Dilemma Fed e bolla sull’AI, ecco come orientare il portafoglio nel 2026: i consigli di Unicredit su bond e azioni
Dilemma Fed e bolla sull’AI, ecco come orientare il portafoglio nel 2026: i consigli di Unicredit su bond e azioni

di di Luca Carrello 19/12/2025 20:00

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Titoli di Stato dell’Eurozona con scadenze non oltre cinque anni e una minore esposizione al dollaro, mentre sull’azionario meno tech Usa e più borse emergenti. Unicredit ricalibra il portafoglio dei clienti in vista del 2026 calcolando una possibile correzione dei mercati entro due-tre anni, quando si scopriranno vincitori e vinti della rivoluzione targata AI.

Nel breve termine, invece, la traiettoria sarà influenzata dal quadro macro e dalle conseguenti scelte delle banche centrali. A partire dalla Fed, che il 10 dicembre ha abbassato i tassi d’interesse per la terza volta di fila (ora sono al 3,5-3,75%) e adesso potrebbe rallentare il ritmo.

Dilemma Trump

«Nel 2026 ci aspettiamo solo un taglio», spiega Manuela D’Onofrio, responsabile Group Investment Strategy e chair dell’Investment Institute di Unicredit. «L’anno prossimo prevediamo un’accelerazione del pil Usa (+2-2,5%, ndr) grazie alla minore pressione fiscale sulle imprese e ai maggiori incentivi per gli investimenti. Il mercato del lavoro sarà meno esuberante ma con una disoccupazione comunque sotto il 5%, mentre l’inflazione rimarrà ben sopra l’obiettivo del 2%. Quindi non ci saranno le condizioni per portare i Fed Fund sotto il livello di equilibrio del 3%, a meno che il nuovo presidente non si dimostri più sensibile alle pressioni di Trump».

È questo timore che spinge Unicredit a privilegiare le obbligazioni con durata media non troppo oltre cinque anni, perlopiù titoli di Stato dell’Eurozona e bond societari investment grade. Troppi tagli dei tassi, inoltre, indeboliranno ancora il dollaro, motivo per cui converrebbe esporsi meno al biglietto verde.

Niente bolla sull’AI

L’altra incognita arriva dal tech, che è valutato a multipli stellari ed è condannato a stracciare le attese per non sprofondare in borsa dopo i conti. Secondo Unicredit, però, non c’è un rischio bolla come nel caso dot-com. «Le valutazioni restano molto care ma credo sia sbagliato fare un confronto con quanto accaduto a inizio anni 2000», commenta D’Onofrio.

«Oggi i prezzi dei titoli sono giustificati dagli utili. Le Magnifiche 7 stanno investendo centinaia di miliardi nelle infrastrutture per l’AI, ma finora hanno usato soprattutto la cassa, non si sono indebitate eccessivamente e restano ancora molto liquide. Come in tutti i cicli finanziari, prima o poi si tireranno le fila e si capirà chi ha esagerato. Ma è difficile prevedere quando accadrà, con conseguente correzione di mercato».

Più Cina meno Usa

Ecco perché il portafoglio azionario di Unicredit (che da gennaio a novembre ha reso il 9,45% lordo) sarà più equilibrato e con meno tech nel 2026. Ci sarà uno spazio minore per gli Usa, quello dell’Europa rimarrà invariato e si faranno largo i mercati emergenti, Cina in testa. Ormai il contributo al pil mondiale di Pechino e Washington è quasi identico (intorno al 30%) mentre il peso dei loro listini sull’azionario globale non è ancora paragonabile (gli Usa valgono il 70% dell’indice mondiale). Le aziende cinesi scambiano quindi con valutazioni molto più basse (e convenienti) di quelle statunitensi, non sempre a ragione, vista la somiglianza del contesto economico.

Portafoglio d’oro

Anche l’Ue dovrebbe continuare a stupire perché rafforzerà gli investimenti pubblici, soprattutto nella difesa, e le imprese saranno avvantaggiate dalle politiche fiscali più espansive. Per Unicredit, insomma, il sentiment è positivo ed è ora di puntare su società con multipli meno esasperati e che beneficiano dei periodi di crescita, come le banche. Ma il 2025 è stato anche l’anno dell’oro, che da gennaio ha guadagnato più del 65%.

In questo caso il consiglio è di riservare il 10% del portafoglio al metallo prezioso, suggerimento valido solo per gli investitori con orizzonti di lungo periodo. Il 30% andrebbe puntato sulle azioni mentre il restante 60% sui bond. È questa la ricetta del The Investment Institute, il think tank di Unicredit creato per combinare le competenze degli economisti e degli asset manager della banca in modo da interpretare al meglio un contesto di mercato sempre più complesso. (riproduzione riservata)