L’industria italiana è nel complesso resistente ai dazi Usa, anche se alcune aree del Paese sono «considerevolmente più vulnerabili della media nazionale». È quanto emerge in uno studio della Banca d’Italia che ha stimato l’esposizione diretta e indiretta di 1,8 milioni di imprese italiane alle esportazioni verso gli Stati Uniti.
Lo studio ha analizzato i dati aziendali e anche i legami interaziendali grazie alle informazioni desunte dalla fatturazione elettronica nel 2022 (ultimo anno disponibile). L’esposizione così misurata ha previsto in modo accurato l’impatto dei dazi sulle aziende nel 2025, verificato in base a sondaggi qualitativi condotti dalla Banca d’Italia.
Lo studio rileva che, sebbene gli Stati Uniti siano il principale mercato di esportazione dell’Italia al di fuori dell’Ue, le esportazioni dirette verso gli Usa rappresentano «una quota piuttosto limitata dei ricavi totali delle imprese, pari a circa l’1,4%».
Tuttavia la quota più che raddoppia fino al 3,2% se si considerano i collegamenti indiretti attraverso le catene produttive domestiche. L’esposizione sarebbe maggiore se si tenesse conto anche delle vendite indirette tramite altri Paesi. Perciò nelle analisi sull’impatto dei dazi occorre valutare le conseguenze sull’intera filiera produttiva.
La ricerca (scritta dagli economisti di Bankitalia Andrea Benecchi, Alessandro Borin, Francesco Paolo Conteduca, Fabrizio Leone, Michele Mancini, Lucia Modugno, Matteo Mongardini, Giulio Papini e Patrick Zoi) evidenzia una rilevante eterogeneità nell’esposizione al mercato statunitense tra i settori e le regioni italiane.
Il 20% delle imprese ha segnalato effetti negativi dei dazi nei primi tre trimestri dell’anno, anche se perlopiù di entità moderata, mentre il 25% prevede una flessione negli ultimi tre mesi.
Tuttavia alcune aree del Paese (sistemi locali del lavoro o Llm in inglese) risultano molto più vulnerabili della media: per circa il 2% di loro (13 su 600 totali) le vendite agli Stati Uniti dirette e indirette rappresentano più di un decimo del fatturato.
Queste aree sono in ordine decrescente quelle di Agordo (Veneto), Nurri (Sardegna), Thiesi (Sardegna), Siena (Toscana), Urbino (Marche), Copparo (Emilia-Romagna), Canelli (Piemonte), Montalcino (Toscana), Belluno (Veneto), Zogno (Lombardia), Pieve di Cadore (Veneto), Carrara (Toscana) e Sassuolo (Emilia Romagna).
La maggiore esposizione diretta è concentrata in aree molto specializzate come il distretto dell’occhialeria bellunese guidato da Luxottica (Agordo, Belluno e Longarone) e quello dei motori (Copparo, Sassuolo e Modena), così come nel settore cibo e bevande (in Piemonte e Toscana) e della ceramica (in Emilia-Romagna e Marche). Le esposizioni indirette sono più diffuse nel Paese.
I settori automobilistico, farmaceutico e meccanico guidano l’esposizione diretta, mentre il commercio all’ingrosso, i metalli di base e i prodotti metallici lavorati sono rilevanti per l’esposizione indiretta.
A livello regionale complessivo, l’esposizione maggiore è al Nord e al Centro, ma ci sono valori più alti anche in alcune aree del Sud. La Toscana (5,3% dei ricavi) e l’Emilia-Romagna (4,6%) sono le regioni più esposte in modo complessivo (diretto e indiretto) a causa del peso dei settori del vino, del cuoio e dei macchinari. La Basilicata (4,1%) è al terzo posto, trainata dalle attività manifatturiere specializzate e da quelle legate all’energia. Tra le regioni del Nord, il Piemonte (3,8%) e la Lombardia (3,1%) hanno un’esposizione maggiore per il loro ruolo nelle catene produttive meccaniche e metallurgiche.
A livello metodologico, se per esempio un’azienda ha il 20% del fatturato da vendite negli Usa, la sua esposizione diretta è stata considerata al 20%. Un’impresa ha invece un’esposizione indiretta del 25% se per esempio ha il 50% dei ricavi da un’altra azienda che ha il 50% del fatturato negli Usa.
I dati Istat hanno mostrato che a novembre le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono calate del 3% rispetto allo stesso mese del 2024. Ma i dati dell’export nei primi 11 mesi del 2025 hanno comunque evidenziato un aumento del 7,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
L’amministrazione Trump ha fissato a fine luglio dazi base del 15% nei confronti dei Paesi dell’Unione Europea, un livello inferiore a quello minacciato nei mesi precedenti, ma comunque molto superiore al 2% registrato a fine 2024.
Sempre in tema di esportazioni, un’altra analisi della Banca d'Italia (scritta da Stefano Federico, Fadi Hassan ee Giacomo Romanini) ha invece osservato che «l’aumento dell’offerta di prodotti cinesi sui mercati internazionali diversi da quello degli Stati Uniti comporta rischi non trascurabili, soprattutto per i settori che non sono direttamente esposti al mercato statunitense». (riproduzione riservata)