Banca di Asti, il ceo Demartini contro la vendita a Unicredit, Banco Bpm o Credem: c’è un’alternativa. Ecco quale
Banca di Asti, il ceo Demartini contro la vendita a Unicredit, Banco Bpm o Credem: c’è un’alternativa. Ecco quale
Demartini replica a Negro, presidente della Fondazione di Asti, primo azionista della banca. Per il ceo i dividendi sono in crescita costante, mentre l’eventuale vendita avrebbe ripercussioni negative sul territorio. Ecco perché l’ad apre le porte a un socio locale

di di Luca Carrello 16/12/2025 20:00

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«Sono stato identificato come l’ultimo ostacolo alla vendita della Cassa di Risparmio di Asti. Ne vado fiero perché io sono un operaio della banca, dove ho iniziato dal basso, come cassiere, 30 anni fa. Oggi la conosco meglio di tutti e so che cosa potrebbe dare ancora al territorio se fosse messa in condizione di sopravvivere». Carlo Demartini, amministratore delegato di CariAsti, risponde indirettamente a Livio Negro, presidente dell’omonima Fondazione che con il 31,8% è il principale socio dell’istituto piemontese.

L’ente deve ridurre la quota per rispettare il protocollo Acri-Mef e tra le possibili soluzioni c’è la vendita a una grande banca. Ma Demartini farà di tutto per fermare la cessione del terzo istituto in Piemonte per filiali e lunedì sera ha detto ai consiglieri comunali di Asti «che battaglierà per mantenere la Cassa di Risparmio sul territorio a beneficio dell’economia locale e del personale».

Idee diverse sui dividendi 

Per l’ad l’aspetto sociale è tra i più importanti visto che la banca ha circa 2 mila dipendenti ed è il primo datore privato della provincia. «L’impatto sulla comunità si misura anche in base al supporto ad aziende e famiglie», spiega Demartini, «non solo sulla quantità dei dividendi». Sulle cedole le visioni sono diverse: per la Fondazione sono ben più basse di quelle incassate dagli altri enti bancari, mentre l’ad di CariAsti ha ricordato «che la remunerazione è cresciuta costantemente negli anni (+30% nel 2024) e lo farà ancora quest’anno».

Un cambio di strategia rispetto al passato, quando il management preferiva portare parte degli utili a patrimonio per irrobustirsi. Il motivo? «Ci sono esempi eclatanti di istituti che hanno distribuito cedole corpose e poi sono finiti in difficoltà o assorbiti», osserva Demartini. CariAsti è diventata invece una delle banche più solide d’Italia con un total capital ratio del 17,3% nel 2024, ben sopra il minimo del 12,7%.

Ora il roe

Il ceo è al lavoro anche per aumentare il return on equity, rimasto l’anno scorso sotto il 5%, distante da quello dei grandi player del settore. Se si allarga l’orizzonte temporale dal 2011 al 2024, però, il roe medio è del 6,5%, sopra il 4,5% del sistema, segno che la cassa piemontese ha saputo reggere alle tante crisi del passato.

«La crescita assoluta dal 2000 a oggi è, per dimensioni, di cinque volte. Non abbiamo mai chiuso un bilancio in perdita neppure negli anni di crisi più diffusa», sottolinea Demartini. «Qualcuno ha scritto che entrare in un grande gruppo aumenterebbe competitività, performance e redditività. Per contro abbiamo casi eclatanti di banche che in questi casi sono sparite come generatori di benessere per la comunità».

Assist dal territorio

Cosa che Negro - pensa il ceo di CariAsti - dovrebbe sapere, dato che «ha riapprovato un anno fa il patto di sindacato dove conviene integralmente sulla strategia di prossimità e di territorio». Ecco perché Demartini auspica una soluzione locale per permettere alla Fondazione (che ha almeno tre anni di tempo) di ridurre la quota senza cederla a Bpm, Credem o Unicredit. «Sarebbe possibile un’altra via: alleggerire la partecipazione della Fondazione facendo entrare un socio locale», è l’appello del ceo (riproduzione riservata)