese è sicuramente motivato anche da un altro risvolto preciso, e cioè tentare di smentire nei fatti e non a parole quanto emerge dalle intercettazioni della magistratura indagante sul possibile concerto. E cioè in particolare, la telefonata di congratulazioni fatta dal capo del gruppo Caltagirone all’ad di Mps, Luigi Lovaglio. Forse per schernirsi, da uomo di mondo com’è, il risanatore dell’Mps rivolge ogni merito del successo della scalata a Mediobanca allo stesso gruppo Caltagirone.

Erano parole autentiche o di circostanza verso una persona e un sistema che con l’arma de Il Messaggero a Roma, a destra, pesa molto? La risposta verrà dalle evoluzioni prossime, ma proprio a Siena viene ricordata la serietà e l’indipendenza di Lovaglio, che in tre anni ha risanato una banca iper-centenaria che sembrava destinata al crack. Ed è proprio la serietà professionale e la determinazione di Lovaglio che ora viene ricordata, al di là della cortesia verso azionisti di peso, ma non decisivo.

A che punto era Mps quando è arrivato Lovaglio

Comunque, l’analisi finale spetta alla magistratura, anche se nessuno può dimenticare a che punto, quasi di crack, era arrivato Mps. Appena arrivato Lovaglio, con un passato di successo a Unicredit, anche nelle controllate estere, e un passaggio rapido di risanatore nel Credito Valtellinese finito poi a Crédit Agricole, ha preso di petto la gestione e scegliendo come braccio destro, Maurizio Bai, che era rimasto come unico baluardo di fronte alla disfatta della banca, ha riportato la banca stessa appunto a essere in grado di conquistare Mediobanca.

Non vi è dubbio che Lovaglio ha trovato comprensione e sostegno nel ministro Giancarlo Giorgetti, che certamente in primo luogo aveva l’obiettivo di salvare Mps e tutti i capitali che lo Stato era stato costretto a immettere perché la più antica banca del mondo non fallisse. Giorgetti, che comunque è un politico, ha anche tenuto conto di altri coté? Non si può escludere e le indagini accerteranno o meno l’esistenza del concerto per il quale le prove non mancano. Ma saranno i prossimi mesi a indicare che politica Lovaglio e i suoi collaboratori vorranno fare: se sottomessa a chi appare cantore primario, più che possibile del concerto, anche in virtù del modus operandi che lo contraddistingue da sempre, oppure se Lovaglio ha semplicemente flirtato per l’obiettivo principale di rilanciare la banca.

Il nodo Generali

Per capire e accertare tutto questo conteranno non solo i fatti accaduti ma anche le scelte prossime, a cominciare dalla fusione di Mps con Mediobanca che ridurrà le quote degli attuali azionisti di Siena. E soprattutto conterà, per mano dell’ad Lovaglio, come Mps intenderà giocare il pacchetto azionario più grande di tutti gli altri in Generali. Il 13,1% del più grande gruppo assicurativo italiano con straordinaria dimensione globale, è sempre stato lo strumento di influenza decisiva di Mediobanca nella compagnia ben guidata e sviluppata da Philippe Donnet.

Ora quel pacchetto è nelle mani di Mps. In che direzione e con quali obiettivi, in primo luogo Lovaglio e il Consiglio di amministrazione di Mps, vorranno giocare la partecipazione di assoluta influenza nel primo gruppo assicurativo italiano? Assicurativo e non solo perché al centro dell’attività non ci sono solo le polizze ma anche la gestione dei patrimoni e dei titoli del debito pubblico, cruciale per il Paese, e anche un forte sviluppo del private equity grazie alla professionalità di Bruno Sollazzo, capo del settore che sta ottenendo molti successi anche a livello internazionale con ricaduta positiva sullo stesso tessuto produttivo e finanziario nazionale.

Un asset importantissimo per l’Italia

Del resto, non si scopre niente a ricordare che Generali non è solo il maggior gruppo assicurativo italiano e fra i più grandi a livello globale, ma anche un asset importantissimo per l’Italia. A Siena ne sono più che consapevoli e quindi sono molto attenti a come giocare quella quota del 13,1%, che ha sempre rappresentato la forza di Mediobanca.

I buoni propositi di oggettivazione del mercato da parte di Mps troveranno una verifica precisa nel modo in cui la banca senese, certamente rinata, saprà gestire appunto quel 13,1%. Chi respira l’aria di Siena constata che a Mps di ciò hanno piena consapevolezza e che quindi non intendono permettere che la partecipazione sia usata da chiunque come moltiplicatore di potere, specialmente se si tratta di arrabbiati comprimari della borsa nazionale con interessi concentrati sul potere romano.

Il ruolo di Intesa Sanpaolo

Non si può non ricordare che, quando si è parlato di creare in Generali un gigante delle gestioni patrimoniali sono emerse possibili alleanze con il gruppo francese Natixis. Ma c’è stata una precisa avance anche della prima, più solida e meglio gestita banca italiana. Al momento giusto, quando sembrava che avanzasse l’ipotesi Natixis, il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, non ha esitato a prendere in considerazione il primo gruppo bancario italiano per sostituire il gruppo francese nella partnership finalizzata alla gestione dei patrimoni italiani e di una parte importantissima del debito pubblico dello stato per la sua stabilità e garanzia con una politica non speculativa.

Che cosa pensa Lovaglio di una ipotesi che quel 13,1% di Generali sia anche finalizzato a trovare la migliore soluzione per gli interessi italiani, visto il peso che la massa in gestione ha sul risparmio e la stabilità del debito nazionale?

Cosa può pensare ora Lovaglio

Forse pensa a partnership con la sua ex casa, cioè Unicredit? Risulta che non lo escluda, mentre i fatti tendono a escludere, a inchiesta in corso, che quella partita sia giocata da azionisti contemporanei di Mps e Generali, cioè Caltagirone e Milleri. Se questa informazione è fondata, diventa inevitabile (e risulta che Lovaglio ne sia consapevole) che l’altra grande banca italiana, Intesa Sanpaolo, sia la più titolata al ruolo per il quale si era già prenotata mesi fa, ma chiedendo il 50% più un’azione.

Un fatto comunque è sicuro: per rispetto verso il risparmio italiano e soprattutto il debito italiano non potrà, non dovrà essere fatta altro che una scelta di grandissima qualità proprio nel momento in cui i mercati del mondo sono sotto la spada di Damocle delle guerre, esistenti o più o meno annunciate, che continuano ad accrescere incertezza e quindi preoccupazione.

Dove mettere il risparmio italiano

Se sono impossibili alleanze sicure sul piano politico e strategico con chi è stato per quasi 80 anni il riferimento del mondo occidentale, cioè gli Stati Uniti, tanto che ora gli Stati Uniti sono il primo guastatore dei mercati, le prospettive del risparmio italiano vanno messe in mani ipersicure. È di questi giorni la notizia che l’ardire spudorato del presidente Usa Donald Trump, nel lanciarsi nel mercato delle criptovalute, gli è costato in pochi giorni una perdita di oltre un miliardo di dollari per il tracollo del 51% del portafoglio della World Liberty Finance, fondata dal presidente e i suoi figli, mentre la società specifica dei figli (Alt5Sigma) ha perso il 75% del valore del suo portafoglio e soprattutto sono sprofondati del 90% i memecoin creati da Trump e la moglie Melania. Insegnerà pure qualcosa questa scelleratezza.

Al di fuori delle speculazioni

In un contesto come questo, è dovere della prudenza italiana ed europea comprendere che con il risparmio dei concittadini occorre stare lontano da simili speculazioni e che per questo serve la gestione di strutture come Generali e/o Intesa Sanpaolo, che hanno dimostrato sempre competenza e prudenza. Senza dimenticare che al vertice di Generali c’è un uomo della qualità del professor Andrea Sironi, presidente della Università Bocconi, ex-presidente della Borsa italiana nel suo miglior periodo. Sironi costituisce una garanzia assoluta per il mercato e sicuramente una soluzione equilibrata in Generali permetterebbe di convincerlo a restare.

Come si vede le vicende di Siena, di Mediobanca, di Generali sono, non solo da ora, il cuore del sistema finanziario ed economico italiano e quindi ora è più che legittimo e assolutamente doveroso che la magistratura indaghi perché così, se qualcuno (e qualcuno c’è) che ha barato venga punito. Siamo convinti che Lovaglio, anche se ha sbagliato alcune telefonate, sia stato e sia sempre teso all’interesse della banca che guida.

Post Scriptum: dove sono finiti gli Usa

Una volta gli Stati Uniti erano esempio di sostanziale correttezza democratica, a parte alcuni sbandamenti di presidenti come Richard Nixon, Bill Clinton o altri. Oggi la realtà, descritta anche su The Economist, è questa: Il presidente Donald Trump vende esentasse il suo vino e il suo «Trump cider» nelle basi militare americane. Sì, il suo vino «Trump Wine», insieme a felpe, coperte, accessori e perfino Scarpe «Trump». La macchina commerciale della Trump Organization non ha sosta e pace e se vendesse in concorrenza sul mercato pubblico non avrebbe il vantaggio che ha nelle basi militari, dove non vengono applicate tasse. Addio America! (riproduzione riservata)