Mps-Mediobanca, chi comanda davvero se vince Siena. Il ruolo di Delfin, Caltagirone, Banco Bpm e Tesoro
Mps-Mediobanca, chi comanda davvero se vince Siena. Il ruolo di Delfin, Caltagirone, Banco Bpm e Tesoro
A Mps basta il 35% di Piazzetta Cuccia, ma perderebbe i benefici fiscali. Il vero nodo sarà il giudizio, tra accuse e rilanci, di piccoli e grandi soci. Ecco cosa può succedere

di di Andrea Deugeni, Luca Gualtieri e Fabrizio Massaro 04/07/2025 22:20

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Mps punta quantomeno al controllo di fatto di Mediobanca con una partecipazione tra il 35% e il 50%. Questa soglia minima, decisa dal cda della banca guidata da Luigi Lovaglio e cristallizzata nel prospetto pubblicato venerdì 3, agevola certamente la scalata, dato che Mps può contare sul 30% in mano a Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, che sono anche soci a Siena; ma comporta dei rischi, a partire dal freno alla realizzazione delle sinergie, che verrebbero pienamente attuate solo entro il 2030.

Inoltre, solo se prenderà più del 50% di Mediobanca si potranno sbloccare significative riserve di crediti d’imposta rafforzando il capitale, mentre una soglia più bassa ridurrebbe il Cet1. Insomma, Montepaschi più adesioni ottiene e più capitale crea.

Il paradosso delle azioni

Ma ci sarà un altro effetto paradossale: meno azioni saranno conferite all’ops e più Caltagirone e Delfin si rafforzeranno nella nuova «Piazzetta Siena». Se Lovaglio si fermasse alla soglia minima del 35%, la holding dei Del Vecchio sommerebbe il suo 9,8% in Mps al 19,8% in Mediobanca arrivando post ops al 27,1% di Siena.

A sua volta Caltagirone unirà i due pacchetti di circa il 10% in entrambe le banche, consolidando nelle sue mani una quota del 16,3% in Montepaschi. In questo caso i due grandi soci avrebbero in portafoglio il 43,4% della nuova era di Rocca Salimbeni. Se invece le adesioni salissero al 50%, arriverebbero al 37,4% (23,4% di Delfin più il 14% di Caltagirone). Se infine l’ops fosse un successone, con il 100% delle adesioni, i due imprenditori arriverebbero a controllare il 25,6% (16,1% di Delfin più il 9,5% di Caltagirone) della super-banca, comunque sempre sopra la soglia d’opa.

Probabile, quindi, che entrambi debbano chiedere l’autorizzazione alla Bce a superare la soglia del 10%. Delfin addirittura quella del 20%, e non è detto che non si ritroverà a dover vendere le azioni in eccesso. In più, se dovessero essere autorizzati solo come investitori finanziari, senza ruolo nella governance (come è adesso Delfin in Mediobanca), bisognerà capire chi tirerà le fila dentro Siena. Per evitare un’eccessiva concentrazione, Delfin potrebbe decidere di consegnare solo parte delle azioni. Se per esempio conferisse metà della sua quota, avrebbe lo stesso peso di Caltagirone, cioè il 16,5% (con adesioni minime).

Ci sono però due altri soci forti in Mps: il Tesoro e Banco Bpm. Via XX Settembre, sempre nell’ipotesi di adesioni al 35%, si diluirebbe dall’attuale 11,7% del Montepaschi al 7,2%. Appena sotto si fermerebbe Banco Bpm, che contando anche Anima oggi ha il 9% dell’istituto senese. Sarà il Banco quindi il pivot della nuova Siena, se resisterà all’offerta di Unicredit, con a fianco di fatto il governo?

Che succede al titolo

La presa del controllo, anche solo di fatto, farebbe perdere molto probabilmente a Mediobanca l’appeal speculativo con l’effetto di sgonfiarne il titolo, almeno secondo l’analisi di esperti di mercato coinvolti sul dossier. Per questo motivo chi tra i soci di Mediobanca non vuole essere della partita o non crede al progetto di Lovaglio potrebbe vendere ora sul mercato per accaparrarsi quel premio sull’ops che Mediobanca ancora incorpora: alla vigilia dell’avvio dell’ops si è ridotto al 5% dopo le vendite di Mediolanum, di Gavio e di Acutis. E proprio venerdì 5 anche la famiglia Monge, socio pattista con l’1,1%, ha messo alcune azioni sul mercato.

Governance e conflitti di interesse

Anche in risposta alle accuse di Mediobanca, Mps sgombra però il campo da sospetti di concerto e precisa che «l’offerta è stata strutturata, valutata e approvata da Mps in piena autonomia di giudizio, con il supporto di primari consulenti. L’offerente non ha intrattenuto contatti con i propri azionisti rilevanti (per esempio i soci che detengono una partecipazione superiore al 3% del capitale di Mps) in relazione alla loro adesione o non adesione all’offerta, né vi sono accordi tra la banca e tali azionisti rilevanti concernenti la partecipazione che potrà essere detenuta da Mps in Mediobanca e nelle relative controllate, inclusa Generali, ad esito dell’offerta».

Il chiarimento è una risposta indiretta ai sospetti sollevati da Piazzetta Cuccia in merito al possibile concerto tra azionisti comuni alle due banche e Generali: anche nella compagnia sono presenti Delfin e Caltagirone, rispettivamente con il 10% e il 6,9%.

Controllo di fatto?

La strategia di Lovaglio è ambiziosa, visto che le ultime assemblee di Mediobanca hanno registrato un’affluenza superiore al 75%: per ottenere un controllo effettivo, Mps dovrebbe quindi catalizzare il consenso di una quota significativa degli azionisti presenti o contare su una partecipazione ridotta degli altri soci chiave. Si vedrà alla prima assemblea, quella del 28 ottobre per l’approvazione del bilancio e, molto probilmente, il rinnovo del cda oggi presieduto da Renato Pagliaro e guidato dal ceo Alberto Nagel.

Gli effetti sulle sinergie

Per Siena le sinergie sarebbero comunque realizzabili anche in assenza di un controllo formale, «seppur in un orizzonte temporale più esteso di circa 12-18 mesi», spiega il prospetto. «Almeno il 50% delle sinergie attese» sarà raggiunto «nei tre anni successivi al perfezionamento dell’offerta», puntando alla piena attuazione «nella prima parte del 2030».

Sul fronte dei ricavi, Mps individua aree chiave già pronte a beneficiare dell’operazione, a partire dal credito al consumo, per il quale è già in vigore un accordo di collaborazione tra Compass e Mps che potrà essere potenziato per aumentare l’efficacia su scala nazionale. Forte attenzione anche al Cib, dove si punta ad affiancare la consulenza di Mediobanca e la capacità di finanziamento del gruppo senese.

Cosa succede alle dta

Una soglia più bassa avrà anche un effetto fiscale sulla banca senese. Per effetto delle perdite accumulate in quindici anni, oggi Mps ha 1,3 miliardi di crediti d’imposta (dta) che non può usare. Potrebbe farlo solo se avesse utili più consistenti e quindi una base imponibile più alta. Raggiungere almeno il 50% del capitale di Mediobanca e quindi consolidarla fiscalmente risolverebbe il problema e innalzerebbe a 2,9 miliardi il totale delle dta utilizzabili da Siena: di fatto già al 1 gennaio di ogni anno per i prossimi sei anni maturerà 500 milioni di crediti fiscali.

Se però viceversa Siena non arriverà al 50% e non otterrà quindi il consolidamento fiscale, le dta resteranno inutilizzabili nell’immediato. Potrebbe essere questa una molla per spingere i soci di Mediobanca ad aderire all’ops, se credono nel progetto. O a vendere oggi sfruttando lo sconto magari proprio per ricomprare Mps.

L’impatto sul capitale

Con una soglia di partecipazione più bassa, Mps consoliderebbe meno capitale nel gruppo risultante, mentre gli attivi ponderati per il rischio (rwa) crescerebbero. Questo perché, pur avendo un controllo parziale, dovrebbe fronteggiare l’intera rischiosità degli asset. «I livelli di Cet1 ratio fully loaded consolidati stimati al 31 marzo 2025 per il gruppo risultante a esito dell’offerta in differenti scenari di adesione, tra cui quello con adesione pari al 35% (controllo di fatto)», secondo quanto calcolato nel prospetto, sono pari al «17,8% nel caso di adesione al 100%;16,6% al 66,67%;16,2% al 50%; 15,6% al 35%».

Che cosa succede a personale e sedi

Il prospetto prova a rassicurare sugli effetti occupazionali. Mps «non prevede di apportare unilateralmente modifiche sostanziali ai contratti di lavoro dei dipendenti di Mps, Mediobanca e delle società facenti parte dei relativi gruppi». «Pertanto non si prevede che l’offerta abbia conseguenze negative dirette sul complessivo organico di Mps e di Mediobanca quanto a condizioni di lavoro o di impiego, tenuto conto della complementarietà (e non sovrapposizione) dei business di Mps e Mediobanca». Lo stesso Lovaglio ha spiegato che le potenziali dissinergie dell’operazione «saranno minime».

Per Fitch Mps investment grade. Proprio venerdì 5 Fitch ha promosso Mps a investment grade alzandone il rating a lungo termine da BB+ a BBB- con outlook stabile. L’upgrade riflette «i miglioramenti strutturali» conseguiti dalla banca «nel rilancio del proprio modello di business», spiega l’agenzia Usa, e considera il fatto che se l'acquisizione di Mediobanca dovesse andare in porto «l’impatto sul capitale e i rischi di esecuzione dovrebbero essere gestibili e coerenti con il rating», anche se «una grande acquisizione e le diverse culture aziendali potrebbero portare a rischi di esecuzione più elevati di quanto ci aspettiamo». (riproduzione riservata)