Il governo, con un emendamento alla legge di delegazione europea 2024, prova a mettere ordine una volta per tutte alle regole per l’estinzione anticipata dei finanziamenti tramite cessione del quinto dello stipendio. Una questione intricata, che si trascina da anni, e che oggi varrebbe complessivamente circa 1 miliardo di euro, provocando una media di 400 cause legali al mese, con esiti del tutto incerti e variabili a seconda del tribunale chiamato a pronunciarsi.
Il tutto è nato dalla sentenza Lexitor, che prende il nome dalla società polacca che offre servizi ai consumatori rilevando i loro diritti di credito. Società che, nel 2019, si era rivolta ai giudici europei per avere chiarezza sulla portata della direttiva europea che nel 2010 ha sancito, per la prima volta, il principio che, in caso di rimborso anticipato del credito da parte del consumatore, quest'ultimo abbia diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto.
La pronuncia della Corte di Giustizia, arrivata a settembre 2019, a sorpresa, ha allargato i rimborsi a tutti i costi, compresi quelli di istruttoria o le provvigioni pagate alle reti distributive (i cosiddetti costi upfront), creando scompiglio in Italia, unico Paese europeo dove esiste questo tipo di finanziamento che, per esempio, consente l’accesso al credito anche a persone over 70. Perché le società di cessione del quinto non ne vogliono sapere di dover rimborsare ai clienti costi che considerano legati allo stesso avvio del contratto, come l’imposta di bollo o le spese di perizia che servono a capire se ci sono gli estremi per concedere questo tipo finanziamento e che pesano di più rispetto al credito al consumo tradizionale.
Così la questione, in caso di estinzione anticipata del contratto, spesso e volentieri finisce in tribunale con costi aggiuntivi ed effetti dannosi per tutto il mercato. In questi anni di incertezza normativa (cui si sono aggiunte una pronuncia delle Corte Costituzionale e altre due della Corte di Giustizia Europea) la convenienza tra i tassi applicati alla cessione del quinto (che prevedono polizze assicurative obbligatorie e hanno un rischio più basso) e quelli di credito al consumo tradizionale si è ridotta di 2 o 3 punti percentuali e i costi upfront sono praticamente scomparsi per essere traslati sui tassi d’interesse veri e propri.
Storture che il governo vorrebbe eliminare con un emendamento firmato dal senatore della Lega, Massimo Garavaglia, che è anche presidente della Commissione Finanze al Senato. La norma prevede in particolare che, nel recepimento della nuova direttiva europea sul credito al consumo, prevista per il 2025, si tenga conto delle peculiarità della cessione del quinto non considerando quindi rimborsabili i costi upfront, ma con un’eccezione: la rimborsabilità di tali costi sarebbe sancita nel caso di opacità dei contratti di finanziamento.
Una sorta di sanzione associata alla mancanza di trasparenza del contratto. Non solo. L’obiettivo dell’intervento di Garavaglia è anche di prevedere una disciplina transitoria per regolare i contratti già sottoscritti e ridurre così quella montagna di contenzioni che continua a crescere. Nella riunione della Commissione Politiche dell'Unione europea del Senato l’emendamento di martedì 11 febbraio l’emendamento è stato accantonato per essere rivotato il giorno successivo, mercoledì 12. Sarà la volta buona? (riproduzione riservata)