Difesa, industria e finanza: così l’Italia è riuscita nel salto verso il nuovo ordine di sicurezza mondiale
Difesa, industria e finanza: così l’Italia è riuscita nel salto verso il nuovo ordine di sicurezza mondiale
La difesa è oggi una bilancia con cui misurare il potere di uno Stato. L’Italia brilla con i player nazionali mentre l’Europa fatica a trovare una dimensione comune. Il ministro Crosetto si prepara a presentare la riorganizzazione del comparto

di di Anna Di Rocco 26/12/2025 20:30

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Nella storia della Repubblica quella per la difesa è stata considerata una voce di spesa scomoda, da nascondere o da rinviare. Poi, negli ultimi quattro anni, si è trasformata in una bilancia con cui misurare il potere di uno Stato: quello politico, industriale, tecnologico e finanziario. In Italia, come nel resto d’Europa, la difesa si è quindi imposta come una questione strutturale che ha bisogno di soldi, player e strategie.

Un cambio di paradigma già visibile nei mercati azionari, non a caso definiti i termometri dell’economia, con i titoli industriali legati alla difesa che nel 2025 hanno registrato performance straordinarie. E ci sono riusciti grazie a investimenti e piani strategici pensati e disegnati per rispondere al nuovo ordine mondiale: dal Michelangelo Dome di Leonardo (+90% in borsa nell’ultimo anno), una cupola digitale che integra dati satellitari, droni e sensori terrestri per proteggere le infrastrutture critiche, ai cantieri navali di Fincantieri (+143%) che disegnano la talassocrazia del futuro.

Quando l’Europa ha capito che la sicurezza non è un bene acquisito

Il momento in cui tutto è cambiato, comunque, ha una data precisa: 24 febbraio 2022. Quel giorno non è iniziata soltanto la guerra in Ucraina, ma è anche finita l’illusione europea di una pace irreversibile. Da allora è diventato evidente che la sicurezza non è un bene acquisito e che l’Europa non può permettersi di restare un attore strategicamente incompiuto. Ed è diventato anche palese che la guerra moderna è radicalmente diversa da quella del passato.

Perché non si combatte più solo con carri armati e mitragliatrici, ma piuttosto con algoritmi, intelligenza artificiale, droni e hacker. È la cosiddetta guerra ibrida che attraversa mercati finanziari, infrastrutture critiche e servizi essenziali. «Una guerra che colpisce la tenuta di ogni Paese, con rischi quotidiani e crescenti di danni catastrofici», per usare le parole del ministro della Difesa, Guido Crosetto. Una guerra, però, a cui nessuno era pronto: né l’Europa, né tantomeno l’Italia.

La reazione dell’Italia, verso la riorganizzazione totale della Difesa

La premier Giorgia Meloni ne ha fatta una questione di postura internazionale. E così, grazie a un coordinamento tra ministeri, aziende e istituti di ricerca, l’Italia ha sposato una visione pragmatica del riarmo nazionale: difesa come investimento per sicurezza e occupazione, ma anche come leva per competitività tecnologica globale.

Sul versante Nato il 2025 ha visto l’impegno dei Paesi membri a portare la spesa per la difesa al 5% del pil entro il 2035, mentre sul fronte europeo Roma ha richiesto 14,9 miliardi di euro di prestiti legati al fondo Safe (un programma comunitario che dispone di 150 miliardi per permettere ai 27 di potenziare l’industria della difesa).

Parallelamente, al livello nazionale l’esecutivo ha moltiplicato gli strumenti normativi e di pianificazione: dal Piano di Ammodernamento e Rinnovamento delle Forze Armate (che punta su infrastrutture dual use e su asset ad alta intensità tecnologica) fino alla riorganizzazione totale della Difesa, a cui sta lavorando anche il generale Luciano Portolano nonché Capo di Stato Maggiore della Difesa, che sarà presentata in Parlamento dal ministro Crosetto a gennaio.

L’industria italiana brilla in un’Europa poco compatta

Ma l’industria, questa volta, è un passo avanti la politica. L’analisi dei dati e delle dinamiche del periodo 2020-2025 consegna la fotografia di un’Italia industriale – quella di Leonardo, Fincantieri, Iveco, Avio e delle pmi della filiera – che corre, innova, conquista mercati difficili, stringe alleanze strategiche (Knds, i patti con il Regno Unito e il Giappone per il Gcap) e porta a casa 20 miliardi di ordini l’anno.

L’Italia è diventata il sesto esportatore mondiale di sistemi di difesa, registrando tassi di crescita nettamente maggiori ai partner europei: secondo l’ultimo rapporto del Sipri, nel quinquennio 2020-2024, il Paese ha registrato una crescita del volume delle esportazioni di armi pari al 138% rispetto al periodo precedente (2015-2019). Leonardo ha accelerato la sua trasformazione da conglomerata industriale a Global Security Company, integrando sistemi complessi, alleanze internazionali e rafforzamento nazionale con l’acquisizione di Iveco Defence Vehicles.

In ambito spaziale la sigla Avio (che nell’anno ha messo a segno una performance borsistica del +163%) si è imposta come fornitore di riferimento - per propulsione e infrastrutture orbitali - nel mercato globale ed europeo, grazie ai recenti contratti firmati con l’Esa. Fincantieri, dal canto suo, ha continuato a dominare il mare. L’azienda guidata da Pierroberto Folgiero ha dimostrato una capacità unica di adattare il prodotto alle esigenze geopolitiche del cliente, agendo come vero e proprio braccio operativo della Farnesina.

Resta una contraddizione politica di fondo. Mentre la guerra impone una visione sistemica della sicurezza, l’Europa continua a muoversi spesso come un insieme di Stati che reagiscono in ordine sparso, inseguendo interessi nazionali più che una strategia comune. La difesa è tornata centrale per necessità storica. La domanda, ora, è se diventerà anche il terreno su cui costruire una vera sovranità europea. Gli Stati Uniti sono riusciti a fare della difesa un volano di crescita, perché hanno investito non tanto sull’organico ma piuttosto in ricerca, sviluppo, innovazione e sinergie. Un po’ come se la differenza di fondo tra le due sponde dell’Atlantico fosse la qualità della spesa e non tanto la quantità. (riproduzione riservata)