Venerdì 14 novembre le azioni Azimut hanno registrato un recupero in borsa, guadagnando il 3,5%, dopo lo scivolone dei giorni precedenti, pur restando ancora circa il 7% al di sotto dei livelli toccati mercoledì 12. Il mercato ha reagito parzialmente alle rassicurazioni del fondatore Pietro Giuliani, intervenuto per chiarire le mosse del gruppo dopo le severe osservazioni della Banca d’Italia sulla governance e sull’organizzazione della sgr.
Giuliani ha sottolineato che la strategia di remunerazione dei soci non subirà modifiche, confermando sia il dividendo sia il piano di buyback. In particolare, il presidente ha precisato che il riacquisto delle azioni è già iniziato e non richiede ulteriori autorizzazioni. Nei fatti, la società ha acquistato finora 350 mila azioni a un prezzo medio di 31,95 euro e ha lanciato un programma di buyback con cancellazione fino a un massimo di 500 milioni di euro.
Sul fronte del progetto Tnb, la nuova banca digitale che Azimut intende avviare, Giuliani ha confermato la volontà di proseguire, ha indicato come probabile il rilascio dell’autorizzazione entro il secondo trimestre del 2026 altrimenti farà nascere l’istituto in Svizzera. La domanda che molti investitori si pongono è se queste garanzie basteranno a rassicurare i mercati, considerando la portata delle osservazioni della Vigilanza. E poi: che cosa faranno i partner del progetto Fsi e Ion?
Al termine di un’ispezione durata circa tre mesi la Banca d’Italia ha evidenziato rilevanti carenze di governance e organizzative, richiedendo un’azione correttiva tempestiva e incisiva volta a definire un assetto di governo e controllo compatibile con la complessità operativa del gruppo. Al centro delle criticità c’è il ruolo di Giuliani, considerato dominus del gruppo, la cui influenza sulla governance e sulla strategia della sgr – pur non essendo formalmente nel board – potrebbe condizionare il funzionamento della struttura e l’efficacia dei controlli interni.
Per far fronte a queste osservazioni, Azimut ha annunciato alcune contromisure: verrà introdotta la figura del direttore generale, a fianco del ceo Giorgio Medda, e saranno nominati nuovi membri indipendenti nel board della sgr per garantire la separazione dei ruoli. Una delle evidenze emersa dall’ispezione si concentra sulla doppia presenza di ben cinque amministratori nella holding e nella controllata.
Chi sono? Monica Liverani, Fiorenza Dalla Rizza, Marcello Foa, Vittoria Scandroglio e Alessandro Zambotti. Il tema della governance era finito nel mirino anche del mercato in occasione dei rinnovi di aprile. Assogestioni e il proxy advisor Glass Lewis avevano avanzato rilievi sugli assetti di governo. Consigliando di votare contro la lista del socio di maggioranza relativa Timone Fiduciaria e contro la conferma di Giuliani alla presidenza,
il proxy Usa aveva in particolare messo in guardia gli azionisti di minoranza sull’assenza di un comitato nomine e sulla mancanza di indipendenza piena da parte del presidente. Critiche a cui il fondatore aveva risposto piccato al termine dei lavori assembleari a porte chiuse. I gestori poi - che in Azimut hanno l’1,7% - avevano poi presentato una lista di minoranza con profili forti (oltre a una elenco per il collegio sindacale), fra cui l’ex comandante della Guardia di Finanza e vice direttore dell’Aisi (e fino a poche settimane fa presidente di Fintecna) Vincenzo Delle Femmine.
Non c’è solo governance al centro dell’ispezione. Bankitalia ha chiesto di rafforzare anche le funzioni di compliance, risk management e audit. Secondo Azimut l’implementazione di queste misure richiederà poco tempo e non comporterà costi significativi sul conto economico. Con tutto il progetto della banca digitale, Giuliani ritiene comunque di riuscire a rispettare la scadenza di giugno 2026.
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Anche se il mercato resta dubbioso. A maggio il Fondo Strategico Italiano (Fsi) guidato da Maurizio Tamagnini si era impegnato ad acquisire l’80% della nascitura piattaforma digitale, valutata 1,2 miliardi, oltre un quarto del valore di Azimut quotata. La licenza bancaria dovrebbe arrivare dalla Banca di Sconto del gruppo Ibl, mentre l’investimento della Ion di Andrea Pignataro – circa 50 milioni secondo l’offerta non vincolante presentata in estate – non si è ancora concretizzato, lasciando aperta l’incertezza sul closing.
Dopo i rilievi, Bankitalia non ha ancora autorizzato Tnb, lasciando al momento tutto in stand-by. Il comunicato ufficiale precisa che «la situazione aziendale appare inidonea a sostenere la partecipazione della società ad operazioni rilevanti quali quelle previste dal regolamento sulla gestione collettiva del risparmio».
Circa Tnb, il documento aggiunge che «la piena implementazione del piano di rimedio è finalizzata a rimuovere tutte le carenze riscontrate e sarà oggetto di valutazione da parte della Banca d’Italia: l’effettivo superamento di tali criticità non è un presupposto sufficiente per determinare un esito positivo degli eventuali procedimenti connessi al citato progetto».
Riportando il pensiero del management, gli analisti confermano la necessità di risolvere le problematiche identificate dalle autorità. Ma si tratta di condizioni non sufficienti per l’approvazione finale del progetto Tnb e la tempistica indicata nel comunicato del 6 novembre non dipende interamente dal management.
Via Nazionale ha chiesto un nuovo piano industriale 2026-2028 da presentare entro il 30 novembre e il completamento delle misure previste dalla strategia entro aprile 2026. Cosa potrebbe succedere ad Azimut se non si concretizzasse il progetto Tnb? Dal punto di vista finanziario, Banca Akros segnala che, anche ipotizzando un rallentamento o uno stop, il valore standalone dell’asset manager rimarrebbe comunque significativo.
Gli analisti stimano un target price di 38 euro per azione, basato sugli utili attesi per il 2026. Inoltre, secondo la merchant bank di Banco Bpm, il titolo continuerebbe a garantire un dividendo vicino al 10%, grazie ai flussi di cassa previsti a fine anno (circa 900 milioni di euro) e al fatto che la società non è ancora soggetta al framework regolamentare della Banca d’Italia.
In sostanza, secondo gli esperti di Akros anche senza il completamento del progetto Tnb – scenario non considerato base – il titolo resta interessante all’acquisto, con potenziale di rendimento stabile per gli azionisti. il potenziale appeal speculativo legato all’interesse di Unicredit in Nova sgr (la joint venture fra Piazza Gae Aulenti e Azimut) che, in caso di cessazione dell’accordo con Amundi, potrebbe gestire circa 100 miliardi di euro entro fine 2030.
Tuttavia altri operatori restano più cauti. Intesa Sanpaolo, per esempio, ha declassato il rating su Azimut da buy a neutrale, fissando un nuovo target price di 33,6 euro per azione, a perimetro stabile e senza assumere il completamento del progetto Tnb.
In sintesi, Azimut naviga tra segnali rassicuranti da parte del management e preoccupazioni della Vigilanza. La strategia di buyback e dividendi, unita al promesso rafforzamento della governance, ha parzialmente convinto i mercati, ma l’incertezza sull’autorizzazione del progetto Tnb e sulle tempistiche del closing restano il principale elemento di rischio.
Gli investitori dovranno quindi monitorare attentamente i prossimi mesi, in particolare le azioni concrete della società per soddisfare le richieste di Bankitalia e la progressione del progetto della banca digitale, che rappresenta una delle principali leve di crescita futura per Azimut. Di sicuro i severi rilievi di Bankitalia confermano la linea del rigore adottata dalla nuova vigilanza sotto la guida di Fabio Panetta.
L’elenco degli istituti bacchettati o, peggio, sanzionati e commissariati sta diventando sempre più lungo: da Bff a Banca Sistema, da Banca Profilo a Illimity, fino al salvataggio di Progetto. Alla lista, ora, si è aggiunta anche Azimut. (riproduzione riservata)