Una volta c’era la Borsa fisica, con le corbeille intorno alle quali si riunivano gli agenti di cambio o i loro procuratori per scambiarsi, negoziandole a suon di grida e gesti, le azioni delle società quotate. Poi si è arrivati alla Borsa digitale con transazioni fatte online. Ora in digitale c’è il mercato anche delle criptovalute. Ma mentre delle azioni di ogni società o delle monete dei singoli stati si conosceva e si conosce il numero e la consistenza, il valore e le quantità, che vengono certificati dagli Stati stessi e dai loro organi, per le criptovalute al momento è tutto lasciato alla libertà privata. E, come è facile comprendere, da che mondo è mondo, il privato è un concetto bellissimo ma la certificazione pubblica è sicuramente migliore e fondamentale quando sono in gioco ruoli senza i quali gli stati saranno sempre più deboli. Oggi, delle criptovalute che esistono sui mercati il numero è certificato solo da chi le ha emesse, cioè dai privati.
Ma questo è solo uno degli elementi che rendono pericolose le criptovalute, che in definitiva, fra l’altro, certificano la perdita di uno dei poteri fondamentali di uno Stato, qualunque esso sia, cioè quello di avere l’esclusiva di battere moneta.
E questa, non è l’unica ma è la ragione principale per la quale, in occasione della quinta edizione di Milano Capitali 2025 andata in onda all’inizio della settimana, organizzata da questo giornale e dal canale Class Cnbc, il presidente della Consob, Paolo Savona, il maggior studioso del fenomeno delle criptovalute, ha nuovamente invocato la nascita dell’euro digitale e di un euro elettronico per una concorrenza equilibrata nell’era delle monete digitali. Ma Savona ha anche spiegato da grande monetarista quale è, che cosa va fatto per evitare il duopolio americano di dollaro-criptovalute.
Per secoli sono stati gli stati a battere moneta, la quale poteva e può avere un valore più alto o più basso rispetto alle altre, in base alla forza dell’economia del Paese di emissione, tanto che se un Paese stampa più moneta di quella che la consistenza della sua economia consente, inevitabilmente parte l’inflazione e la caduta del valore relativo di quella moneta scende rispetto alle altre.
In principio assoluto, la moneta tradizionale degli stati rappresenta, anche per i singoli che la ricevono, il valore di quanto è stato prodotto o di quanto serve per pagare un lavoro fatto o per l’acquisto di un bene. Il conto economico e finanziario del Paese che emette quella moneta ne determina il valore e il potere d’acquisto in base allo stato della sua economia. Quanto sta accadendo con il boom delle criptovalute sta minando alla base questo fondamento, che esiste da quando è nato il mondo, mentre le criptovalute private non rappresentano la consistenza o la debolezza dell’economia del Paese dove sono state emesse, ma la fiducia o meno che investitori del mondo attribuiscono a questa che è, a tutti gli effetti, una forma di investimento, come comprare o vendere altri titoli o beni. A differenza delle obbligazioni a reddito fisso o variabile che possono essere state emesse da una società o da un Paese (i titoli del tesoro) e che possono rendere più o meno in base alle cedole, le criptovalute non hanno cedole ma accumulano, crescendo o scendendo, la fiducia o la sfiducia che c’è in esse; provocando la richiesta o la vendita, in base a come vengono manovrate sul mercato.
Vi pare casuale che il presidente Donald Trump sia un operatore in criptovalute anche avendo concesso (i figli) alcuni piani della Trump Tower di New York a una delle principali società di gestione di criptovalute?
La persona che da ex banchiere centrale e ora presidente della Consob, cioè l’organo che deve tutelare i risparmiatori, cioè il professor Paolo Savona, ha reiterato nei giorni scorsi, nell’evento Milano Capitali 2025 di questo giornale, almeno due concetti fondamentali che devono essere tradotti in pratica per tutelare il risparmiatore e più in generale i cittadini. Per combattere gli abusi e le degenerazioni, il professor Savona ha suggerito che «le specializzazioni delle autorità monetarie devono cambiare, le autorità devono avere compiti rigidi e precisi. Il governo europeo ha legittimato l’uso di una cripto particolare che si chiama stablecoin. Ma la stabilità è data dagli strumenti che uno acquista, mentre il vero rischio di questo settore può venire dall’esterno. Una soluzione può essere quella di mettere in piedi un euro digitale unico, sostenuto da uno strumento di sicurezza e stabilità».
Secondo il professor Savona il momento per invocare una nuova Bretton Woods che stabilisca regole sulle criptovalute, è ormai passato, ma non è permesso lasciar passare altro tempo prima che la Ue (e non solo la Ue), affronti il problema.
Ovviamente l’esplosione delle cripto è dovuta alla diffusione prorompente del digitale e le carte di credito digitali hanno fatto da apripista permettendo a soggetti privati di creare criptovalute che non sono tanto uno strumento di pagamento ma appunto una forma di investimento speculativo legato a chi le manovra. È vero che le speculazioni non sono mancate e non mancheranno mai anche sulle monete tradizionali, ma sono state sempre governate perché le autorità degli stati avevano il controllo delle stesse valute e delle loro emissioni. Qui invece a fare il bello e cattivo tempo sono privati creatori di cripto che non hanno nessun dovere, come invece hanno le banche centrali e i governi per le valute di ciascun Paese.
Se si somma a questa situazione l’esplosione della AI destinata ad avere un ruolo anche nelle criptovalute, se gli Stati non si daranno una mossa per mantenere pubblico il controllo anche sulle cripto non solo perderanno il ruolo fondamentale ed esclusivo di battere moneta, considerato che la moneta è sempre stata una delle espressioni più alte del ruolo di ciascun stato, ma saranno le economie degli stati a correre rischi gravissimi.
C’è un grande imprenditore italiano che è stato anche un abilissimo speculatore in Borsa; mi riferisco all’ingegner Carlo De Benedetti, che partendo dalla non grande fabbrica di componenti d’auto che aveva a Torino, all’ingresso dell’autostrada per Milano, prima è diventato presidente degli industriali piemontesi, quindi amministratore delegato della Fiat e quindi ancora, con la Cir (la quale con la precedente proprietà esercitava l’attività conciaria come del resto dice la sigla estesa: Concerie italiane riunite) ha creato una holding con attività in più settori, compresa quella editoriale con la proprietà di La Repubblica e la sua catena di quotidiani locali in tutt’Italia. Bene: la sua finanziaria personale, Romed, ha rivelato il nostro confratello Il Sole 24Ore (a proposito, auguri per i 160 anni), ha finalmente chiuso l’ultimo bilancio in utile grazie anche, se non soprattutto, a investimenti in criptovalute e in metalli.
Non sorprende, perché De Benedetti oltre che un industriale è sempre stato uno speculatore nella finanza, per la quale ha sempre avuto molto fiuto. Ma non vi è, appunto, dubbi che gli investimenti in criptovalute appartengano alla categoria degli investimenti speculativi, per i quali, al momento non esistono, come abbiamo visto, normative adeguate.
E il tenore di questo mercato appare chiaro anche solo mettendo nel sistema di ricerca del cellulare la parola criptovalute: compare immediatamente una serie di offerte come «Investire in cripto», «la app cripto più popolare», «Criptovaluta», più una serie di siti specializzati come Bitcoin, Notizie su XRP e la prima parola Criptopolitan». Insomma, un investimento che tende al popolare, appunto da siti internet.
Ma attenzione: meditate bene le parole del professor Savona non solo per le distorsioni che le cripto valute provocano sul mercato e sui sistemi di pagamento, ma anche per che cosa c’è dietro; e anche se il presidente Trump non fa certo niente (anzi) per non far sapere che è un grande investitore in esse piuttosto che nel dollaro o in attività non speculative, oggi come oggi in quel mercato sono più i rischi che i guadagni: a meno di non essere parte integrante di quel mercato, come può dirsi del presidente Trump.
Mentre è funzionale ai tempi e alle tecnologie che, come suggerisce il professor Savona, la Ue si sbrighi a creare l’euro digitale, quindi con le caratteristiche di poterlo scambiare con maggiore facilità, invece di criptovalute adatte principalmente a far vincere la speculazione e anche a favorire il regolamento di conti (finanziari) anche nel mondo della delinquenza.
Nei due mesi scorsi l’operazione è passata un po’ in secondo piano perché contemporanea a quella di Mps verso Mediobanca, ma proprio mentre questa si sta per chiudere su tutti i fronti meno Generali, la scalata di Bper sull’efficientissima Banca popolare di Sondrio continua la marcia. L’ultimo atto sarà la fusione fra le due ex-popolari. Infatti, mercoledì 5 novembre i cda delle due ex-banche popolari hanno deliberato la fusione per incorporazione della Sondrio in Bper.
Ne uscirà, come dice con legittimo orgoglio l’ad Gianni Franco Papa, una banca con 6 mila miliardi di masse gestite, quindi la terza banca italiana dopo Intesa Sanpaolo e Unicredito. Forse anche la seconda per numero di singoli clienti. Ma non è soltanto la dimensione maggiore che ne consegue. È la qualità dei servizi che si uniscono fra due banche ex popolari. Bper aveva una dimensione superiore in quanto risultante da altre fusioni, mentre Bps ha caratteristiche di particolare efficienza di cui ha voluto dare atto il nuovo presidente Andrea Casini (nominato da Bper), quando ha dichiarato di essere rimasto particolarmente e positivamente sorpreso «dalla solidità e dal coraggio della banca valtellinese, capace di innovare pur rimanendo fedele alla identità locale». Una delle caratteristiche che più lo hanno colpito, ha spiegato, «è la capacità della Popolare di mantenere strutture operative decentralizzate, come gli uffici dedicati all’estero, segno di una cultura che mette le persone e i clienti al centro delle scelte».
Era noto sul mercato che Bps avesse caratteristiche di efficienza spiccate pur, appunto, essendo una banca radicata in primo luogo nel territorio di origine ma con per esempio una filiale romana di dimensioni da grande banca nazionale e anche una presenza estera molto consistente attraverso Banca popolare Sondrio Suisse sa.
A costruire queste caratteristiche, oltre alla natura stessa delle persone della valle (fra i numerosi ex-soci anche l’economista Ezio Vanoni, famoso per la riforma fiscale di decenni fa) sono stati lo storico amministratore delegato e poi presidente, Piero Melazzini, e poi il suo speciale e bravissimo allievo Mario Alberto Pedranzini, nominato giustamente cavaliere del lavoro dal presidente Sergio Mattarella, che ha lasciato non senza rammarico dei suoi allievi, e di tutta la banca, la vallata di Sondrio dopo la scalata della Bper. Pedranzini ha saputo continuare lo sviluppo della banca appunto con la peculiarità di efficienze specifiche che non hanno talvolta paragoni anche in banche molto più grandi.
Dal lato della Bper ha pesato, anche per la scalata, la grande esperienza, anche dimensionale, dell’amministratore delegato Gianni Franco Papa e del presidente Fabio Cerchiai, ex ad di Assicurazioni Generali, dopo esserne entrato come produttore, il livello più basso. Papa ha fatto molte esperienze all’estero, da Singapore a New York, tutta la carriera in Credito Italiano e poi Unicredito fino a diventare prima vice e poi direttore generale. Dal 2024 è amministratore delegato di Bper, portandosi dietro oltre che l’esperienza internazionale anche il senso della gestione di Unicredit, oggi la seconda/prima banca italiana se si guarda dal lato dimensionale o di capitalizzazione.
Ma la fusione con due banche dalle caratteristiche e la storia diversa, tuttavia, ricche di particolari efficienze è potuta avvenire per la strategia perseguita con calma negli anni da parte di Unipol, la compagnia di assicurazioni di Bologna nata dalle coop. E da quando ai vertici della compagnia bolognese, diventata grande anche grazie alla incorporazione di Fondiaria Sai, c’è come presidente Carlo Cimbri, il progetto di integrazione fra assicurazioni e banche è diventato concreto. Con grande calma Cimbri ha preso posizione con quote intorno al 20% sia in Bper che in Bps. Dialogando con i due staff e senza pretendere di comandare ha realizzato il fondamentale obbiettivo di mettere insieme i due mondi, conquistando una forte crescita della rete di Unipol grazie agli sportelli delle due banche.
Alla conclusione dell’integrazione con fusione fra Bper e Bps, Unipol avrà il 18,50% del capitale della nuova banca e quindi una rete di sportelli bancari per anche la distribuzione di prodotti assicurativi di dimensione che la rende solo seconda rispetto a quella di Intesa Sanpaolo. Una strategia misurata nei modi e nei tempi senza prevaricare, com’è nelle caratteristiche di Cimbri. E avere come capo operativo della banca chi ha già gestito strutture della massima dimensione quale Unicredit come ha fatto Papa, e come presidente chi, come Cerchiai, ha una lunga esperienza ai vertici di Generali, è certamente una premessa importante per avere un sistema banca-assicurazione di dimensioni europee. (riproduzione riservata)