Da mesi sui piani finanziari delle concessionarie autostradali ancora da aggiornare è calato un curioso silenzio. Soprattutto sul più rognoso, quello di Autostrade per l’Italia, dopo il giudizio della commissione tecnica per la valutazione dei piani d’investimento presieduta da Elisabetta Pellegrini.
Istituita nell’agosto del 2024, la commissione ha pubblicato il suo rapporto il 14 aprile 2025. Otto mesi fa. E per Aspi non è particolarmente lusinghiero, com’è stato già raccontato. Ecco il passaggio chiave: «Poiché risulta, da diversi atti ed eventi registrati, una carenza estesa di manutenzione almeno di oltre un decennio precedente al periodo attuale, ne deriva che le somme imputate per manutenzione straordinaria non possono essere completamente riconosciute come investimenti».
Significa che dei 36 miliardi di euro previsti come «investimenti» da Autostrade per l’Italia entro il 2038, una fetta più che consistente, pari a oltre 11 miliardi, non possono essere riconosciuti come tali e quindi comportare riflessi sulle tariffe.
Cosa fare? Il problema riguarda la direzione generale del ministero delle Infrastrutture guidata da Sergio Moschetti ed è assai spinoso.
Autostrade per l’Italia è infatti rientrata nell’alveo pubblico nel 2022, dopo che la Cassa Depositi e Prestiti l’ha comprata a caro prezzo, insieme a due fondi d’investimento internazionali, dal gruppo facente capo alla famiglia Benetton. Ereditando, come ha concluso la commissione tecnica, una situazione decisamente complessa per tutta la polvere messa sotto il tappeto negli anni successivi alla privatizzazione.
Il che rende ancora più aspro il giudizio sull’operazione con cui il precedente concessionario è stato liquidato a peso d’oro in seguito al disastroso crollo del viadotto Morandi a Genova che ha causato 43 morti. Ma anche più serie le responsabilità del ministero per il ritardo con cui (non) si sta affrontando il sia pur delicato dossier.
Va ricordato che per ogni giorno che passa cresce la montagna delle cosiddette poste figurative, ovvero l’ammontare delle somme che i concessionari reclamano nelle more dell’approvazione dei piani economico-finanziari. Alla fine del 2023 quelle poste avevano già raggiunto, dice il rapporto della commissione tecnica al quale si è già fatto riferimento, 3 miliardi e mezzo. Dei quali ben 2,7 soltanto di competenza di Aspi.
E qui si apre un altro capitolo. Perché una fetta non trascurabile di quei 3,5 miliardi riguarderebbe i ristori pubblici per gli affari andati perduti nel periodo della pandemia di Covid-19. Si tratta di circa un miliardo e mezzo, di cui la parte più consistente, pari a un miliardo tondo, dovrebbe rimpinguare i conti non esattamente malandati di Autostrade per l’Italia.
Nei primi nove mesi di quest’anno la gestione di Aspi ha prodotto già utili per 868 milioni, dopo un miliardo e 27 milioni nel 2024, 878 milioni nel 2023 e un miliardo 130 milioni nel 2022. Da quando Cdp, banca del Tesoro italiano, ne detiene la maggioranza, la principale concessionaria autostradale del Paese ha accumulato profitti dell’ordine di 4 miliardi. Dettaglio che non può non incidere sulla rivendicazione dei ristori per il Covid-19.
Un mese fa l’Autorità dei trasporti ha reso noti i propri pareri su questo punto. Dopo aver premesso che spetta al ministero «valutare il recupero tariffario degli effetti economici scaturenti dalla pandemia», sulla base di una eventuale «norma ad hoc» che però a distanza di anni non è stata ancora sfornata, l’authority pianta un paletto insormontabile. «Il riconoscimento del ristoro», scrive nel parere, «presuppone la necessaria valutazione del concedente (il ministero delle Infrastrutture, ndr) circa la ricorrenza di una significativa incisione dell’equilibrio economico-finanziario della concessione ad opera della pandemia».
Se il danno economico non c’è, allora «occorre prescrivere al concessionario l’espunzione pro tempore del recupero tariffario degli effetti economici della pandemia in attesa di eventuali determinazioni, supportate da norme di rango primario, che ne attestino i presupposti. Il citato recupero potrà avvenire a partire dalla prima annualità utile».
La traduzione è semplice: senza l’accertamento di un danno economico dovuto al Covid-19 i concessionari potranno essere chiamati a restituire gli aumenti tariffari già ottenuti per quel motivo. Nel 2020, primo anno della pandemia, Aspi ha registrato una perdita di 407 milioni, più che recuperata nel secondo anno del Covid-19, il 2021, con un utile di ben 723 milioni. All’epoca Autostrade per l’Italia apparteneva ancora al gruppo Benetton.
Nel 2020 gli fu riconosciuto un incremento tariffario dell’1,75%. «Oneri Covid-19 inclusi», dichiarò in parlamento la ministra delle Infrastrutture del governo Conte due, Paola De Micheli. (riproduzione riservata)