Che differenza c’è fra un banchiere capo di una banca ordinaria-commerciale e un banchiere di una banca d’affari? La risposta è semplice: basta andare nel concreto e mettere a confronto i ceo delle due principali banche italiane.
Da una parte Carlo Messina, cioè un vero banchiere commerciale, pur avendo Banca Intesa una forte divisione (Imi) di investment banking; dall’altra Andrea Orcel che per la larghissima parte della sua carriera ha lavorato in banche d’affari e ora gestisce Unicredit principalmente con quello che è lo spirito e la pratica di una banca d’affari, anche se almeno per ora gli azionisti non possono certo lamentarsi.
L’evidenza di ciò è emersa netta anche nell’ultima e più importante operazione per il paese, l’assemblea di Generali. Alcune settimane fa MF-Milano Finanza ha pubblicato lo scoop che Intesa Sanpaolo aveva concesso un finanziamento di 500 milioni al gruppo Caltagirone. Non a caso questa notizia era stata fatta arrivare a noi.
Per la stima che ho verso la gestione di Intesa da parte di Messina, ho cercato personalmente di approfondire. La risposta è stata lapidaria: il mestiere di una banca commerciale è di prestare soldi a chi ha gli utili e il patrimonio per restituirli e Caltagirone ha queste caratteristiche. Ma che uso avrebbe fatto Caltagirone di quel prestito? La risposta: se abbiamo sufficienti garanzie non ci interessa se comprerà o non comprerà altre azioni di Generali per cercare di vincere in assemblea; non è una problematica che ci interessa perché non partecipiamo a quel match anche se non possiamo non guardare con preoccupazione quanto sta succedendo.
E in realtà è successo che il gruppo Caltagirone nella corsa al controllo delle Generali ha perso, evidenziando evidentemente che quel finanziamento di mezzo miliardo non ha spostato il risultato.
Ben diversa la scelta di Orcel che da grande banchiere d’affari, annusando il vento che spirava a Trieste, si è comprato con la tecnica raffinata dei derivati fra il 6 e il 7% di Generali ed è andato in assemblea a votare a favore della lista di Caltagirone e Delfin, pur sapendo che, come è accaduto, quei voti non sarebbero stati decisivi.
Ma allora perché Orcel ha votato la lista di Caltagirone-Delfin? Perché, banchiere con la tecnica del banchiere d’affari, con quel gesto a favore della lista di minoranza, sicuramente gradita al governo in carica, ha pensato di poter ottenere la benevolenza dello stesso governo sull’altra operazione straordinaria che ha in corso con il lancio dell’Ops (ma ne ha anche un’altra) su Banco Bpm, la ex-centenaria Banca popolare di Milano, per la quale, esercitando il potere che gli spetta, il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, ha posto delle condizioni non gradite dal capo di Unicredit.
Ritenendo Orcel, non a caso, che il governo se ha una simpatia la ha per Caltagirone, non fosse altro per il potere di informare de Il Messaggero sulla piazza di Roma, ha allora fatto quello che una banca ordinaria non avrebbe mai fatto: si è schierato. È forse azzardato dire che Orcel si aspetti con questo gesto di ottenere sconti dal governo per l’ops su Banco Bpm?
Potrebbe darsi che il governo in generale possa essere sensibile a questa disponibilità verso Caltagirone e il suo potere romano, ma conoscendo e stimando il ministro Giorgetti non credo che cambierà le condizioni poste perché l’ops di Orcel su Bpm possa procedere.
Del resto, per fortuna, pur essendo le ops uno strumento legittimo, il governo non può disattendere la necessità che le banche ordinarie facciano il loro principale e fondamentale mestiere, cioè quello di finanziare le famiglie e le imprese, e Bpm fa egregiamente questo mestiere al punto che nel Nord Italia e in particolare in Lombardia ha una quota di mercato nel credito più che doppia di quella di Unicredit e quindi è più che naturale che il governo intenda proteggere questo fondamentale mercato.
Per crescere in Lombardia e dove ha quote di mercato inferiori anche a banche medie, Unicredit ha una via semplice: sviluppare il rapporto con chi ha bisogno di finanziamenti.
Che Orcel sia un manager di grandi capacità nessuno, e tantomeno MF-Milano Finanza, lo disconosce. Ciò che può non essere condivisibile è che Unicredit guardi più alle operazioni speciali, appunto da banca d’affari, che alla crescita sul territorio per il credito ordinario.
Del resto, la strumentalità dell’acquisto con i derivati del 6-7% di Generali è confermata dall’utilizzo fatto, che appare appunto strumentale per essere al tavolo di questa grande partita e avere la possibilità di usare queste azioni per cercare di essere gradito al governo.
A segnalare questa evidenza è anche il comportamento di un altro azionista con circa il 5% che avrebbe motivo per ingraziarsi Caltagirone, ricco non solo di miliardi ma appunto anche del potere di informazione sulla piazza di Roma. Mi riferisco all’azionista Benetton, che avrebbe ben donde di guardare alle carezze governative o di schieramento verso destra, avendo un interesse molto importante a Roma con il controllo del super Aeroporto di Fiumicino.
Ebbene, con la saggezza di essere figlio del grande Luciano Benetton, ma anche con la consolidata l’etica degli affari per la sua attività di private equity prima di diventare capo del gruppo, Alessandro Benetton si è astenuto nella votazione all’assemblea delle Generali. La logica è stata che per i Benetton il quasi 5% di Generali è un importante investimento per la redditività che deve dare non per il potere che può derivarne e poiché l’ad Philippe Donnet e il presidente, professor Andrea Sironi, nonché presidente della Università Bocconi, hanno ben operato non è il caso di entrare nella mischia. Del resto, Benetton, si potrebbe aggiungere, di mischie se ne intende essendo sponsor del Rugby Treviso.
A proposito di ragionare come banchiere d’affari, mentre si è ceo di una banca commerciale, non si può non ricordare che Orcel non è impegnato solo sull’ops per conquistare Bpm, prendendosi un passaggio anche su Generali che sotto la gestione di Donnet e Sironi ha ulteriormente incrementato il primato non solo nel campo assicurativo e della gestione dei capitali; ma il ceo di Unicredito è anche impegnato nella conquista della seconda banca tedesca, la Commerzbank.
Questa sì che è strategica per una banca con la sede principale in Italia. Se Orcel si impegnasse principalmente su questa operazione portandola a termine, visto che ha ottenuto il via libera dalla Bce e dalla banca centrale tedesca, tutti gli italiani e in particolare gli imprenditori del paese gliene dovrebbero essere molto grati, visto l’importanza che il mercato tedesco ha in Europa.
E del resto, con la presa di controllo su Commerzbank non farebbe che completare il progetto diretto al mercato tedesco da colui che per primo ha attuato lo sviluppo di Unicredit e cioè Alessandro Profumo, peraltro con una presenza significativa in Polonia, grazie all’attuale amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, che seppe costruire nel paese di Papa Wojtyla.
Insomma, con l’acquisizione di Commerzbank, la grande professionalità come banchiere d’affari di Orcel farebbe crescere le possibilità di operare in Germania delle imprese italiane, non cercando invece una sostituzione di fatto di un’altra banca al posto di Bpm nel Nord Italia, dove appunto l’istituto ex popolare guidato benissimo da Giuseppe Castagna adempie già egregiamente alla funzione di finanziamento con gli sportelli bancari e di gestione del risparmio, attraverso Anima, appena conquistata.
Ecco, nella logica di banchiere d’affari, Orcel pensa con l’ops su Bpm di raggiungere, in un sol colpo, l’obiettivo di crescere di quota di mercato e di avere con Anima il gestore del risparmio che gli manca. Ma Orcel non può pensare che nell’esaminare le ops il ministro Giorgetti non tenesse conto degli interessi del paese, e, del resto, non fa onore a un grande banchiere d’affari come lui che contesti prima le limitazioni del governo e che poi tenti di portarlo dalla sua parte con la manovra della partecipazione acquisita in Generali proprio per avere uno strumento di negoziazione.
Come ho scritto all’inizio, e l’elemento non è secondario, certamente chi ha investito in Unicredit non ha al momento da lamentarsi della gestione di Orcel, ma non si può non ricordare che tutte le banche, Intesa Sanpaolo in testa, hanno fatto grandi utili oltre che per l’abilità di chi le guida per il forte aumento dei tassi attuato nel recente passato dalla Bce, mentre ora i tassi stanno calando.
Nella sua prorompente e contemporanea azione su più e impegnativi fronti, è da augurarsi che Orcel sappia accontentarsi da una parte scegliendo lo sviluppo utile all’Italia in Germania e dall’altra avviando uno sviluppo dall’interno delle attività nel Nord Italia sì da avere una quota di mercato consona alla storia e alla dimensione di Unicredit.
Ma questo è un lavoro con tempi lunghi che richiede pazienza e applicazione costante, mentre la logica e le prerogative del banchiere d’affari sono assolutamente altre. Non è che si chieda che Orcel rinunci a usare le sue qualità di banchiere d’affari ma non si dimentichi che ora è alla guida di una banca commerciale con alcuni squilibri di mercato specialmente nel Nord Italia. Se lo facesse, non per questo sarebbe meno stimato, anzi. Infatti, al di là degli affari straordinari che in certi momenti possono essere anche utili se opportunamente dosati, il prestigio e l’apprezzamento di Orcel non può prescindere da svolgere bene anche, ma in primo luogo, l’attività di banca commerciale qual è Unicredit.
Nell’analisi capillare che giustamente viene fatta sul Vaticano in questi giorni di sentito lutto dell’universo cattolico per la morte di Papa Franciscus, non c’è stato neppure un accenno, tranne quello di MF lo stesso giorno della scomparsa di Bergoglio, al ruolo economico e finanziario che lo stesso Vaticano e il Papa svolgono per due fattori e istituti non trascurabili quali l’Obolo di San Pietro e la banca Ior, che traducendo la sigla vuol dire Istituto per le opere di religione, Eppure, il combinato disposto di Obolo e di Banca hanno sempre avuto e inevitabilmente avranno un ruolo rilevante non solo per la Chiesa di Pietro.
Lo dimostra, per non entrare nel merito di quanto è avvenuto di buono o di cattivo durante il papato di Franciscus, quanto mi raccontò molti anni fa l’allora segretario amministrativo (di fatto l’amministratore delegato) dello stesso Ior, il grandissimo uomo Massimo Spada. Anche se sono passati molti decenni, quelle vicende sono quantomai significative in vista della scelta del nuovo Papa.
Si può partire da quando era imminente lo scoppio della Seconda guerra mondiale: il Papa era un italiano, un romano di famiglia nobile, Papa Pacelli o se si preferisce Pio XII. Le principali entrate finanziarie del Vaticano, o più precisamente quelle costanti, erano nell’Obolo di San Pietro, provenienti da tutto il mondo. Con sensibilità politica, pratica e non solo cristiana, visto anche il ruolo economico che un Papa svolge, Pio XII chiamò per una riunione Massimo Spada, dicendogli: «Caro Massimo, come impieghiamo, ora che sta per scoppiare la guerra, la generosità dei nostri fedeli?». Massimo Spada, che stava già ragionando da banchiere sul tema, fu pronto nella risposta: « Sua Santità (anche se Spada era di famiglia nobile come il Papa, non poteva usare altro appellativo), credo che si debba mettere tutto in lingotti d’oro». E così avvenne. Dopo sei anni di guerra, quello si era trasformato in un patrimonio davvero grandissimo e Pio XII, finita la guerra, riconvocò Massimo Spada e gli chiese: «Caro Massimo, avendo tutte queste disponibilità dobbiamo aiutare anche il nostro paese, l’Italia, a risorgere».
Nacquero così una serie di investimenti importantissimi, tutti orientati all’intensità di manodopera come il Cotonificio Olcese, Italcementi e via dicendo, fino al punto che Massimo Spada era presente in una cinquantina di consigli di amministrazione di società italiane. Certamente il Vaticano gestito da un Papa italiano come Pio XII ha avuto un ruolo importante nella ricostruzione dell’Italia e in realtà l’attività dello Ior, prima della degenerazione con la presidenza dello Ior da parte di monsignor Paul Marcinkus e i suoi rapporti deviati con Michele Sindona e il piduista Livio Gelli, è proseguito positivo con Giovanni XXIII, pur nella prevalente sua bontà su ogni altro sentimento.
Prova ne sia quando lui, di Bergamo di sotto, chiamò per una passeggiata nei giardini vaticani Massimo Spada. Volle perorare la causa di Carlo Pesenti, il cementiere e non solo di Bergamo alta, inguaiato con l’andamento disastroso della fabbrica di automobili Lancia. «Come si fa a dire di no al Signor Carlo», disse quel santo semplice e umano come Papa Giovanni, mentre teneva a braccetto Spada.
Fu così che Spada dovette divenire amministratore delegato della Lancia, per calmare le banche, fino a quando non riuscì a far decidere l’acquisto della Lancia dalla Fiat di Giovanni Agnelli, mentre Pesenti non voleva saperne.
Ho più volte ricordato ai lettori la scena della tracotanza di Agnelli al momento in cui fu firmato il fissato bollato e l’allora presidente della Fiat si presentò in ritardo, entrò nella stanza in corso Marconi a Torino, tirò fuori dalla tasca le lire (una per azione), mise la firma, girò i tacchi e sulla porta facendo il segno della mano disse «Ciao Carletto».
Come si vede da una parte il Vaticano, attraverso lo Ior, è stato molto presente nell’economia e nella finanza italiane. Appunto, dopo la pensione di Spada, con Marcinkus e il direttore Luigi Mennini, lo Ior è finito in mezzo al peggio della finanza italiana e internazionale. Da tempo non si parla più dello Ior. Meno male e c’è da augurarsi che quell’obolo miliardario in tutte le valute del mondo sia usato per opere vere di religione, visto lo slogan in uso: «Al servizio della Chiesa cattolica nel mondo».
Oggi presidente dello Ior è un laico, Jean-Baptiste Douville de Franssu, francese con esperienza alla Caisse des Depot et Consignations, in Invesco, e Carmignac gestion. È stato indicato a Papa Francesco da Lucio Angel Vallejo Balda, segretario e coordinatore della riforma dello Ior, che Franciscus ha saggiamente e cattolicamente deciso appena subito dopo la sua elezione al soglio pontificio per fare pulizia dopo le profonde degenerazioni con Marcinkus. In tutte le cronache e analisi di questi giorni sull’operato di Papa Francesco non si è fatta mai menzione di quella decisione più che saggia e profonda che Franciscus prese appena insediato. Non per questo, non solo con lo Ior il ruolo del Vaticano nella finanza e nell’economia continua a essere più che rilevante, anche se grazie ai minori o agli zero scandali se ne parla e se ne scrive pochissimo o niente. (riproduzione riservata)