L’intero Medio Oriente è sull’orlo di un conflitto su vasta scala. In un’escalation senza precedenti, Israele ha lanciato un’operazione militare nel cuore dell’Iran, colpendo obiettivi strategici tra cui impianti nucleari, fabbriche di missili balistici e l'aeroporto di Tabriz. La risposta iraniana non si è fatta attendere: oltre 100 droni sono stati lanciati verso il territorio israeliano, tutti intercettati dalle Forze di difesa (Idf). Nessun coinvolgimento degli Stati Uniti che si chiamano fuori: «Israele ha agito in totale autonomia», ha detto il segretario di Stato, Marco Rubio, ma fonti nel dipartimento di Stato hanno fatto trapelare l’irritazione dell’amministrazione Usa, anche perché l’attacco è arrivato poco prima del nuovo round di colloqui sul nucleare, previsto per domenica 15 giugno in Oman. Teheran non si presenterà, nonostante l’appello di Trump: «fate l’accordo prima che di voi non resti più nulla».
Di fronte a un Iran «pronto a stare in guerra per anni» e con l’Unione Europea che non vede alcuna volontà da parte della Russia di arrivare alla pace in Ucraina, la Nato ha invocato la de-escalation in un momento in cui spinge per portare la spesa militare al 5% del pil. L’Italia? Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha frenato: «impossibile da raggiungere» il 5% preteso da Trump e ha proposto un più «sobrio 4%», che comunque significa 115 miliardi l’anno con incrementi annui dello 0,2% del pil, tradotto: 6-7 miliardi in più ogni anno. Dettaglio non da poco. E Crosetto si è corretto. L’Italia può essere in grado, tra il 2032 e il 2035, di portare al 3,5% del pil la propria spesa militare con un ulteriore 1,5% che verrebbe dedicato agli investimenti non strettamente militari (infrastrutture e cybersicurezza).
Il vertice Nato dell’Aja del 24-25 giugno rappresenta, quindi, un appuntamento cruciale per il futuro dell’Alleanza e delle relazioni transatlantiche. Anche perché, come spiega David H Perry, analista di JP Morgan, i Paesi europei hanno livelli di debito pubblico molto diversi. Alcuni sembrano meglio posizionati per aumentare la spesa per la difesa (Germania, Paesi Bassi e Svezia) rispetto ad altri (Italia, Francia e Regno Unito). Senza contare che gli impegni presi dai singoli Paesi non sono vincolanti: nel 2014 la spesa aggregata della Nato Europa era pari all’1,5% del pil. In quell’anno i membri si impegnarono ad arrivare al 2%, ma tale livello è stato raggiunto (in aggregato) solo nel 2024.
Lo scenario base di Ross Law, analista di Morgan Stanley, prevede che l’Europa spenda il 3% del pil entro il 2030. «Ma ci aspettiamo grandi differenze tra i singoli Paesi: Italia e Spagna probabilmente rimarranno al di sotto del target e le prospettive per Regno Unito e Francia sono incerte. Invece», prosegue Law, «Germania, Paesi nordici e Baltici spenderanno almeno il 3,5% del pil, permettendo così ai membri Nato dell’Ue di raggiungere in media il nostro obiettivo base del 3%. In tale scenario, la nostra analisi suggerisce che il budget europeo destinato agli equipaggiamenti potrebbe aumentare tra il 140% (scenario base) e il 240% (scenario ottimistico) entro il 2030».
Sebbene gli obiettivi ambiziosi dell’Europa rappresentino un cambiamento storico, permangono alcune sfide che possono influenzarne la velocità di attuazione. «Sono tre le problematiche strutturali: lacune nelle capacità operative, vincoli e frammentazione nella capacità produttiva, mancanza di cooperazione transfrontaliera», sottolinea Anna Titareva, economista di Ubs. In primo luogo, anni di sotto-investimenti hanno portato a un grave calo dei volumi delle forze armate nazionali e delle scorte di equipaggiamento. In secondo luogo, il settore è composto da un elevato numero di aziende, principalmente organizzate a livello nazionale, il che limita parecchio la capacità di aumentare la produzione. In terzo luogo, i Paesi tendono a prendere decisioni di approvvigionamento basandosi su interessi nazionali, senza considerare la cooperazione.
Con il settore europeo della difesa volato del 102% dall’inizio del 2025, trainato da una significativa rivalutazione a 23 volte gli utili per azione attesi nel 2027, le aspettative sono elevate in vista del vertice della Nato. Attenzione, però, al rischio di «buy the rumor, sell the news», considerando che l’aumento dell’obiettivo di spesa è ormai scontato, avverte Law. In effetti, questo rally comporta un rischio elevato. «Le valutazioni di molte aziende europee sono su livelli eccezionalmente alti, con alcune che scambiano con p/e superiori a 100», osserva Dmitrii Ponomarev, Product Manager di VanEck. «Prezzi tesi che potrebbero non essere sostenibili, in un settore politicamente sensibile e soggetto a volatilità a causa di negoziati di pace, modifiche normative o cambiamenti delle priorità governative».
In ogni caso, un investimento nel settore rimane solido, anche perché «l'attuale tendenza al rialzo dei bilanci della difesa è destinata a durare più a lungo dei singoli conflitti, creando un ambiente di crescita più duraturo per le aziende del settore». Potrebbe anche ripetersi quanto successo con l’approvazione dell’Infrastructure Investment and Jobs Act nel 2021 negli Usa, che ha stanziato 500 miliardi di dollari in 5 anni. Le aziende infrastrutturali Usa (esposte agli investimenti in trasporti) si sono rivalutate rispetto all’indice S&P 500 prima dell’approvazione dell’IIJA, hanno subito un calo moderato nei 6-9 mesi successivi, ma hanno poi visto una rivalutazione nel 2022-2023 con l’arrivo effettivo dei fondi.
«Uno scenario simile potrebbe verificarsi nel settore europeo della difesa dopo il vertice della Nato. Tuttavia, la portata delle possibili rivalutazioni e il posizionamento favorevole (tra il 40% e il 60% dei fondi non ha ancora un’esposizione) suggeriscono che eventuali correzioni potrebbero essere temporanee», precisa Law. Quindi, in vista del prossimo vertice dell’Alleanza, «non ci sorprenderebbe di vedere il comparto continuare a sovraperformare il mercato, almeno per ancora un mese», concorda Perry, «anche se è cresciuto di oltre il 100% da inizio anno. Tanto che molte delle aziende europee della difesa che copriamo hanno ora prezzi superiori ai nostri target price e potremmo dover rivedere le nostre stime alla luce degli eventi in rapida evoluzione».
In vista tra l’altro del Salone dell’Aeronautica di Parigi dal 16 al 22 giugno, «riteniamo giustificati gli attuali multipli di valutazione. Manteniamo, quindi, un outlook positivo sul settore, in linea con il sentiment del mercato: il 71% dei partecipanti all’ultima conferenza di Morgan Stanley di Venezia ha espresso un’opinione rialzista», continua Law. Nel comparto continua a preferire Bae Systems, grazie alla prosecuzione del buyback e all’ottima esecuzione operativa, che porta a margini e generazione di cassa superiori, lo stesso vale per Leonardo (+8% di ulteriore upside, si veda la tabella), che registra anche una crescita accelerata della divisione elettronica, mentre Rheinmetall (+9%) merita un premio per le prospettive di crescita superiori e le opportunità in Usa.
Inoltre, punta su Airbus per i progressi nell’aumento della produzione, nonostante le continue difficoltà nella supply chain, e su Rolls-Royce per i benefici legati al miglioramento operativo. Perry di JP Morgan ha anche un rating overweight sulle tedesche Hensoldt e Renk, sulla francese Thales e sull’inglese Qinetiq. Quest’ultima, nota Charles J Armitage, analista di Citi, ha ampiamente colmato il divario di valutazione rispetto ai peers, con un cagr del 4% (ad aprile era del 2%), Hensoldt, Renk e Saab sono scambiati a sconto rispetto a Rheinmetall (33-36 volte l’ev/ebit 2025 contro le 39 di Rheinmetall). Bae Systems, Dassault Aviation, QinetiQ, Renk, Saab e Thales sono le sue prime scelte.
Un investitore può scegliere gli Etf tematici. E quelli sulla difesa europea (nella tabella sotto) mantengono saldamente le prime posizioni. Da inizio anno la raccolta è stata pari a quasi 7 miliardi di dollari, suddivisi tra i +4,33 miliardi della difesa globale e i +2,56 miliardi della difesa Ue. L'Etf di VanEck, ad esempio, investe in 29 società della difesa degli Stati membri della Nato e di altri alleati. Le principali partecipazioni includono, tra quelle Ue, Leonardo e Thales. Poco più della metà del portafoglio è allocata in società degli States, seguite da Francia, Italia, Corea del Sud e Svezia.
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