Le azioni che detieni in gran numero di una società prima o poi, se sei paziente, frutteranno, sempre che quella società sia in grado di produrre utili e dividendi. E soprattutto saranno decisive quando vorrai conquistare il controllo di quella azienda, passando all’azione.
È quanto si può dedurre leggendo un passaggio dell’intervista rilasciata da Luigi Lovaglio, ceo di Mps e, per stile, serietà e professionalità un autentico vero signore, rilasciata al Sole 24 Ore. Il capo esecutivo del Monte, per spiegare il motivo di una soglia tanto bassa (il 35%) fissata nel prospetto dell’offerta pubblica di scambio su Mediobanca sottolinea: «La soglia minima ha una natura prettamente tecnica. E il 35% rappresenta un livello che riteniamo ci consentirebbe di esercitare comunque il controllo di fatto».
Lovaglio, e lo ha ribadito sin dall’inizio della ops su Mediobanca, è convinto che le sue condizioni piaceranno al mercato e che la presa di controllo di Piazzetta Cuccia (l’ops scatta il 14 luglio, per coincidenza lo stesso giorno della presa della Bastiglia) avverrà nel rispetto della creatura fondata da Enrico Cuccia e promossa da Raffaele Mattioli, fondatore della Banca Commerciale Italiana. Lovaglio, lucano di ferro, premiato per due volte come «Banchiere dell’anno» da questo giornale, è sicuramente in buona fede.
E pur dovendo fare l’interesse di Mps, che ha risanato, non può non ricordare che quel 35% è molto vicino al 30% che già da tempo Delfin gestita da Francesco Milleri (per il 20%) e Francesco Gaetano Caltagirone (per un altro 10%) detengono del capitale di Mediobanca e su cui il ceo della banca d’affari, Alberto Nagel, ha presentato esposti di vario tipo in Consob sostenendo l’esistenza di un concerto, in modo da spingere la Consob a decretare l’esistenza di tale accordo e a imporre un’opa totalitaria su Piazzetta Cuccia molto prima che partisse l’offerta di scambio. Infatti sia Milleri per Delfin e Caltagirone sono, con accrescimento recente, fra i maggiori azionisti del Monte dei Paschi.
A questo punto parlerà il mercato, come è giusto che sia in un Paese democratico qual è l’Italia. Ma occorrerà anche capire che tipo di approfondimento farà la Procura di Milano, che indaga invece su un presunto concerto per l’Abb (Accelerated book building) effettuata su una quota del Monte dei Paschi di Siena e decisa dal ministero dell’Economia per ottemperare agli accordi con l’Unione Europea di uscita dello Stato da Rocca Salimbeni. I protagonisti, gestiti da Akros, che ha definito il collocamento del 15% di Mps, sono stati infatti sempre Delfin e Caltagirone, con l’aggiunta di Anima e Bpm.
E visto che è difficile parlare di concerto di fronte a un obbligo imposto al governo dalla Ue (e simile come operazione a Commerzbank-Unicredit) l’analisi dei magistrati, sostiene chi è contro l’operazione Monte-Mediobanca, potrebbe concentrarsi su quello che già c’era prima della vendita di una fetta di torta senese, che non è il panforte, ma il capitale di Mediobanca. E questa tesi nasce da parte di chi si chiede: ma se i due maggiori azionisti di Mps (Delfin e Caltagirone) avevano già il 30% di Mediobanca, perché l’operazione non l’hanno fatta tempo fa i due grandi imprenditori e magari per contanti, invece di condividere come azionisti di Mps una scalata per interposta banca?
Tutto ciò, tuttavia, non toglie che Lovaglio sta facendo il suo dovere a favore di Mps, che è la più antica banca del mondo e che la risposta a tutto il resto è in quel 5% da aggiungere al 30 già in possesso del duo Milleri-Caltagirone, che paradossalmente diventa la summa della filosofia di Cuccia che soleva dire: articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto. (riproduzione riservata)