Riacquistati lo scorso anno i requisiti di onorabilità persi per la condanna nel caso Ciappazzi-Parmalat, il fondatore di Sator Matteo Arpe è rientrato nella governance di Banca Profilo e ha preso in mano la liquidazione del fondo, nel quale sono rimasti ormai solo il 62,4% di Banca Profilo, quotata attiva nel private e investment banking controllata attraverso il veicolo Arepo Bp, e il 70% della fintech Tinaba. E vuole fare presto. Anche perché i quotisti premono e dopo 14 anni dall’investimento e cinque anni dalla prima volta in cui all’istituto milanese di via Cerva è stato appeso il cartello Vendesi, vogliono uscire. Possibilmente, senza perderci.
Le quote erano state sottoscritte da casse previdenziali come Enasarco, Enpam, Cassa Forense e Inarcassa, da alcuni enti di origine bancaria come Fondazione Mps e Fondazione Roma, da soggetti istituzionali come Banca di San Marino, Poste e dal fondo pensione del gruppo Unicredit (Effepilux) oltre che da importanti famiglie del capitalismo italiano come gli Angelini, i D’Amico, i Brachetti Peretti e da Luigi Berlusconi (vedi tabella in pagina). A loro fianco, con la seconda quota maggiore, c’è proprio Matteo Arpe, attraverso la controllata Sator spa.
Rientrato ad aprile nel consiglio della banca con il rinnovo anticipato di maggio sia pure nelle semplici vesti di presidente del comitato strategico di Banca Profilo – che di fatto gli assegnano un ruolo istruttorio del processo di cessione – Arpe ha cambiato gli advisor (al posto di Lazard è stato incaricato lo studio Gualtieri & Associati e come legale l’avvocato Massimo Tesei dello studio Gianni Origoni) e ha sottratto la vendita al management capitanato dall’ex amministratore delegato Fabio Candeli, rimasto in banca come direttore generale ma dato in uscita entro l’anno (potrebbe lasciare forse già dopo la semestrale).
Allo stesso modo sono cambiati gli interlocutori. Fra i potenziali compratori non ci sarebbero più fondi – come Attestor, RiverRock, Twenty First Capital e Barents Re, che si sono alternati al tavolo delle trattative negli ultimi cinque anni – ma soggetti bancari.
Ci sarebbero cinque tavoli aperti, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza: quattro con istituti esteri, più nuove interlocuzioni riavviate con l’imprenditore Andrea Bonomi, che guarderebbe a Profilo come investimento personale attraverso la holding B-Invest e non con il fondo Investindustrial che guida.
A seconda del gradimento del mercato, per la vendita di Banca Profilo sono due le strade che si prospettano a Sator. La prima prevede la cessione in blocco ad un unico soggetto. La seconda invece vedrebbe la valorizzazione dei singoli business della banca (private banking, investment banking, tesoreria e finanza e servizi digitali, compreso Tinaba) a singoli soggetti: operazione quest’ultima più complessa perché è necessario trovare un compratore per ogni singolo asset.
In questo processo s’inseriscono la stanchezza e l’irritazione di alcuni quotisti capeggiati da Enasarco. La cassa di previdenza dei commercianti è il sottoscrittore più grande con il 19%, costato 95 milioni. Oggi lamenterebbe, secondo indiscrezioni, una perdita di circa 45 milioni e critica Arpe per un presunto conflitto di interesse per il suo doppio ruolo di quotista e ora di amministratore della banca, nonché per gli intrecci, anche industriali di fornitura, fra Profilo e la sua creatura Tinaba, di cui il banchiere è presidente: il 70% della società digitale di pagamenti è del fondo Sator, il 15% è di Profilo e un altro 15% è personalmente di Arpe. Conflitti di interesse che invece il banchiere considera, al contrario, come un normale allineamento di interessi tra gestore e investitori nel fondo.
Dopo aver arruolato un anno fa un avvocato (Agostino Papa di Dla Piper) per riuscire a fare fronte comune nei confronti dell’ex Capitalia, casse e fondazioni si stanno muovendo ora in ordine sparso. L’Enasarco è il quotista che intende alzare il livello dello scontro, anche per trasmettere al suo interno un segnale di cambio di linea rispetto alle precedenti gestioni dell’ente.
La cassa presieduta da Patrizia De Luise starebbe cercando una strada legale per neutralizzare in qualche modo il potere di veto in mano ad Arpe, che con il suo 18% blocca ogni delibera straordinaria del fondo, dato che lo statuto richiede una maggioranza dell'85% delle quote. Secondo alcuni osservatori, anche attraverso la raccolta delle quote in mano alle altre casse Enasarco punterebbe a far rientrare la banca nell’orbita della sgr di casa, Miria Group, per poi gestirne in autonomia la vendita. Ma questi rumors sono smentiti da fonti vicine all’ente.
Arpe vuole piuttosto afferrare l’ultimo treno del risiko bancario, da cui Profilo è stata finora esclusa con conseguenze pesanti sul titolo, che non ha beneficiato dell’apprezzamento generalizzato del settore. Negli ultimi due anni il Ftse Italia Banks Index è più che raddoppiato mentre le azioni di Banca Profilo sono ai minimi da cinque anni, con una capitalizzazione attuale di appena 112 milioni.
La cessione del controllo dovrebbe portare in dote un premio al venditore Sator Private Equity Fund, permettendo così alle casse previdenziali o alle fondazioni di rientrare dell’investimento. Enasarco aveva investito nel fondo Sator 95 milioni. Gli altri quotisti più grandi, come Fondazione Mps (12%) e Fondazione Roma (10%), avevano invece messo rispettivamente 60 e 50 milioni.
C’è poi un’altra strada che Enasarco e altri quotisti avrebbero considerato: la distribuzione delle azioni della banca direttamente pro-quota ai singoli investitori. Si tratterebbe però, secondo altre visioni, di una way-out che porrebbe due tipi di problemi: regolamentari, per le necessarie autorizzazioni di Banca d’Italia per alcuni soggetti che si ritrovassero con più 10% della banca, nonché di tenuta stessa dell’istituto in un business fatto principalmente di masse e di rapporti di fiducia con una clientela di tipo affluent e imprenditoriale. E per Arpe, tutto questo, finirebbe per svalutare l’intero asset, non consentendo un’adeguata valorizzazione della partecipazione.
Inoltre, la strada della distribuzione in-kind (in natura) delle azioni sarebbe di fatto una dichiarazione di insuccesso della liquidazione. Che un ex enfant prodige della finanza come Matteo Arpe, rientrato dopo tanti anni in prima linea nell’agone bancario, vuole evitare a tutti i costi. (riproduzione riservata). (riproduzione riservata)