Dazi Trump, allarme utili. Ecco le azioni italiane più a rischio con le nuove tariffe a Messico, Canada e Cina
Dazi Trump, allarme utili. Ecco le azioni italiane più a rischio con le nuove tariffe a Messico, Canada e Cina
Il settore automobilistico è tra i più colpiti, avendo da anni trasferito in Messico (dazi sospesi per un mese come per il Canada) una parte consistente dell’assemblaggio di auto. Equita e Banca Akros analizzano le società italiane quotate più esposte e di quanto a livello di ebitda e quelle con la capacità di mitigare l’impatto

di Francesca Gerosa 03/02/2025 11:50

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Donald Trump è passato dalle minacce ai fatti, imponendo dazi del 25% verso Messico e Canada e del 10% verso la Cina a partire dal 4 febbraio. Salvo, poi, correggere il tiro e sospendere i dazi per un mese al Messico dopo che la presidente, Claudia Sheinbaum, ha annunciato che dispiegherà 10.000 soldati per evitare il flusso di migranti al confine con gli Stati Uniti e allo stesso tempo al Canada. Mentre sta prendendo in considerazione l'idea di imporre una tariffa del 10%, come per Pechino, su tutte le importazioni Ue, graziando forse la Gran Bretagna.

Cina, Canada e Messico esportano negli Stati Uniti un totale di 1,5 miliardi di dollari di merci. Il settore automobilistico è stato tra i più colpiti (-2% lo Stoxx settoriale) dai dazi di Trump, avendo da anni trasferito in Messico una parte consistente dell’assemblaggio di auto e produzione di componenti. Equita ha stimato che il 25% delle auto vendute in Usa siano prodotte in Messico/Canada.

Sono quattro i principali effetti negativi: la necessità di rinegoziare le  condizioni di approvvigionamento e i prezzi coi clienti; il rischio di carenza nella catena di approvvigionamento: il probabile aumento generalizzato dei costi di produzione, che imporrà un aumento dei prezzi di vendita, col rischio di ripercussioni negative sulla domanda; la necessità di rivedere ed aumentare il piano capex, comunque con effetti nel medio/lungo termine.

Le società italiane più colpite dai nuovi dazi di Trump

Simulando uno scenario ipotetico di assenza di fattori mitigatori, stabilità dei cambi (la probabile svalutazione assorbirebbe parte dei dazi), stabilità dell’inflazione (il cui aumento renderebbe più facile trasferire i rincari dei costi sui prezzi) e un impatto negativo del 10% sul fatturato del business coinvolto (assumendo margini uguali al resto del gruppo), secondo Equita, le società italiane più colpite, inteso come impatto negativo sull’ebitda stimato per il 2024, sarebbero cinque. Eccole nell’ordine.

Eurogroup Laminations (18% l’impatto sull’ebitda, con vendite Usa dalla produzione in Messico pari a 219 milioni; 0 dal Canada), Stellantis (14% l’impatto sull’ebitda, con vendite Usa dalla produzione in Messico pari a 15,279 miliardi; 6,003 miliardi dal Canada), Sogefi (9% l’impatto sull’ebitda, con vendite Usa dalla produzione in Messico pari a 38 milioni; 71 milioni dal Canada), Pirelli (5% l’impatto sull’ebitda, con vendite Usa dalla produzione in Messico pari a 672 milioni; 0 dal Canada) e Brembo (4% l’impatto sull’ebitda, con vendite Usa dalla produzione in Messico pari a 288 milioni; 0 dal Canada). «La più esposta è Stellantis che tipicamente in Nord America genera margini superiori alla media del gruppo con la sola eccezione del secondo semestre del 2024 e che oltre al Messico è anche esposta al Canada sia come produzione sia come vendite», precisa Equita.

Tra le società sotto la sua copertura Banca Akros segnala come impattate dai dazi su Messico e Canada Stellantis, Pirelli, Campari, Brembo mentre per i dazi cinesi Stm, soprattutto indirettamente attraverso Hon Hai, e De’ Longhi. «Da un punto di vista quantitativo, Stellantis e Pirelli hanno la maggior esposizione alle importazioni dal Messico/Canada negli Stati Uniti, che stimiamo, rispettivamente, al 37% e al 50% dei loro volumi statunitensi, mentre Stm e De’ Longhi importano dalla Cina circa la metà dei loro volumi statunitensi», sottolinea Banca Akros, calcolando che le loro vendite esposte alle tariffe sul Paese asiatico sono fino al 19% nel caso di Stm e al 9% nel caso di De’ Longhi.

In ogni caso, l'impatto lordo dovrebbe essere mitigato dall'applicazione delle tariffe solo al valore aggiunto locale (inferiore al valore del prodotto), dalla decisione di delocalizzare parte della produzione negli Stati Uniti e dal deprezzamento della valuta locale rispetto al dollaro statunitense. Inoltre, poiché queste tariffe colpiscono anche la maggior parte dei concorrenti, la maggior parte delle aziende potrebbe cercare di trasferirle, almeno in parte, ai consumatori. «Nei prossimi giorni incorporeremo l'impatto delle nuove tariffe nelle nostre stime, cercando di valutare l'impatto delle misure di mitigazione per ciascuna società», annuncia Banca Akros.

Le società con la capacità di contenere gli impatti indesiderati

Mentre le società con maggior capacità di tamponare questi effetti negativi sono tre, secondo Equita: Brembo che produce tutte le pinze in alluminio in Messico, ma spesso è fornitore unico; Pirelli che può aumentare l’import dal Brasile, come faceva in passato, anche se ciò implica maggiori costi di trasporto e maggiori tempi di consegna, quindi un maggior capitale circolante netto; Eurogroup che spesso è fornitore unico (75% delle piattaforme) essendo di fatto l’unica alternativa sul mercato, e dispone di uno stabilimento negli Stati Uniti in cui trasferire potenzialmente (almeno in parte) la produzione per il segmento ev.

Le società meno esposte

Viceversa, le società meno esposte sono Michelin (1% l’impatto sull’ebitda, con vendite Usa dalla produzione in Messico pari a 515 milioni; 0 miliardi dal Canada), avendo una significativa capacità produttiva in Usa e Iveco che in Nord America genera solo il 2% del fatturato tramite forniture dall’Europa. (riproduzione riservata)