Kering chiama, Luca De Meo risponde: rilanciare Gucci e ridurre il debito
Kering chiama, Luca De Meo risponde: rilanciare Gucci e ridurre il debito
Il gruppo francese è in crisi da tre anni, durante i quali il titolo ha perso il 70%. E per il 2025 l’utile è atteso in calo del 50%. Per de Meo la sfida è difficile: riuscirà il nuovo ceo a ripetere il miracolo Renault? 

di Fabio Pavesi  04/07/2025 20:10

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La sfida per Luca De Meo, nominato da poco ceo di Kering, non sarà facile. Lui però è abituato alle partite difficili. Uomo dell’auto per 30 anni, braccio destro di Marchionne in Fca e poi ad di Renault che ha saputo rinvigorire portandola a una redditività tra le migliori in Europa, avrà ora a che fare con un business completamente diverso. Meno capital intensive, molto meno mass market e molto più focalizzato su allure e valori intangibili legati alla potenza dei marchi.

Ma alla fine, pur essendo il lusso un business agli antipodi rispetto alla sua esperienza, a de Meo sarà chiesto di concentrarsi sui numeri: quelli uguali e fondamentali per ogni azienda di qualsiasi settore, legati alla redditività e alla sostenibilità finanziaria. Due parametri da raddrizzare eccome in Kering, il polo del lusso controllato da Francois-Henry Pinault e proprietario di marchi iconici come Gucci, Saint Lauren e Bottega Veneta, solo per citare i più importanti.

La crisi di Kering

Kering è oggi uno dei grandi malati del lusso europeo. Sta soffrendo ormai da tre anni di una pesante involuzione, con vendite che continuano a calare e debito che si è impennato di colpo e che comincia a pesare sulla struttura finanziaria del gruppo.Una sorta di morsa fatta di ricavi che scendono, marginalità in caduta e alto debito.

Proprio il tema del debito fa di Kering oggi un unicum negativo nel mondo del luxury. Storicamente le aziende del settore sono note per sedere su montagne di liquidità grazie agli elevati cash flow. Kering si è mossa in modo contrario: ha visto il debito finanziario netto passare dai 2,3 miliardi del 2022 ai 10,5 miliardi di fine 2024. Un crescendo figlio di acquisizioni a leva e di investimenti nell’immobiliare.

Che però stanno appesantendo di oneri finanziari le ultime righe dei conti, già in difficoltà per il calo dei ricavi. Di sicuro il manager italiano concentrerà i suoi sforzi nel tentativo di riportare sotto controllo la leva finanziaria, che oggi vede un rapporto debito netto/ebidta di 3,6 rispetto a quota 1 del 2021.

Le soluzioni possibili


I primi passi sono già stati fatti in direzione di un dimagrimento degli investimenti immobiliari. Come ha ricordato nelle settimane scorse Milano Finanza, il gruppo sta vendendo partecipazioni immobiliari. A gennaio ha ceduto per 837 milioni di euro ad Ardian il 60% di un pacchetto che comprende l’Hôtel de Nocé, situato al 26 di place Vendôme a Parigi, e due edifici di prestigio situati su avenue Montaigne, rispettivamente al 35-37 e al 56. E secondo indiscrezioni di stampa starebbe cercando un partner per Montenapoleone 8, rilevato lo scorso anno per la cifra record di 1,3 miliardi da Blackstone, e per una proprietà immobiliare a New York. Kering avrà infatti bisogno di raccogliere liquidità per rilevare la quota rimanente della maison Valentino, di cui ha già acquistato il 30% da Mayhoola for investments nel 2023 con la possibilità di salire al 100% entro il 2028.

Ovviamente la leva va ridotta, ma occorre anche e soprattutto attivare la ripresa delle vendite per contrastare l’emorragia degli ultimi anni. Il calo infatti è proseguito nel primo trimestre 2025, chiuso con una caduta dei ricavi del 14% a 3,88 miliardi dai 4,5 di 12 mesi prima. E le maggiori difficoltà le sta riscontrando il marchio di punta della casa del lusso francese. Gucci ha visto le vendite scendere in 12 mesi del 24%, mentre Saint Lauren ha perso il 9%. In controtendenza solo il marchio Bottega Veneta, che ha visto crescere i ricavi del 4% su base annua.

Il bilancio di Kering

E non c’è né mercato né canale che si salvi dal declino: il retail ha perso il 16% e il wholesale il 9%. Cosi come in calo sono le vendite in tutte le aree del mondo: Europa e Usa -13% e Asia addirittura -25%

Il problema è che la crisi di vendite dura da fine 2022, dopo il rimbalzo post Covid che aveva portato i ricavi globali quell’anno a quota 20,3 miliardi.

Dopodiché il fatturato è iniziato a scendere, arrivando a 17,2 miliardi a fine 2024. E la contrazione delle vendite si è fatta sentire eccome sulla marginalità. L’utile operativo l’anno scorso è crollato a 2,55 miliardi dai 4,74 del 2023 con una contrazione del 46%. Sui ricavi il peso della redditività operativa è passato dal 24 al 14,9%. Un deterioramento forte, dato che strutturalmente Kering vantava un ebit margin tra il 27 e il 29%. Dimezzata quindi la redditività, con in più un debito netto che è costato l’anno scorso 320 milioni di soli interessi, cui si aggiungono quelli sul leasing tanto da far lievitare gli oneri finanziari a quota 600 milioni.

Così il gruppo di proprietà del miliardario Pinault viene staccata dai concorrenti. Tutto il lusso vive una situazione di debolezza e di calo della marginalità oltre che di una disaffezione borsistica, ma Kering scivola in fondo alla classifica della profittabilità. L’ebit margin calcolato da S&P Global Market Intelligence vede Kering sotto il 15%, mentre Lvmh è al 26%, Hermes al 40%, Richemont al 24%, Prada al 23% e Moncler al 29%.

Il dimezzamento della redditività si è visto in borsa, con il titolo Kering che negli ultimi tre anni e mezzo è sceso del 70% sul listino. Una delle peggiori performance a medio termine del settore. E le previsioni sul futuro non sono delle migliori. Il consenso per il secondo trimestre stima per Kering un calo delle vendite del 13%, con Gucci (-24%) a a pesare molto sulla performance di gruppo.

Quanto agli utili, gli analisti di Ubs prevedono per l’intero 2025 un calo dei profitti per azione di Kering del 53%, una delle peggiori contrazioni dell’intero settore. Anche Lvmh è attesa perdere il 21%. Mentre dalla parte opposta continua, secondo gli analisti della banca svizzera, il buon momentum di Prada, accreditata di un +7%.

Come si vede, la profonda crisi di Kering sarà pane per i denti di de Meo, che dovrà studiare una profonda ristrutturazione. Come se fosse l’auto. (riproduzione riservata)