Il 2 aprile il presidente Usa, Donald Trump, ha annunciato il Liberation Day e una lunga lista di dazi di ritorsione contro oltre 180 Paesi nel mondo. Nelle successive due settimane le borse mondiali hanno assistito a ondate violente di vendite come non avveniva dai grandi crack della storia recente: Covid (2020), crisi del debito (2011), crisi finanziaria globale (2008), scoppio della bolla dot.com (2001). Ai selloff sono seguiti momenti di acquisti più o meno convinti.
Nel frattempo, dal 2 al 16 aprile l’indice mondiale ad aver perso di più è stato l'Hang Seng (-9,2%) dopo che l’amministrazione Trump ha preso di mira la Cina, ma neppure all’S&P 500 è andata molto bene: ha ceduto il 7%. E il Nasdaq? Ha lasciato sul terreno il 6,7%. Poi Trump ha rincarato con una misura ad hoc sui chip di AI che ha messo sotto pressione il gigante Nvidia costringendo il ceo Jensen Huang a volare in Cina. Venerdì 17, Trump ha rincarato la dose, questa volta contro Jerome Powell, a capo della Fed, dichiarando che la sua rimozione «non può arrivare abbastanza presto».
Uno degli obiettivi di Trump, «sin dall’inizio», spiega David Pascucci, analista di mercato di Xtb, «é stato quello di portare ad una diminuzione dei tassi, mettendo cosí Powell alle strette». Le condizioni del mercato del lavoro, un dato fondamentale a livello storico, «risultano particolarmente precarie», sottolinea Pascucci. Un peggioramento della situazione coincide con il «taglio dei tassi e con un ribasso importante delle quotazioni dell’azionario, così come avvenuto nel 2000-2002 e nel 2007-2008». Il recente record giornaliero del Nasdaq del 9 aprile (+9,5%, il secondo rialzo piú importante della storia dal 1971) entra di diritto nella lista delle performance dell’indice piú importanti della storia. Osservando proprio la classifica dei rialzi, Pascucci nota come «tutti gli anni in cui abbiamo assistito a queste performance siano stati anni di recessione o di mercato orso (ribassista, ndr) di lungo periodo. Una coincidenza molto particolare che dovrebbe far riflettere sull’andamento generale del mercato azionario, sottoposto a numerosi interrogativi dopo l’elezione di Trump». Al momento siamo una fase in cui il rischio potrebbe «premiare nel brevissimo termine», ma è meglio restare cauti, mette le mani avanti Pascucci.
Ogni giorno, come abbiamo visto, ha la sua novità: Washington coglie i mercati di sorpresa con nuove tariffe, sospensioni momentanee, aggravi con obblighi di licenza, fatto che sta alzando non poco il nervosismo di base dei mercati. Dove vuole arrivare il presidente? C’è un modo per tutelare il portafoglio o trovare nicchie interessanti in cui investire durante le ondate di vendite?
«Nelle due settimane più frenetiche dai tempi del Covid, tra dazi a sorpresa, sospensioni improvvise e minacce di ritorsione, Donald Trump non sta soltanto lanciando una crociata contro il commercio globale. Sta riscrivendo le regole del capitalismo americano», interviene Gabriel Debach, market analyst di eToro. «Il messaggio è chirurgico: riporta la produzione negli Usa o paga», riprende l’analista. Che spiega: le tariffe contro Bangladesh, Vietnam, Cambogia? Non sono dirette a quei governi. Sono un avvertimento alle multinazionali statunitensi che hanno delocalizzato in cerca di margini più alti e manodopera più economica. «Nike, Apple, Dell, Lululemon: non più simboli dell’efficienza globale, ma bersagli mobili nella battaglia per riportare la produzione in patria. Non è più America First. È Made in America, or else».
Un cambio di paradigma che parla più agli azionisti che ai diplomatici, perché, ragiona Debach, il primo colpo lo incassano i margini aziendali, poi i listini di borsa, infine i portafogli dei consumatori.
E’ la classica strategia negoziale di Trump? Sparare alto, seminare il panico, e poi trattare da una posizione di forza? Secondo Debach, non è detto che tutte le tariffe vedano davvero la luce, o soprattutto a tali percentuali (145% per la Cina, Pechino ha risposto che è un livello ridicolo, i commerci sono praticamente morti). Intanto i listini vengono scossi ogni giorno, con una bella pressione al rialzo della volatilità. «Quando i mercati crollano senza discriminare, i gioielli finiscono in saldo. Ciò che prima desideravi, ora riporta valutazioni più economiche», avverte l’esperto. Che spiega: «certo, insieme ai prezzi sono scese anche alcune prospettive, ma spesso queste si aggiungono semplicemente al sentimento negativo generale, più che a deterioramenti reali dei fondamentali aziendali». In un contesto caratterizzato da volatilità elevata e timori sulla crescita globale, alcune azioni presentano opportunità interessanti per chi sa guardare oltre all’ottica di breve periodo.
L’analista ritiene che il settore della Difesa resti strategico, sostenuto da spese militari in aumento e tensioni geopolitiche persistenti: «Leonardo, azienda chiave nella difesa europea, mantiene prospettive solide nonostante le oscillazioni recenti». L'interesse degli investitori conferma questa tesi: secondo i dati eToro, nel primo trimestre le posizioni sul titolo sono aumentate dell’88% tra gli italiani e del 153% a livello globale. Simile situazione per Thales, Bae Systems e Rheinmetall, che hanno visto incrementare le posizioni oltre il 100% globalmente, beneficiando di una domanda strutturale e duratura in un contesto di persistente instabilità geopolitica.
Anche il settore Utilities offre protezione in una fase di incertezza macroeconomica e tassi di interesse in calo. Enel, ad esempio, ricorda Debach, «ha mostrato una relativa tenuta tecnica, nonostante la pressione recente. Gli investitori italiani hanno incrementato le loro posizioni sul titolo del 34% su eToro, confermando anche la fiducia nella stabilità dei dividendi». La recente caduta dei prezzi del greggio ha colpito molto titoli energetici come Eni e TotalEnergies.
«Tuttavia, con i prezzi entrati in territorio di forte ipervenduto, un rimbalzo tecnico potrebbe essere imminente». Infine, conclude Debach, «attenzione al risiko bancario europeo.
Tra tira e molla, approvazioni e attese, il mercato mostra una febbre di integrazioni e fusioni che difficilmente si smorzeranno nel breve termine». In questo caso i titoli coinvolti in operazioni di opa sono Banco Bpm, Mediobanca, Mps, Bper Banca, Unipol e Banca Popolare di Sondrio. Osservate da vicino, le Generali. Chi potrebbe essere coinvolto nel risiko sono anche due gruppi molto attivi negli investimenti, FinecoBank e Banca Generali. (riproduzione riservata)