Dalla fertile Emilia, due visioni contrapposte sulla Cina
Dalla fertile Emilia, due visioni contrapposte sulla Cina
Per Pontremoli (Dallara) la partita sul piano industriale è persa per cui occorre fare i conti con il made in China. Per Gherardi (Crif) l’atteggiamento commerciale cinese è essenzialmente predatorio e va contrastato. Chi ha ragione?

di di Paolo Panerai 14/11/2025 19:30

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Due opposti.

1) La Borsa di Milano è salita, giovedì 13, ai massimi dal 2001. A Wall Street, invece, sono tornate le vendite sul tech dopo i conti deludenti di CoreWeave e l’uscita di SoftBank dal capitale di Nvidia, il gigante dalla capitalizzazione record di oltre 5 mila miliardi di dollari.

2) In un interessantissimo convegno promosso e organizzato martedì 11 da Crif, la straordinaria società italiana di rating (quasi 900 milioni di fatturato) fondata e guidata dal bolognese Carlo Gherardi, si è parlato di futuro e tecnologia e l’ex manager di Ibm e ora capo della grande Dallara, Andrea Pontremoli, ha sostenuto la necessità di guardare con apertura alla Cina; poco dopo lo stesso Gherardi ha indicato invece di stare lontani dalla Cina.

Mai come in questo momento il mondo è colpito, anche fra persone che si stimano e hanno valori condivisibili e condivisi, da così profondi opposti. È la radicalizzazione, Bellezza, direbbe il filosofo di turno. In effetti questo mondo vive in primo luogo di radicalizzazioni, di cui i cittadini spesso pagano le conseguenze. Anche in economia e finanza, anche se non nei casi che ho citato.

Cosa c’è dietro il record dei 45.000 punti

Che cosa è successo di così straordinario nelle società quotate alla Borsa di Milano (o meglio Borsino, viste le dimensioni), da ristabilire un record oltre i 45 mila punti, il massimo dal 2001? Nei mesi scorsi si era registrata la verticale salita dei titoli bancari per profitti record e per le scalate nel settore (da quella di successo di Mps su Mediobanca a quella, non conclusasi, di Unicredit su Bpm, ma anche fra le piccole e medie banche quella, di successo di Bper su Bps e di Banca Ifis verso Illimity Bank), mentre tuttavia alcune delle maggiori società a controllo italiano, a cominciare da Stellantis, sono andate alla Borsa di Amsterdam dove, in contrasto con lo spirito della Ue, ci sono trattamenti fiscali vergognosamente bassi.

Due visioni diametralmente opposte

E che cosa è accaduto per determinare un manager di grandi capacità e successo come Pontremoli a suggerire di guardare sempre di più alla Cina e da parte di Gherardi, che con Crif dà i voti a società di quasi tutto il mondo anche in Asia ma non più in Cina, di arrivare al punto da suggerire duramente di non sviluppare rapporti sul mercato cinese?

Ha detto Pontremoli, dall’alto del successo planetario di Dallara: «Sono stato in Cina due settimane fa, sono stato in Byd, la grandissima fabbrica di automobili elettriche. Cari ragazzi, non c’è storia. Trent’anni fa nel ’95, erano settanta persone in 70 mq. Oggi sono un milione di dipendenti, 122 mila ingegneri e fanno 45 brevetti al giorno. Ndò andiamo?»

Replica di Gherardi: «Cina: non faccio una considerazione Crif, ma generale. Io sono andato in Cina nel 2005: ci hanno accolto a braccia aperte per succhiare la nostra tecnologia e poi ci hanno dato un calcio nel sedere e ci hanno cacciato fuori dicendoci che o stavamo in Cina o stavamo a Taiwan. Noi dopo l’esperienza repressiva in Cina siamo andati a Taiwan, che magari verrà invasa, però è meglio che stare in Cina. Noi dobbiamo fermare la Cina, non possiamo continuare ad accettare le merci cinesi da noi… Quindi noi dobbiamo difenderci dalla Cina, dobbiamo unificarci di più, dobbiamo puntare sull’innovazione. Poi abbiamo capito che comunque per ciò che facciamo noi come Crif, quindi informazione, credit bureau, business information, non avevamo la dimensione critica e quindi siamo usciti».

Chi avrà ragione nel lungo periodo?

A lungo termine chi avrà ragione? Pontremoli o Gherardi? Che poi sono grandi amici, ma la Cina li divide.

Come voi lettori sapete, Class Editori ha tre partnership con la Cina: lo scambio di informazioni attraverso la partnership con Xinhua, la ex agenzia Nuova Cina, con la quale realizziamo una newsletter settimanale; con China media Group, la televisione cinese che sta espandendosi anche fuori dalla Cina, produciamo il programma Cargo, realizzato in Italia da Class Cnbc; e da un anno, in base all’accordo da noi firmato con Il Quotidiano del Popolo durante la visita della presidente Giorgia Meloni a Pechino, abbiamo uno scambio di 4-5 pagine al mese per parlare di aziende e prodotti italiani sul media cinese e di aziende e prodotti cinesi sui nostri media.

Ha ragione Pontremoli? Ha ragione Gherardi? Hanno ragione tutti e due, perché certamente la Cina non è un Paese facile, ma è anche il Paese più grande del mondo insieme agli Stati Uniti. Ma allora è meglio Donald Trump o Xi Jinping? Trump è il presidente di un Paese democratico, ma si sta comportando quasi come un dittatore non solo per il modo di esprimersi ma anche per quanto fa; Xi è il capo di un Paese ufficialmente comunista e ha il problema di far crescere ed evolvere questo Paese con 1,4 miliardi di abitanti, mentre gli Usa hanno circa 450 milioni di abitanti. Il problema vero è che, quando Trump e Xi recentemente si sono incontrati, hanno concluso fra di loro ben poco. Un brutto segnale, anche perché in termini di abitanti e quindi in termini di reddito gli Usa, sia pure su un amplissimo territorio, hanno poco più di 1/3 degli abitanti cinesi. Una ragione precisa per non dimenticarci della Cina, che deve creare risorse per 1,4 miliardi di abitanti. Peraltro con un regime misto, perché ha la borsa come Paese capitalista, ma all’opposto una struttura in cui non c’è altro partito che quello comunista.

Resta il fatto che in larga misura il destino del mondo dipende e dipenderà da come i due Paesi si comporteranno fra loro, in attesa che l’India, con più o meno gli stessi abitanti della Cina, ottenga un livello di vita se non americano almeno cinese per tutti i suoi cittadini.

Il secondo opposto: Borsa Italiana vs Wall Street

Secondo opposto.

La Borsa italiana che sale, Wall Street che scende nonostante il guadagno record di SoftBank, che porta a casa un enorme valore dalla vendita della sua partecipazione in Nvidia, che a sua volta è stata creata e sviluppata da un abilissimo cinese di Taiwan conquistando il primato di capitalizzazione nel mondo.

Qui l’opposto sta proprio nel fatto di comportamenti divergenti fra chi (SoftBank) mette a profitto i record di Nvidia, la quale, invece, in sintonia con il resto della borsa americana cala: certamente per le vendite di SoftBank ma appunto anche perché il segno di Wall Street in generale è negativo.

Che cosa fa divergere da una parte la Borsa Italiana che sale fino a livelli che non si vedevano da decenni, nonostante i duri contrasti in parlamento, con un andamento non certo esaltante dell’economia nazionale e, dall’altra parte, Wall Street che scende nonostante capitalizzazioni da record mondiale di società come Nvidia?

La divergenza ha principalmente una causa, quella politica e di governo: mentre in Italia, nonostante tutto, il governo è stabile e con un comportamento coerente, in Usa c’è guerra politica. Quindi, mentre c’è sostanziale tranquillità per quanto riguarda anche la durata del governo italiano che ha ancora due anni davanti, negli Usa le uscite ormai quotidiane di Trump gettono lo scompiglio, che non viene certo mitigato da interventi di professionisti della Borsa.

Un’elezione che lascia ben sperare

Quanto potrà durare questa situazione negli Usa? L’elezione a sindaco di New York di Zohran Mamdani, un trentaquattrenne di origine asiatica, più a sinistra di qualsiasi altro sindaco di New York, vuol dire che gli americani (almeno della più importante metropoli del mondo) non hanno dimenticato la democrazia? E il palesarsi di scandali sessuali che sembrano coinvolgere il presidente Trump avranno la forza di metterlo in difficoltà? E quanto pesano sul giudizio che su Trump sta maturando anche in chi lo ha votato e non solo negli Usa bensì nel mondo, con le sue bizzarrie non solo per l’alternanza di cravatte di vari colori uniformi e le continue conferenze stampa con alle spalle il coro silenzioso dei suoi collaborati? Congiunturalmente il recupero di immagine nel mondo che Trump aveva avuto con gli accordi per Gaza non è forse minacciato dal comportamento del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che non ha arrestato l’uccisione di palestinesi anche dopo l’accordo? Se ne contano infatti da allora oltre 250, fra cui 60 bambini.

E i suoi incontri e l’apparente feeling con il dittatore (presidente) Vladimir Putin che fine hanno fatto, viste le continue stragi in Ucraina?

Un mondo di opposti

Insomma, il mondo è sempre più condizionato dagli opposti anche se da parte di alcuni capi del mondo sembrava esserci la volontà di salvare il mondo. Salvataggio che appare sempre più difficile anche nell’altra guerra che è in corso da tempo, quella tecnologica. In essa appaiono in vantaggio gli Usa grazie anche alle migliaia di miliardi di dollari che alcune società del settore hanno raccolto. Ma basta la potenza finanziaria per fare il bene del mondo? O perché questo bene sia reale, occorre che la tecnologia sia accompagnata dall’umanità, la risorsa che appare sempre più scarsa?

A proposito di intelligenza artificiale

Non c’è nella storia dell’umanità una innovazione che abbia determinato un entusiasmo e una speranza come l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Ma la AI ha provocato anche la più profonda delle preoccupazioni per la perdita di posti di lavoro, come in effetti in alcuni settori è già avvenuto. Ma probabilmente si è esagerato sia in un senso che nell’altro. Ma, in termini ancora più materiali, la AI generativa o non generativa porterà una ripresa economica, una crisi economica o una reazione sociale? Oppure una combinazione di tutte e tre? È opinione di tutti gli studiosi che inizieremo a scoprirlo nell’anno che comincerà fra meno di due mesi.

Gli elementi di valutazione e i trend sono tuttavia già visibili. Per esempio, alcuni analisti ritengono che l’avanzare di AI sia la causa prima di una certa disoccupazione tra i laureati negli Stati Uniti. Certo il dato esiste, ma la disoccupazione è quasi certamente dovuta al fatto che per questi neolaureati non ci sia stato tempo per ricevere una preparazione adeguata alla evoluzione provocata da AI. Probabilmente questa emergente difficoltà di collocazione per laureati, anche secondo uno studio di Yale Budget Lab, deriva dalla sfasatura temporale fra la preparazione a determinati compiti richiesti dalla AI e i corsi universitari seguiti dai giovani senza oggi un adeguato posto di lavoro. Non vi è dubbio, tuttavia, che la proposta da parte di imprese di AI di cosiddetti «agenti virtuali» che possono svolgere almeno alcune delle funzioni necessarie per di più 24 ore su 24 e quindi a costi inferiori, ha e avrà comunque effetti.

Quante aziende dipendono dall’AI

Sul fronte dei conti delle aziende che dipendono dall’AI, esiste uno studio della Banca centrale d’Inghilterra che rivela un dato importante: esse aziende rappresentano, a ottobre, già il 44% della capitalizzazione di mercato dell’indice Standard & Poor 500. Come dire che il fattore AI condiziona giù quasi la metà delle società che fanno parte di un indice fondamentale dei mercati borsistici come S&P. E il rapporto fra prezzi e utili futuri per questo basket è pari a 31 contro il 19 dell’indice complessivo.

Un altro autorevole studio indica per questo che, se le aziende riuscissero a integrare l’intelligenza artificiale nella loro attività, aumenterebbe la loro produttività e potrebbero ottenere grande fortuna.

È stato calcolato che degli 800 milioni di individui che usano AI generativa, solo una parte più ridotta la usa attualmente nel lavoro. Ma in realtà, secondo uno studio americano di Census bureau, soltanto il 10% delle aziende che hanno più di 250 dipendenti afferma di aver integrato le AI nel proprio processo produttivo. Vuol dire, quindi, che la rivoluzione della AI è ancora agli inizi in larghissima parte delle aziende del mondo.

La grande novità di MF GPT

Come forse sapete, Class Editori che edita questo giornale è la prima azienda in Europa, unitamente a FT, cioè al Financial Times, ad aver realizzato un sistema di AI generativa, MF GPT. Vi posso dire che la rivoluzione è radicale, ma nel campo dell’informazione è necessario che le fonti siano omogenee, cioè realizzate con lo stesso obiettivo di indipendenza e correttezza per poter offrire risposte, analisi e informazioni credibili. Ciò è possibile solo se si dispone di un archivio, un database, che è stato costruito con gli stessi criteri di indipendenza e se il suo aggiornamento è costante, non derogando ai principi fondamentali di una informazione di qualità.

Con una base dati e notizie con queste caratteristiche si possono ottenere informazioni, analisi e risposte affidabili e quindi valide e utili; altrimenti si rischiano le cosiddette allucinazioni. Chi, spendendo centinaia e centinaia di miliardi ha messo insieme una marmellata di contenuti provenienti da fonti diverse, non può che offrire informazioni e risposte marmellata, dove i vari dati e le varie interpretazioni possono annullarsi o deformarsi a vicenda rispetto alla realtà.

Post Scriptum: la caduta in borsa di Azimut

Ha fatto, inevitabilmente notizia la caduta in borsa, giovedì 13, fino al 10% di Azimut, la struttura finanziaria più dinamica e libera del mercato. Guidata da Pietro Giuliani, ha sempre fatto obiettivo fondamentale quello dell’indipendenza e della correttezza nei rapporti verso i clienti investitori. È stata una istruttoria di Bankitalia, a fronte di una richiesta della stessa Azimut di creare una Banca a provocare una caduta, avendo Bankitalia rilevato che alcune caratteristiche strutturali non sarebbero state adeguate.

Il presidente Giuliani, in una intervista a MF di venerdì 14 è stato netto, com’è nel suo stile. Risponderemo, ha detto in sostanza, a tutte le richieste di Bankitalia e se non fossero adeguate (ma lo saranno) agli standard italiani, faremo la banca in un altro Paese. Giuliani è un finanziere credibile, che ha fatto dell’indipendenza la sua bandiera. E quindi chi giovedì aveva speculato, vendendo allo scoperto, ha dovuto correre a ricomprarsi i titoli perché il titolo sta recuperando, tanto che venerdì 14 ha chiuso a +3,5%. (riproduzione riservata)