Azioni, Piazza Affari è piena di sconti. Ecco quali sono e come scovarli, settore per settore
Azioni, Piazza Affari è piena di sconti. Ecco quali sono e come scovarli, settore per settore
A Wall Street più i titoli sono grandi più aumenta il loro p/e atteso, mentre a Piazza Affari i prezzi più compressi si trovano tra le big del listino. Ma più che le dimensioni, a Milano contano i settori

di di Marco Capponi 07/06/2024 19:00

Ftse Mib
34.626,28 17.40.00

+1,59%

Dax 30
20.358,80 23.31.05

+0,63%

Dow Jones
44.765,71 23.27.40

-0,55%

Nasdaq
19.700,26 23.30.00

-0,18%

Euro/Dollaro
1,0590 23.20.51

+0,15%

Spread
108,94 17.30.10

-7,13

Se si dividono le 500 società che compongono l’S&P 500 in 10 parti uguali e si vedono le valutazioni mediane di ognuno di questi spicchi (in gergo statistico i decili) si nota che al crescere della grandezza delle aziende sale anche la loro valutazione, espressa tramite il parametro del rapporto tra prezzo e utili attesi (p/e). Questo esperimento è stato fatto dal Wall Street Journal in un articolo intitolato «Le big tech disconnettono il mercato azionario dalla realtà». La tesi è questa: se in generale si considera il mercato azionario Usa eccessivamente caro, questo è perché non si tiene conto della divergenza tra le valutazioni dei giganti tech (p/e mediano pari a 21) e del resto dell’indice, dove il p/e mediano è 18 e scende addirittura a 15 tra i pesi mosca del listino.

L’Italia si muove al contrario

Ma che succede se si ripete l’esperimento a Piazza Affari? Il grafico in basso mette a confronto i p/e mediani attesi a fine 2024 per le società di Ftse Mib e Star, divise in dieci gruppi in base alla capitalizzazione. Sono stati scelti solo questi due indici per cercare il più possibile di includere aziende grandi (e liquide). La mediana è stata preferita alla media (come nell’esperimento americano) per cercare di escludere i casi limite. Quello che emerge dal calcolo è che tra le grandi quotate milanesi è molto più complesso individuare una relazione evidente come quella dell’S&P 500. Una cosa però salta all’occhio: il campione con un p/e mediano più basso, inferiore a 9, è quello delle società più grandi. L’esatto opposto degli Usa.

Grandi capitalizzazioni ai raggi X

Avvicinando la lente d’ingrandimento a questo gruppo delle big si può vedere come la composizione delle valutazioni sia quanto mai variegata. La prima della classe, Ferrari, tratta a un p/e atteso decisamente elevato, vicino a 50. Per gli analisti la Rossa di Maranello corre un gran premio (metaforico) diverso dalle altre grandi: basti pensare che da anni non viene più considerata un titolo del settore auto, quanto piuttosto del comparto lusso. Mentre l’altro grande costruttore di veicoli, Stellantis, è tra i più economici della lista: tratta a 3,9 volte gli utili attesi, anche meno delle banche (Intesa Sanpaolo 7,7, Unicredit 6,7), delle Generali (9,7) e delle due big di Stato Enel (10,2) ed Eni (6,4). Chiudono la rosa il gigante dei chip Stm (20,2), il big della moda Moncler (25,3) e Tenaris (8,2). Insomma, dietro il dato mediano si celano tanti casi diversi, che rendono la generalizzazione fatta - a ragione - per l’S&P 500 complessa da trasporre al caso italiano. La controprova? La media dei p/e è di 14,8: un dato decisamente più alto (+5,82 punti) rispetto a quello mediano.

Le più care della classe

Dall’altra parte della barricata, il decile più caro è il quarto (partendo dal basso in ordine di grandezza) con un p/e mediano di 18,5. In questo caso però la media è un po’ più vicina: 20,8. Questo sottoinsieme è composto da società dello Star con capitalizzazione compresa tra 300 e 475 milioni, più facili da classificare sotto un cappello simile rispetto alle taglie forti del Ftse Mib. Si tratta in generale di titoli industriali e più in particolare di aziende legate al mondo dell’industria ad alto contenuto tecnologico (Avio, Datalogic, Biesse), dei software aziendali (Seco, Txt e-Solutions) o dei consumi (Fila, Newlat Food). Aziende caratterizzate in generale da fondamentali solidi ma che negli ultimi mesi hanno fatto più fatica sul mercato rispetto alle grandi capitalizzazioni del listino principale.

A caccia di sconti

Il risultato dell’esperimento è evidente: trovare una relazione tra basse valutazioni e dimensioni delle quotate nella borsa milanese non è la strada vincente. Più efficace può essere allora analizzare i titoli in rapporto alla media storica dei loro settori di riferimento, che è stata riportata nella tabella in basso. Un esempio calzante è quello delle auto: il p/e atteso per l’indice di settore alla fine di quest’anno è sotto quota 8, ben inferiore (-43%) al 13,8 medio degli ultimi cinque anni. Stellantis, con il suo p/e atteso di 3,9, è molto più economico della media di settore. Così come è più economica Sogefi (5,8), mentre Pirelli risulta leggermente più cara (10,9). L’indice include peraltro anche Ferrari che però, come già accennato, viene ormai considerata dagli esperti come un titolo a metà tra il settore auto e quello del lusso (che tratta invece a un p/e atteso di 22,2).

Casi particolari: banche, utility, tech

Anche le banche, mattatrici del Ftse Mib nell’ultimo anno e mezzo grazie ai bilanci da record (favoriti dai tassi di interesse alti) trattano a sconto rispetto alla media degli ultimi cinque anni (8,59). Il p/e atteso per il 2024 del settore è di 7,45, ma ci sono istituti come ad esempio Bper (5,28) o Banco Bpm (6,92) che sono ben più economici. Discorso diverso vale per le utility, indicate da gestori e analisti come i veri beneficiari dell’avvio dei tagli da parte della Bce. L’indice di settore tratta a 10,87 volte gli utili, rispetto al 13,39 dell’ultimo quinquennio. Ma anche qui le occasioni non mancano: A2A, ad esempio, è ancor più scontata, con un p/e atteso di 9,57.

Infine, un capitolo sul tech italiano, unico settore in lista a trattare al di sopra rispetto alla sua media storica (19,15), con un p/e atteso di 20,12. Anche in questo caso però c’è chi si muove sotto la media del comparto: ad esempio Sesa (15,64) oppure Wiit (13,6). (riproduzione riservata)