Fra i primi problemi che Donald Trump dovrà affrontare quando si insedierà alla Casa Bianca, il prossimo 20 gennaio, c’è il superdollaro. La valuta Usa si è rafforzata da fine settembre nei confronti di quasi tutte le altre monete, con l’euro, il renminbi cinese e yen giapponese che hanno perso quota, mentre nel frattempo il rendimento del Treasury ha toccato un massimo del 5%, per poi flettere sotto questa soglia. Ma se un dollaro forte è sintomo del buono stato di salute dell’economia a stelle e strisce, e in questo senso attrae capitali, dall’altro lato rischia di peggiorare il già ingente deficit commerciale.
I mercati, da Wall Street al valutario, hanno già festeggiato la vittoria repubblicana, ma il problema è cosa succederà nelle prossime settimane, quando alle parole seguiranno decisioni concrete, specialmente su un fronte scottante come quello dei dazi. Per adesso si può dire che, sulla base dei commenti del segretario al Tesoro entrante Scott Bessent, il team di Trump continua a propendere per un dollaro forte, con la moneta Usa che mantiene il suo ruolo di valuta di riserva mondiale.
La forza dell’economia Usa
Proprio partendo da queste affermazioni, Karen Reichgott Fishman, strategist di Goldman Sachs, si aspetta che il trend di apprezzamento del dollaro prosegua nel 2025. A suo parere la recente forza del biglietto verde riflette «in gran parte un'economia statunitense resiliente e aspettative politiche mutevoli piuttosto che un premio sui dazi più elevato, il che implica spazio per un ulteriore rafforzamento della moneta Usa quando ci saranno gli annunci ufficiali». Ritiene quindi che cambio euro/dollaro possa scendere alla parità entro tre mesi e indebolirsi fino a 0,97 entro il semestre.
Anche per Claudio Wewel, strategist valutario di J. Safra Sarasin, la valutazione elevata del dollaro appare giustificata. I dati più recenti indicano che il ciclo degli Stati Uniti dimostra una certa resistenza, mentre l'attività economica è più debole nel resto del mondo. Il mercato del lavoro statunitense rimane solido e il sentiment dei consumatori è aumentato negli ultimi mesi. In linea di principio, ciò supporta l'opinione che la Fed «sarà in grado di tagliare i tassi a un ritmo molto graduale. In effetti, le aspettative sui tassi futuri indicano che è improbabile che il dollaro si indebolisca in modo significativo nel breve periodo», dice il money manager.
Guardando al medio termine, alcuni gestori puntano però il dito sui rischi non ancora scontati nella visione attuale dei mercati. Per esempio Jacopo Gerosa, head of Investment Advisory per l’Italia di Vontobel, mette in evidenza, in una prospettiva a 6-12 mesi, diversi fattori che potrebbero favorire un recupero dell’euro. Il principale candidato sarebbe un rallentamento economico negli Stati Uniti, anche se non è una view condivisa dal consensus di mercato. A suo avviso, «una tregua tra Ucraina e Russia potrebbe far ripartire la crescita tedesca e ridurre il rischio geopolitico in Europa, così come nuove politiche fiscali dopo le elezioni in Germania del 23 febbraio potrebbero favorire un’espansione economica e supportare l'euro. Anche gli stimoli cinesi potrebbero favorire gli esportatori dell’Eurozona».
I rischi del superdollaro
Se si guarda all’esperienza del passato, le politiche doganali Usa del 2018 e del 2019 hanno pesato su quelle valute che avevano la maggiore esposizione commerciale agli Stati Uniti, sebbene l’impatto negativo sia diminuito nel tempo. Nei prossimi mesi possiamo aspettarci una reazione simile? «Nel breve è ragionevole attendersi reazioni simili, soprattutto in un contesto in cui le politiche doganali si sommano a incertezze geopolitiche», dice Gerosa.
La vittoria di Donald Trump e il suo programma elettorale hanno già contribuito ad alimentare un rally del dollaro, grazie a proposte che mirano a rafforzare l’economia domestica e la competitività degli Stati Uniti. Politiche commerciali restrittive e una riduzione del disavanzo commerciale potrebbero supportare ulteriormente l’attrattiva della valuta.
Nel medio termine, secondo il gestore di Vontobel, questa strategia non è però priva di rischi: l’aumento del deficit di bilancio e del debito nazionale potrebbe minare la fiducia nel dollaro, mentre la potenziale politicizzazione della Fed potrebbe accentuare l’incertezza sui mercati. Inoltre, i conflitti commerciali, in particolare con la Cina, potrebbero incrementare l’inflazione finendo col penalizzare la valuta americana.
Le incognite dell’Europa
Al momento il mercato prezza molti rischi sull’Europa. Da un lato l’incerto scenario politico in Francia e Germania, dall’altro il conflitto fra Russia e Ucraina, senza dimenticare le vicine questioni mediorientali. «Nel caso in cui si arrivasse a una soluzione su alcuni di questi punti, lo stesso euro potrebbe regalare sorprese. Difficile, però, che ciò accada a stretto giro» dice Stefano Gianti, analista di Swissquote che, guardando ad altre valute, pensa che «la lira turca offra senz’altro opportunità, sebbene debba essere maneggiata con estrema cautela vista la forte volatilità». I tassi della Banca centrale turca sono al 47,50%, mentre l’inflazione, dai massimi della scorsa estate intorno al 75%, è scesa al 44%. Numeri ancora stratosferici, ma che rendono più probabili ulteriori tagli ai tassi da parte della Banca centrale.
I money manager di di AcomeA sgr sono invece ottimisti sulla corona norvegese, grazie a flussi favorevoli e alle politiche della Norges Bank, alle politiche fiscali e a valutazioni convenienti ma i riflettori restano puntati sul superdollaro. (riproduzione riservata)