Come proteggere il tuo portafoglio dai dazi di Trump? Ecco le strategie di 4 gestori per resistere alla volatilità
Come proteggere il tuo portafoglio dai dazi di Trump? Ecco le strategie di 4 gestori per resistere alla volatilità
Con le borse impazzite a causa della guerra commerciale è il momento di cercare coperture. E magari di riconsiderare il ruolo delle azioni Usa in portafoglio

di di Marco Capponi e Paola Valentini 11/04/2025 20:00

Ftse Mib
35.947,89 23.51.43

-0,09%

Dax 30
21.293,53 23.51.43

+0,41%

Dow Jones
39.186,98 5.33.21

+2,66%

Nasdaq
16.300,42 23.51.43

+2,71%

Euro/Dollaro
1,1382 5.44.53

-0,72%

Spread
117,23 17.30.09

-0,49

Sui mercati è suonato l’allarme: allacciate le cinture di sicurezza perché la turbolenza è tornata e non lascia scampo. Come racconta la cronaca dell’escalation della guerra dei dazi nell’ultima settimana, lo scenario può cambiare dalla sera alla mattina. Dall'annuncio dei dazi di Donald Trump, mercoledì 2 aprile, il crollo delle borse è stato costante, con la volatilità alle stelle, fino alla serata (ora europea) di mercoledì 9 aprile, quando la Casa Bianca ha deciso di mettere in pausa per 90 giorni i dazi reciproci per tutti i Paesi, salvo aumentare l’aliquota per la Cina dal 104% al 125%.

Guerra aperta con la Cina

L’accoglienza di Wall Street è stata euforica: +9,5% per l'S&P 500, il rimbalzo più alto dal 2018, e addirittura +12% per il Nasdaq. E il giorno successivo, giovedì 10, l’effetto stop sui dazi si è sprigionato con un super rimbalzo che ha fatto guadagnare al Ftse Mib il 4,7%, mentre in serata Wall Street ha avuto un ennesimo ribasso dopo che la Casa Bianca ha dichiarato che l’aliquota verso la Cina sarà al 145%. Venerdì Pechino ha riposto alzando l’asticella dei dazi agli Usa al 125%, mossa che ha trascinato in un nuovo ribasso le borse Ue.

Quattro ricette da ottovolante

In questo scenario quanto mai imprevedibile l’unica certezza è che gli investitori devono abituarsi a viaggiare sulle montagne russe. Come? MF-Milano Finanza ha riunito quattro esperti per capirlo: Sara Amato, head of investment specialist di Pictet Wealth Management, Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, Giordano Lombardo, ad e co-responsabile degli investimenti di Plenisfer Sgr (gruppo Generali Investments), e Marco Midulla, head of mutual funds di Symphonia Sgr (gruppo Banca Investis).

Quali analogie e differenze vedete tra il crollo attuale e quelli degli ultimi anni?

Sara Amato (Pictet)

«Mentre le crisi storiche erano spesso il risultato di squilibri strutturali, lo shock indotto dai dazi si distingue per la sua natura politica. Se pensiamo alla crisi del 1929 e a quella del 2008 entrambe derivarono dalla fragilità del sistema finanziario, quella del 2000 fu causata dallo scoppio della bolla speculativa alimentata da valutazioni gonfiate di aziende tecnologiche. È raro nella storia che una superpotenza come gli Stati Uniti agisca come un agente rivoluzionario, ma in questo caso è chiaro che la Casa Bianca vuole realmente alterare il sistema economico globale».

Antonio Cesarano (Intermonte)

«Io invece penso che la principale e unica analogia con la crisi del Covid sia la tensione sui mercati obbligazionari, che nel 2020 costrinse la Fed e la Bce a sostituirsi all’economia con una enorme iniezione di liquidità. Quest’anno in un certo modo si è verificato lo stesso cortocircuito: nel momento in cui le azioni scendevano, i tassi a lungo termine dei bond Usa salivano. Il sospetto in questo caso è che le vendite di Treasury che hanno innescato le difficoltà siano arrivate dalla Cina, che probabilmente ha spostato il confronto sul piano finanziario delle obbligazioni».

Giordano Lombardo (Plenisfer) 

«Partirei proprio da quest’ultimo punto. I crolli attuali non assomigliano a nessuno di quelli precedenti per via dell’andamento che hanno avuto i titoli di Stato Usa e il dollaro. Durante le altre crisi gli investitori compravano questi due asset considerandoli un bene rifugio, oggi invece è successo il contrario, entrambi sono finiti sotto pressione. Piuttosto, i pesanti ribassi di questi giorni mi hanno ricordato la crisi dei mercati emergenti della fine degli anni Novanta, quando quei Paesi avevano alto debito e valute deboli. Oggi in Asia la situazione è molto diversa, mentre vedo molte analogie con gli Usa».

Marco Midulla (Symphonia)

«La bolla Internet del 2000 è stata dettata da un eccesso di euforia sulle potenzialità della nuova tecnologia, il Covid invece è stata una crisi improvvisa e imprevista ma velocemente digerita dai mercati finanziari perché contrastata in maniera tempestiva. La differenza principale tra questa crisi e le altre sta nel fatto che sembra auto-inflitta dagli Usa per trovare il modo di esportare di più e ridurre il deficit commerciale che ha con diversi Paesi globali».

Cosa aspettarsi nelle prossime settimane?

Marco Midulla (Symphonia)

«Sicuramente la volatilità rimarrà padrona della scena. L’umore del mercato seguirà le notizie sui dazi in positivo o in negativo. A oggi i dazi degli Usa sopra il 10% sono tornati in pausa per tutti i Paesi meno che per la Cina, con cui sembra rimanere uno scontro. La prossima settimana inizieranno le trimestrali che possono dare un’ulteriore direzionalità ai mercati».

Antonio Cesarano (Intermonte)

«Guardando all’obbligazionario, mercoledì 9 aprile la tensione sui Treasury era massima, ma proprio in quel momento l’asta del decennale ha visto il record storico di sottoscrizione dagli esteri. Trump potrebbe aver fatto una sorta di baratto tacito: ha chiesto al resto del mondo di comprare Treasury, in cambio della sospensione dei dazi. Le prospettive sono legate a questa interazione: Trump è riuscito o meno a mettere in piedi un accordo con il resto del mondo? Se tutto funzionerà nel breve le tensioni potrebbero rientrare e poi nella seconda parte dell’anno arriverà la parte dolce dell’amministrazione Trump, cioè il taglio delle tasse, oltre alla preannunciata deregolamentazione».

Sara Amato (Pictet)

«Concordo. Se il piano dell’amministrazione Trump funzionerà avremo in primo luogo un susseguirsi di annunci relativi all’apertura di tavoli negoziali per ridurre i tassi tariffari. In seconda istanza, il dollaro si svaluterà pur rimanendo dominante come valuta mondiale. E a quel punto la Fed sarà indotta a ridurre i tassi di interesse e questo sosterrà l’economia».

Giordano Lombardo (Intermonte)

«Spostando l’attenzione agli ultimi eventi, è chiaro che stiamo pattinando su un ghiaccio sottile. Per i prossimi mesi le relazioni commerciali tra Usa e Cina sono morte perché di fatto già con dazi oltre il 50% il commercio tra due Paesi è fermo. Ci possiamo quindi aspettare un effetto sulla minore crescita del Pil cinese che alcuni stimano tra uno e due punti percentuali. Quindi la domanda è se le autorità di Pechino decideranno di stimolare di più la domanda interna, perché il Paese ha spazio per farlo. D’altra parte, credo che le probabilità di recessione negli Usa siano salite rispetto alla settimana scorsa, e siano oggi stimabili al 40-50%. La profondità di questa recessione dipenderà molto anche da quello che succederà sul mercato dei bond».

Quali strumenti e strategie mettere in pratica ora per proteggersi?

Giordano Lombardo (Plenisfer)

«Innanzitutto, restiamo positivi sull’oro per due motivi. Ha dimostrato che può avere un ruolo di protezione del portafoglio perché ha una sua indipendenza, non rappresentando una passività di nessuno, come invece sono i titoli di Stato. È inoltre un’alternativa al dollaro, considerato sempre meno un bene rifugio. Guardando all’azionario, dopo 30 anni dominati dagli Usa, siamo all’inizio di un cambiamento epocale: siamo entrati in una fase strutturale di sottoperformance delle azioni americane rispetto al resto del mondo».

Antonio Cesarano (Intermonte)

«Anche io penso che ormai i mercati stiano cambiando pelle. In un portafoglio globale oggi diversificare significa ridurre un po’ la componente Usa, perché le Magnifiche 7 sono messe in difficoltà dalla concorrenza cinese. E sono d’accordo che vada inclusa una base di oro. Sull’obbligazionario, il consiglio è stare un po’ fuori dal gioco, andando su una parte breve a tre anni. A livello di emittenti, andrei a considerare anche i sovranazionali, come ad esempio i bond della Bei».

Sara Amato (Pictet)

«Noi nel mercato del debito sovrano preferiamo l’Europa. Pure noi raccomandiamo una quota di asset sicuri come oro o franco svizzero, e di avere una certa liquidità da impiegare una volta che la situazione si sarà stabilizzata».

Marco Midulla (Symphonia)

«Certo, in questo contesto la migliore strategia per proteggersi dal rischio di mercato è crearsi un cuscinetto di liquidità così da poter sfruttare i picchi di volatilità per incrementare le esposizioni».

Quali implicazioni della guerra dei dazi per il mercato obbligazionario?

Marco Midulla (Symphonia)

«A oggi il mercato ha prezzato tre tagli da parte della Fed e un rischio di recessione medio. Le curve hanno aiutato, per il momento, a proteggere il portafoglio. Da qui in avanti riteniamo invece che le parti lunghe delle curve dei titoli governativi possano essere più un elemento di volatilità che di aiuto perché saranno il nuovo barometro delle scelte di Trump, e quindi molto correlate all’azionario».

Sara Amato (Pictet)

«Infatti l’amministrazione Trump si dichiara non preoccupata per le ripercussioni immediate sui mercati. Statistiche alla mano, il 50% degli americani non ha interesse nei mercati azionari e probabilmente è indebitato: questi sono i sostenitori più accaniti di Trump, il cui focus sarà il costo del debito. Infatti, nel 2025 scadranno 9,2 mila miliardi di debito americano, e c’è un disperato bisogno di abbassare il tasso sul decennale. Se il piano funzionerà, alla fine di tutto la Fed sarà indotta a tagliare».

Antonio Cesarano (Intermonte)

«In effetti il suo compito non è facile perché la tensione sui Treasury resta alta, e d’ora in avanti ogni asta sarà decisiva: se gli esteri continueranno a comprare bond sovrani americani, il patto non scritto con Trump si rivelerà affidabile. Al contempo, se torna la pressione sui Treasury questa potrebbe in parte estendersi a tutti i Paesi molto indebitati, Italia compresa».

Giordano Lombardo (Plenisfer)

«Quanto all’Italia, nessun Paese europeo può farcela da solo e occorrerà fare squadra. In generale nel mercato obbligazionario globale dovremo superare il regime durato finora di investimenti in valuta legati al differenziale dei tassi, che ha rappresentato un ulteriore motivo della forza del dollaro negli ultimi anni. I mercati valutari si preoccuperanno meno degli spread e più della forza strutturale dell’economia, ovvero dei fondamentali di un Paese. E se questa lettura è giusta, la variabile chiave sui mercati obbligazionari sarà prevedere correttamente i trend valutari». (riproduzione riservata)