Una svolta è arrivata, ma non è la rivoluzione attesa. Con il pacchetto auto presentato martedì 16 la Commissione Europea ha certificato che gli obiettivi climatici fissati non sono più sostenibili dall’industria senza un aggiustamento pragmatico.
Di fatto il bando delle auto termiche nuove nel 2035 cade, progressivamente svuotato nella sostanza da una serie di flessibilità che cambiano il perimetro industriale della transizione, permettendo la sopravvivenza dell’ibrido assieme all’elettrico. Il risultato però è un compromesso che non soddisfa nessuno fino in fondo, anche se ci sono vincitori e perdenti.
A una prima lettura il pacchetto risponde alle richieste di Berlino: neutralità tecnologica, possibilità di compensare parte delle emissioni con acciaio a basse emissioni prodotto in Europa, apertura a carburanti alternativi (come i biocarburanti sostenuti dall’Italia). Non a caso Volkswagen ha parlato di decisione «pragmatica». Ma dietro le quinte - forse neanche troppo - una parte rilevante dell’industria, anche tedesca, come chi fa vetture premium come Mercedes e Bmw, è rimasta un po’ delusa.
La flessibilità concessa è limitata al 10% (si è scesi dal 100 al 90% di riduzione delle emissioni al 2035) e subordinata a criteri stringenti di tracciabilità dell’acciaio verde, mentre Berlino ha perso su un punto chiave: il metodo di calcolo delle emissioni degli ibridi plug-in resta invariato riducendo il valore industriale di una tecnologia su cui molti costruttori investono come ponte strategico verso l’elettrico puro.
Ma il cuore del pacchetto non è tanto il 2035 quanto il decennio in corso. Bruxelles ha riconosciuto che le vendite di elettriche non stanno crescendo al ritmo necessario e ha consentito ai costruttori di spalmare il target di riduzione del 55% delle emissioni al 2030 su una media triennale, come già accaduto sull’obiettivo 2025, spalmato fino al 2027. È una misura tecnica ma decisiva: riduce il rischio di multe miliardarie e offre ossigeno ai conti, soprattutto nel segmento delle utilitarie, dove l’aumento dei costi normativi ha eroso i margini. In sostanza l’Europa ammette che la transizione non può essere guidata solo dal calendario, ma deve fare i conti con il mercato.
La Francia ha spinto fino all’ultimo per imporre una quota minima obbligatoria di contenuto europeo, nel tentativo di arginare l’offensiva dei produttori cinesi. Bruxelles ha scelto di rinviare, promettendo una «legge di accelerazione industriale» a gennaio. Per ora, il contenuto locale entra solo indirettamente: super-crediti per piccoli veicoli elettrici prodotti nell’Ue, valorizzazione dell’acciaio europeo a basse emissioni e vincoli per le flotte aziendali che ricevono sussidi. È un compromesso che evita uno scontro frontale sul commercio, ma penalizza soprattutto i produttori extra-Ue, in primis quelli cinesi.
La vera (e molto attesa) novità industriale è proprio la creazione della sottocategoria M1E, riservata alle auto elettriche sotto i 4,2 metri prodotte nell’Unione. Per dieci anni questi modelli beneficeranno di un blocco delle normative regolatorie (soprattutto sulla sicurezza, fattore che alza i prezzi delle vetture) e di supercrediti sulle emissioni: ogni auto di questo tipo varrà 1,3 nel calcolo della flotta fino al 2034. L’obiettivo dichiarato è rendere possibili elettriche da 15-20 mila euro e affrontare il nodo dell’accessibilità, una delle cause principali del calo delle immatricolazioni in Europa dal 2019.
Su questo terreno c’è un vincitore chiaro: Renault. Come chiarito dalla Commissione a Milano Finanza, la nuova sottocategoria M1E include anche modelli già in vendita oltre che in fase di sviluppo, e il gruppo francese può beneficiarne ampiamente, concentrando gli investimenti sulla riduzione dei costi industriali: attualmente potrebbero rientrare nella M1E la Twingo, la R5, la R4 e persino la Mégane elettrica. Non la Dacia Spring, prodotta in Cina.
E con Renault possono vincere anche i partner. Nissan potrà beneficiare dei supercrediti con la nuova Micra elettrica sviluppata sulla piattaforma francese, mentre Ford entrerà dal 2028 nel segmento con una piccola auto e un mini-van elettrici co-sviluppati con il gruppo di Boulogne-Billancourt, grazie al recentissimo accordo.
Per la rivale Stellantis, l’altro grande produttore europeo di citycar, il nuovo pacchetto è invece meno una vittoria e ha quasi il sapore della sconfitta. Come evidenzia Autonews, alcuni modelli strategici - come Peugeot 2008, Citroën ë-C3 Aircross e Opel Frontera - superano il limite di lunghezza e restano esclusi dai supercrediti. Altri pagano la produzione fuori dall’Ue: ne è l’esempio principale la Fiat Grande Panda elettrica che viene prodotta in Serbia e quindi non potrebbe rientrare nella categoria M1E a meno di uno spostamento della produzione all’interno dell’Ue.
Rientrano invece la Fiat 500e, la Peugeot e-208 e parte delle ë-C3 prodotte in Spagna e Slovacchia. Il gruppo sperava in una categoria ancora più piccola, sul modello delle kei car giapponesi, magari aperta anche a motorizzazioni termiche leggere: una soluzione che Bruxelles ha scartato, lasciando Stellantis con un portafoglio solo parzialmente valorizzato. Anche Volkswagen finisce tra i penalizzati: l’ID.3 resta fuori per dimensioni, mentre l’offerta di piccole elettriche accessibili è ancora in fase di sviluppo.
Il nuovo corso europeo non segna la fine dell’auto elettrica, ne ridimensiona soltanto tempi e modalità. Premia chi ha un’ampia offerta di compatte, già industrializzata in Europa e pronta al mercato (più Renault di Stellantis) e non aiuta chi punta su modelli più grandi (le case tedesche in generale) o su produzioni extra-Ue. Più che una vera retromarcia, è un atto di realismo industriale, ma che aiuta alcuni più di altri. La transizione quindi continua e forse sarà ancora più selettiva e competitiva anche dentro le stessa Europa. (riproduzione riservata)