Qualcuno ricorda negli ultimi dieci anni un momento di incertezza come quello attuale per il mondo intero? Non mi riferisco esclusivamente alle guerre, alle possibili tregue, alle guerriglie cittadine in più Paesi, ma anche agli interrogativi e alle possibili evoluzioni sul piano economico-finanziario e politico. Per rendermene conto e per rendervene conto, ecco un non esaustivo campionario di quanto succede, deve succedere, speriamo che non succeda in Italia e nel mondo.
Banche: la partita, che ha il suo focus sulle Ops dell’intrepido Andea Orcel verso Commerzbank e verso Bpm e sulla idea di creare il terzo polo intorno al rinato Mps di Siena, ha inevitabilmente e giustamente coinvolto Intesa Sanpaolo, cioè la prima banca italiana ed europea. Sia pure con lo stile di correttezza felpata che lo contraddistingue, Carlo Messina, ceo della banca nata dall’intesa fra mondo laico (Comit), cattolico (Banco Ambrosiano) con l’aggiunta del San Paolo di Torino e infine Ubi, ha detto giustamente la sua: «Italia è Intesa Sanpaolo». A maggior ragione dopo aver firmato con il presidente della Confindustria, Emanuele Orsini, l’impegno a destinare 200 miliardi di euro al finanziamento di aziende italiane. Con l’aggiunta che a suo avviso, che è anche quello di MF-Milano Finanza, i risparmi italiani vanno in primo luogo investiti in Italia. Nondimeno, Messina dà massima attenzione all’evoluzione del settore bancario e per questo, con la precisazione che le criptovalute sono un prodotto solo per investitori istituzionali, Intesa vuole far da apripista sui bitcoin, e prima banca, anche se come test, ha acquistato bitcoin. In questa competizione fra le prime due banche italiane occorre tenere presente che il dna di Orcel è da banchiere d’affari e quindi è inevitabile che mostri un forte dinamismo, come testimonia il progetto di espansione sulla seconda banca tedesca, Commerzbank, e contemporaneamente pensi al fatto che, a Milano, Unicredit ha una quota di mercato misera, il 6% circa, contro la grande fetta di Intesa e anche del 13% di Bpm. Per questo Orcel ha lanciato l’Ops su Bpm, molto forte anche nel risparmio gestito, attraverso Anima, settore nel quale Unicredit è quasi fuori avendo venduto la sua società specializzata, Pioneer, ad Amundi, controllata dal Credit Agricole che a sua volta è importante azionista di Bpm. Naturale che l’ad della ex-banca popolare, Giuseppe Castagna, formatosi in Comit, cerchi in tutti i modi di resistere. Ne discende che il sistema bancario italiano, sia pure nei limiti delle regole del mercato, sia in agitazione per non dire in stato prebellico. Ma il dinamismo bancario riguarda anche il Sud d’Italia, dove la storica Banca agricola popolare di Ragusa (una provincia dall’economia molto solida), ha finito per incorporare o fondere le altre popolari e ora il presidente Arturo Schininà e l’ad Saverio Continella hanno potuto ribattezzare l’istituto con il nome di Banca agricola popolare di Sicilia, essendo presente in tutte le province dell’isola oltre che a Roma e Milano. Qualcuno dubita che nei prossimi mesi il sistema bancario italiano sia una fase di grande movimento e confronto e forse anche scontro?
Ma in Italia non si muovono soltanto le banche. È pressoché esecutivo un accordo che vede protagonista il primo gruppo assicurativo italiano con presenza globale, le Generali di Trieste, che ogni anno deve gestire volumi crescenti del denaro derivante dalle polizze con rendimento. A oggi, la massa da gestire è di oltre 650 miliardi di euro con crescita annuale di 7-8 miliardi, che da sola indica l’importanza fondamentale per l’economia italiana e non solo del gruppo che due azionisti come Francesco Gaetano Caltagirone e gli eredi di Leonardo Del Vecchio vorrebbero sottoporre a controllo. Il presidente di Generali, Philippe Donnet, con i consiglieri del gruppo e con filo diretto con Mediobanca, primo azionista del grande gruppo assicurativo, ha deciso che la gestione di una massa così imponente di denaro, proveniente dai numerosi Paesi in cui Generali è presente, non venga più affidata a una serie di boutique finanziarie ma che possa essere gestita in una nuova società di cui la compagnia di Trieste possieda il 50%, in modo da aumentare i ricavi. L’altro 50% sarà di Natixis, il gestore francese controllato da Bpce (Groupe di Banques populaires e de Casses d’Epargne), terzo gruppo bancario francese. La nuova società al 50% con questo accordo avrà in gestione 1.200 miliardi di euro. C’è chi sostiene, non lontano dai due azionisti per così dire privati di Generali, che su questa operazione il governo dovrebbe utilizzare il golden power, che affida al governo poteri speciali su attività strategiche come il risparmio. Evidentemente si tenta di impedire che Generali rimanga un’istituzione indipendente, grazie alla capacità di influenzare il governo italiano da parte di chi possiede giornali e media a Roma e nel resto d’Italia non semplicemente per informare, come i principi della democrazia impongono, ma appunto per blandire o attaccare, a seconda dei casi, il governo. Avvicinandosi, fra l’altro, l’assemblea di Generali che deve rinnovare il consiglio, l’accoppiata Caltagirone- Eredi Del Vecchio sicuramente farà un nuovo tentativo per sovvertire le regole che rispondono a criteri di sana governance e che proprio in settori delicati come quello bancario, assicurativo, gestionale del denaro richiedono regole e interpreti che non agiscono con strumenti impropri come può essere la pressione politica attraverso mezzi di informazione. Ma anche su questo, chi arriverà a leggere il P.S. di questo editoriale troverà dettagli che dimostrano la bizzarria di questo Paese che è l’Italia.
I lettori di queste pagine sanno qual è la stima che non solo io come persona, ma tutto MF-Milano Finanza, abbiamo nei confronti del ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti. Anche su MF di giovedì 16 ce n’è la prova. Dopo aver commentato il dato sul debito pubblico del Paese certificato da Bankitalia (3.000 miliardi), sostenendo che sarebbe stato necessario fare prima quanto il governo sta facendo oggi per contenerlo e ridurlo, il ministro Giorgetti ha confermato di aver apprezzato la proposta del Tagliadebito proposto da questo giornale con la vendita di quegli immobili che sciaguratamente il ministro dell’economia di allora, Giulio Tremonti, distribuì agli enti locali in una chiave più leghista che berlusconiana: «Siamo nella fase di censimento. Si è costituita un’unità al Mes che sta seguendo la sottosegretaria all’economia, Lucia Albano, che sta facendo questa operazione di ricognizione… Abbiamo anche già fatto le prime riunioni che coinvolgono tantissime istituzioni, forse troppe, però questa è la realtà del Paese. Quello della vendita degli immobili è uno degli indirizzi principali che dobbiamo utilizzare per riuscire a tenere a bada il debito”. Grazie della condivisione, Signor Ministro.
Ma la stima che abbiamo verso il ministro bocconiano, non può farci velo nel segnalare il grave errore che si è consumato proprio mercoledì 15 gennaio, con la firma ufficiale dell’ingresso di Lufthansa in Ita (ex-Alitalia). La firma finale e la composizione del consiglio d’amministrazione è avvenuta con un giorno di ritardo perché i tedeschi non hanno accettato che venisse riconfermato presidente Antonio Turicchi, già in carica dal novembre 2022. Il fatto che fosse lui il presidente era quantomeno garanzia di continuità, ma proprio per questo i tedeschi di Lufthansa non hanno gradito ed è stato necessario rinviare di un giorno la nomina e ripiegare sul pur bravo Sandro Pappalardo consigliere di Enit ed ex-pilota militare. Il governo italiano conserva tre consiglieri su cinque, ma ha dovuto cedere per la presidenza a una persona che è sicuramente capace, ma che non conosce la macchina Ita come la conosceva Turicchi. A Turicchi e al resto dei manager che hanno gestito negli ultimi tre anni va riconosciuto di aver fatto un buon lavoro. Ma ora il comando operativo diventa di Lufthansa che, oltre a impedire la riconferma a presidente di Turicchi, ha ottenuto la totale guida operativa della società con la nomina ad amministratore delegato di Joerg Ebethart, che è operativo in Italia dal 2014 come ad di Air Dolomiti, già controllata da Lufthansa. Lufthansa che per ora è in minoranza (un 41% pagato 325 milioni) ma tra la fine del 2025 e il 2029 potrà acquistare un ulteriore 49% pagando altri 325 milioni. È prevista anche una clausola di earn out di 100 milioni al verificarsi di determinate condizioni. E in più, dopo il 2029, Lufthansa potrà comunque esercitare un’ulteriore opzione di acquisto per il rimanente 10% versando 79 milioni. Quindi il governo di fatto si è impegnato a vendere tutta la compagnia di bandiera per 719 milioni. Una miseria.
Ma il grave è che Lufthansa attiverà solo le linee per essa remunerative, mentre un Paese come l’Italia, in cui il turismo è fondamentale, non potrà decidere quali collegamenti attivare. E poiché tutto è anche condizionato all’antitrust europeo e Lufthansa ha già una posizione dominante, è già stato necessario cedere rotte finora coperte da Ita-Alitalia ad altre compagnie con il paradosso, per esemplificare, che chi vuole andare a New York da Milano con Ita ora non può, perché per New York si potrà partire solo da Roma o da un aeroporto tedesco, quindi comunque facendo uno scalo. Tuttavia, il disastro di questo accordo, lo ripeto, è legato al fatto che l’Italia non potrà gestire attraverso i voli non solo le rotte per così dire di passeggeri che si muovono per lavoro, ma anche e soprattutto in favore del turismo.
Tutto ciò potrebbe essere considerato inevitabile, se non ci fossero state alternative, ma l’alternativa c’era ed era rappresentata dal più grande gruppo italiano di trasporti marittimi e di crociere, il gruppo di Gianluigi Aponte che era già nel capitale di Ita e che è stato costretto a uscire perché un deputato di Fratelli d’Italia, vicepresidente allora di una commissione della Camera, aveva bollato Aponte di essere svizzero. È vero che Aponte vive in Svizzera e ha la cittadinanza svizzera, avendo sposato una cittadina svizzera, ma è di Napoli e solo con Msc crociere, senza considerare il trasporto merci, apporta servizi e turisti fondamentali all’Italia. La scelta che è stata fatta è la più scellerata ed evidentemente il ministro Giorgetti ha dovuto cedere a Fratelli d’Italia. Un Paese come l’Italia in cui il turismo è fondamentale, non potrà fare nessuna politica di linee dirette perché la logica di Lufthansa, la cui efficienza è indubbia, tende a far scalo e partenza dagli hub tedeschi. C’è da augurarsi che almeno qualche clausola di garanzia per rimediare a complicazioni per i passeggeri italiani che volano per affari e naturalmente preferiscono i voli diretti, o per non perdere turismo, il governo italiano l’abbia pretesa. In ogni caso non ha senso che il settimo Paese al mondo per importanza economica abbia abdicato ad avere una propria politica dei voli aerei con una compagnia di bandiera, come per esempio, ha la Francia con Air France.
Che i social abbiano effetti negativi specialmente sui ragazzi, che ormai trascorrono ore e ore con il cellulare in mano, è una realtà accertata e in moltissimi casi una vera e propria patologia, non potendo molti staccarsi dallo schermo. Una vera e propria rivoluzione che riguarda la salute dei giovani e di conseguenza la salute della stessa società, di cui i giovani dovrebbero essere il futuro. C’è un rimedio a una tale, per molti versi, drammatica realtà? Sicuramente la scienza dovrebbe trovare una cura, ma la scienza medica è molto meno potente di chi comanda lo schermo dei device e la tecnologia che sta dietro. Il problema principale per il futuro del mondo civile è questo, ma non si può che essere pessimisti perché chi comanda nel mondo sono oggi i padroni delle reti, che sono poi anche, almeno per gli Usa, i maggiori, decisivi alleati di chi ha il potere politico. È vero che è già in atto uno scontro fra i padroni delle reti e dei contenuti sia all’interno degli stati, che fra gli stati. Ma la recente evoluzione politica con l’esito delle elezioni americane ha spinto, per esempio Facebook, ad allinearsi alle regole di X controllato da Elon Musk. E per capire com’è il trend, basta rileggere quanto ha dichiarato, più che preoccupata, la dimissionaria Lina Khan da capo dell’antitrust americano. In Orsi&Tori dello scorso sabato ho pubblicato parte delle sue dichiarazioni, che hanno riguardato anche la sua scoperta dell’accordo segreto da 30 miliardi all’anno pagati da Google perché Apple inserisse all’origine negli iPhone il motore di ricerca dello stesso Google. Non ci vuole molto a capire che, se Musk avrà potere alla Casa Bianca le regole saranno protettive per il settore ma non per gli utenti. C’è poi la guerra fra gli stati e in particolare da parte degli Usa per spingere fuori TikTok cinese, che ha molte soluzioni più incisive dei software americani. Insomma, la guerra digitale esploderà ancora di più e a farne le spese saranno figli e nipoti. C’è da sperare che almeno in termini di legislazione l’Europa, che non ha campioni nel settore, vari leggi severissime a tutela degli utenti, specialmente di quelli giovani.
Le pagine di mercoledì e giovedì scorso dei necrologi del Corriere della Sera sono state piene di necrologi per la morte del Professor Pellegrino Capaldo, un uomo straordinario per equilibrio e competenza. Cattolico vicino alle idee della Dc, ma mai iscrittosi al partito, è stato prima presidente della Cassa di Risparmio di Roma e poi, con la fusione nella Cassa del traballante Banco di Roma, della nuova Banca di Roma, gestendola bene per molti anni con Cesare Geronzi. Fra i suoi tanti meriti, mi permetto di segnalarne uno, perché l’ho vissuto direttamente. Quando saltò la Montedison dei Ferruzzi gestita da Raul Gardini, Capaldo e Geronzi si posero il problema del futuro de il Messaggero, che Gardini aveva comprato dai Perrone. Ritenevano, Capaldo e Geronzi, che il Messaggero dovesse tornare a una gestione non di parte, visto che era il giornale della capitale. Per questo andarono a Mediobanca (di cui Banca di Roma era socio insieme alle altre due ex-Bin) per chiedere che Enrico Cuccia, che aveva iniziato a lavorare proprio a il Messaggero, facesse in modo che il quotidiano finisse in mano a un editore di professione. E avevano pensato, bontà loro, che potesse essere Class Editori, di cui Banca di Roma aveva curato il collocamento di successo in Borsa insieme alla Banca Rothschild. Erano sicuri, Capaldo e Geronzi, che Cuccia avrebbe acconsentito. Invece Cuccia sentenziò che il Messaggero doveva finire in mano al più ricco e potente di Roma, il gruppo Caltagirone. Così avvenne e così ora Caltagirone e il Messaggero sono i più i duri nemici degli eredi di Cuccia in Mediobanca e nella partecipata Generali. Si chiama contrappasso. E lo stanno pagando i bravi Alberto Nagel e Philippe Donnet. (riproduzione riservata)