Borsa, la caduta dei giganti. Dalle auto al beverage al lusso, come le azioni della old economy hanno smesso di correre
Borsa, la caduta dei giganti. Dalle auto al beverage al lusso, come le azioni della old economy hanno smesso di correre
Alla corsa dei listini in Europa alcuni settori della old economy non hanno partecipato. Colpa dell’inflazione, che ha frenato i consumi, e della Cina. La ripresa? Ancora non si vede

di Fabio Pavesi 17/01/2025 20:28

Ftse Mib
36.502,85 12.35.55

-0,59%

Dax 30
21.494,92 12.35.40

-0,05%

Dow Jones
44.556,04 12.03.59

+0,30%

Nasdaq
19.654,02 7.25.15

+1,35%

Euro/Dollaro
1,0416 12.20.55

+0,97%

Spread
109,35 12.50.35

-1,22

C’è più di un grande assente nella roboante cavalcata delle borse degli ultimi due anni, in cui la gran parte dei listini ha messo a segno performance stellari.

Dall’indice guida mondiale, lo S&P500, che è passato dal minimo di 3.600 punti dell’ottobre del 2022 ai 5.800 punti attuali, fino al Nasdaq che è salito di oltre il 90% in poco più di 27 mesi e al FtseMib di Piazza Affari, salito del 70%: rialzi spettacolari, trainati soprattutto negli Usa dai big tech, mai così pimpanti come in questo frangente.


La caduta dei giganti della old economy

Ma nella corsa verso l’alto è venuta a mancare, quasi del tutto, la spinta dei settori più tradizionali, si direbbe della vecchia old economy d’altro secolo. Si pensi alle auto, precipitate lungo il 2024 in un buco nero di crolli delle vendite e di redditività dimezzate.

Più altri settori legati strettamente ai consumi: da quelli voluttuari come il beverage con Campari, per restare in casa, antico maratoneta di borsa, che causa il calo dei consumi ha perso del tutto lo smalto nell’ultimo scorcio dell’anno.

Anche i consumi premium hanno sofferto, come il lusso, che ha visto molti giganti del luxury europeo soffrire forti flessioni sul listino, da Kering a Swatch, da Zegna a Burberry, fino al colosso per eccellenza, la francese Lvmh, che nel 2024 ha lasciato sul campo il 14% del suo valore.

Cosa mostrano i dati

Cosa ci dicono questi dati? Che la spesa dei consumatori si è rarefatta, è evaporata dopo il forte rimbalzo post Covid. L’economia, in particolare quella europea, entrata in una fase di stagnazione con crescite asfittiche, cui si è aggiunta la pesante fiammata inflazionistica. Per difendere i margini di profitto, i forti incrementi dei costi energetici e delle materie prime sono stati del tutto scaricati sui clienti finali. Alla fine si è creata una mistura esplosiva che ha annichilito la voglia di spesa delle famiglie, il motore dei settori legati ai consumi.

Il settore automotive

Il caso dell’auto, soprattutto del Vecchio Continente è emblematico. La gran parte delle case ha aumentato e di molto i listini approfittando della ripresa delle vendite post 2020-2021. Si è tenuta bassa la produzione approfittando dei picchi di domanda per tenere alti i listini.

Basti pensare a Stellantis: il balzo del fatturato degli anni dal 2021 al 2023 è stato ottenuto grazie alla leva dei prezzi, che hanno contribuito con +18% e volumi di vendita fermi. Passata la sbornia, ecco che l’anno scorso ha presentato il conto. Domanda in forte flessione, magazzini pieni di invenduto e costi che hanno compresso i margini.

Pesa anche la transizione ecologica 

Ci si è messa pure la foga della transizione ecologica, con il bando europeo ai motori termici nel 2035, che hanno voluto dire investimenti pesanti sull’elettrico. Ora però la domanda non decolla: mancano le colonnine di ricarica e i prezzi del full electric sono inabbordabili per la fascia media della clientela, con prezzi che sono il 30-40% più alti degli analoghi modelli a combustione.

Risultato: mercato dell’auto in Europa diventato preda dell’elettrico cinese, che propone vetture a costi accessibili grazie ai maxi-contributi pubblici del governo cinese che hanno spinto le case del Dragone a vincere la concorrenza europea.

Il settore beverage

E che dire del settore del beverage? Molti produttori hanno visto languire le vendite. Consumi voluttuari, i primi ad accusare il colpo della stasi della spesa. Il colosso britannico Diageo dai massimi del 2022 a 3.800 pence è crollato a quota 2.350 di questi giorni. La francese Pernod Ricard ha lasciato sul listino il 29% solo nel 2024. Remy Cointreau ha perso ancor di più: -43% nell’ultimo anno. Per tutti ha pesato il calo dei fatturati e delle vendite: Remy Cointreau ha visto una flessione del 17% su base annua dei suoi alcolici; Pernod è in calo sui ricavi del 4%; frenata lieve anche per Diageo.

Caduta anche per il leader italiano Campari 

Quanto al leader italiano, Campari, che aveva visto tassi di crescita del suo fatturato di oltre il 20% annuo nel 2021 e nel 2022, ha cominciato a rallentare già nel 2023 per poi frenare l’anno scorso. Nell’intero 2024, secondo il consenso elaborato da S&P Global market intelligence, i ricavi dovrebbero attestarsi poco sopra i 3 miliardi, con un tasso di crescita di poco più del 4-5%.

Proprio nei giorni scorsi BofA Securities ha ridotto il target price a 6,3 euro dal precedente 8,5. Per gli analisti anche il 2025 rischia di essere un anno di transizione. La caduta è stata pesante in borsa con il titolo che ha lasciato sul terreno il 40% del suo valore nell’ultimo anno. Eppure Campari produce ancora un margine dell’ebitda sui ricavi del 23% e un utile netto di oltre il 12% del fatturato. Numeri non certo da azienda in pesante crisi, come la borsa suggerirebbe.

Campari evidentemente paga gli alti multipli con cui è stata valutata negli anni passati. Ed è bastata una frenata nella crescita a doppia cifra del fatturato, cui era abituato il mercato, per provocare lo scossone in Piazza Affari. Pur con il forte calo delle quotazioni il titolo tratta tuttora a 20 volte gli utili. Se quest’anno le vendite dovessero ripartire con crescite vicine alla doppia cifra, allora il titolo può tornare interessante per gli investitori.

Situazioni che possono diventare occasioni di acquisto

È questo uno dei casi di scuola in cui un’azienda con conti in salute, punita in modo forte dal mercato, può diventare oggi una occasione d’acquisto. Ma solo, e se, il 2025 mostrerà che la crisi delle vendite è stata superata. E alla fine è toccato anche al lusso pagare dazio al freno tirato dei consumatori, anche quelli con buona capacità di spesa.

Il lusso è il settore che paga di più 

Il lusso è stato il settore che più di altri paga la forte frenata della crescita cinese. Mercato tra i più redditizi da anni per le esportazioni del lusso occidentale, il Dragone si è messo in pausa. E per aziende esposte fortemente sul mercato più grande del mondo è stato un boomerang.

Il freno cinese è stato avvertito, non a caso, da chi più fatturava su quel mercato. Burberry, molto colpita dalla crisi, è esposta sul mercato cinese per il 32% delle sue vendite globali; Kering, altro titolo in difficoltà, ha vendite nel paese del Dragone per il 26% del suo fatturato; Zegna per il 33% e la stessa Lvmh ha il 31%.

Tutti titoli che hanno perso pesantemente in borsa nel 2024. Mentre l’hanno scampata, anzi crescendo sul listino, titoli come Cucinelli e Prada, che hanno esposizioni sul mercato più grande al mondo assai più ridotte. E qui vale la pena introdurre l’altro elemento che ha zavorrato molti titoli del segmento consumi.

Il freno della Cina 

L’altra economia che ha molto frenato e ha inciso sui conti di molti esportatori europei è proprio la grande Cina. Per esempio Porsche: -28% le sue vendite in loco. E Volkswagen, che sulla Cina ha scommesso molte delle sue carte, è stata penalizzata sui conti e in borsa. Ecco quindi che dei tre motori che spingono la crescita dell’economia mondiale, ben due sono andati in panne.

L’Europa che continua a crescere, o meglio a non crescere, con percentuali poco sopra o sotto l’1%, con la Germania che si è ammalata e la Francia che ha problemi di deficit di bilancio. E soprattutto la Cina, che ormai da due anni vive una sorta di grande decelerazione delle sue performance. Prima la bolla immobiliare, poi la caduta dei consumi a cui finora gli stimoli monetari del governo cinese sono serviti a ben poco.

Resta sul campo la solita America

Resta sul campo, a tirare per tutti, la solita America. E non è un caso che si sia approfondito il divario tra le performance di borsa di Wall Street rispetto ai listini del Vecchio Continente.

Gli analisti continuano a dire che c’è un’Europa borsisticamente parlando a grande sconto sulle valutazioni rispetto a Wall Street. E molti pensano che il divario, prima o poi, andrà a colmarsi, per una pausa salutare del volo stratosferico dei big del tech Usa, che pesano per oltre il 30% sull’intera market cap di Wall Street. Sarà, ma alla fine contano, a determinare i valori del mercato azionario, i cari vecchi utili.

E ancora una volta i numeri dicono che la crescita dei profitti, sia quelli del 2024 sia quelli futuri, corrono negli Usa a una velocità doppia rispetto all’Europa. E allora quello sconto sui multipli, che è reale, potrebbe rivelarsi illusorio.

Wall Street guiderà le danze

Possibile che ci sia un ritorno di fiamma sui titoli ciclici, soprattutto se l’inflazione verrà messa a bada e la traiettoria dei tassi in Europa continuerà la strada verso l’obiettivo del 2% da qui a fine anno. Ma di sicuro sarà sempre Wall Street a guidare le danze per tutti. Con il big tech scambiato in borsa oltre 30 volte i profitti, ma che dovrebbe ancora produrre forse crescita dei profitti quest’anno, come accade del resto da anni ormai. (riproduzione riservata)