Che aria si respira nella Roma delle istituzioni, a una settimana dall’annuncio dell’inchiesta della Procura di Milano sulla scalata a Mediobanca? A chi lo ha incontrato, Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e delle Finanze, si è detto tranquillissimo per il filone dell’inchiesta che riguarda le modalità di vendita delle azioni Mps di proprietà del ministero nel novembre 2024, che vennero allocate per il 3,5% ciascuno a Delfin e Caltagirone ma per il 9% a Banco Bpm, nel quadro di una strategia votata a costituire il terzo polo bancario poi resa vana dal tentato blitz di Andrea Orcel di Unicredit proprio su Banco Bpm. Da sempre Giorgetti ha sostenuto che in quell’occasione il Mef ha agito con correttezza e le stesse carte dell’inchiesta gli danno ragione.
Meno tranquillo il ministro è per tutt’altra vicenda: la decisione Il ministro è per tutt’altra vicenda: la decisione della Bce di non fornire le garanzie alla Commissione Europea per garantire all’Ucraina un prestito da 140 miliardi di euro. I Paesi membri vorrebbero che fossero i tesori nazionali a fornire il finanziamento. Una tegola che si aggiunge ai fronti di guerra con la Russia sempre più preoccupanti e ai fronti finanziari improvvisamente riaperti nel crocevia privato degli assetti della finanza italiana. Crocevia che non è più Mediobanca ma Delfin, secondo azionista di Generali, primo azionista di Mps (e quindi indirettamente di Mediobanca) e importante azionista di Unicredit.
Delfin, nonostante i numerosi mal di pancia dei suoi soci, gli otto eredi di Leonardo Del Vecchio desiderosi di monetizzare almeno parte dell’enorme ricchezza della holding diversa dalla partecipazione in Essilux, fin qui è stata gestita con mano ferma da Francesco Milleri, indicato da Del Vecchio sia come numero uno di Essilux sia come gestore di Delfin. Ora però l’essere indagato dalla Procura per concerto e ostacolo alla vigilanza di Consob, Bce e Ivass (insieme a Francesco Gaetano Caltagirone) oggettivamente ha messo Milleri in una condizione meno solida di prima.
E per riportare un po’ di concordia, a suon di milioni, tra i litigiosi eredi di Del Vecchio che imputano al manager umbro un eccessivo protagonismo finanziario (come raccontato sul numero di Milano Finanza del 29 novembre) tanto da chiedere più voce in capitolo nelle scelte di investimento del gruppo, sono allo studio, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, anche ipotesi di diversa sistemazione delle partecipazioni fin qui custodite in Delfin.
Ma come? E soprattutto con quali conseguenze sulla contendibilità di Generali e Mps? Sono perplessità che albergano anche a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia, che esprime anche i vertici dell’Ivass, l’istituto di vigilanza delle assicurazioni, e che sono in bella evidenza sulla scrivania del governatore di Bankitalia Fabio Panetta.
Di sicuro, l’effetto positivo per le istituzioni che hanno a cuore la stabilità del sistema, è la circostanza per cui l’inchiesta ha di fatto congelato possibili cambi al vertice del Monte dei Paschi di Siena e della compagnia assicurativa, che qualcuno dava per possibili in tempi stretti, in quanto per farlo Milleri e Caltagirone dovrebbero mettere insieme le loro azioni in cda e poi in assemblea, coordinando un’azione combinata, esattamente quella che gli viene addebitata nell’indagine per concerto su Piazzetta Cuccia.
Vertici a parte, però, sia in Via Nazionale che in Via XX Settembre sono davanti a un bel rompicapo: come evitare che un’eventuale diversa sistemazione dal capitale di un socio di tale peso diventi un rischio sistemico per l’assetto di alcune delle massime espressioni della finanza italiana? Più volte si è raccontato di una possibile sinergia nel campo dell’asset management tra Generali e Banca Intesa, ma i vertici del gruppo bancario hanno fin qui risolutamente smentito, anche se è plausibile che qualche telefonata tra Bankitalia, ministero e il numero uno di Banca Intesa, Carlo Messina, ci sia stata.
Ora però, se dovessero esserci cambi di programma nell’azione della Delfin, il tema del futuro delle Generali potrebbe diventare preponderante. Anche perché si aggiunge a un altro dossier che interessa il Mef e Bankitalia, il futuro assetto di Banca Bpm, nel cui capitale i francesi di Crédit Agricole possono salire al 30% del capitale, una posizione difficilmente scalfibile con il golden power, depotenziato dalla Commissione Europea. Difficile anche in questo caso è trovare una via italiana, come inizialmente aveva provato a fare Giorgetti col polo Banco Bpm-Mps e Anima.
La strada alternativa di un Unicredit bis, la cui ops è stata stoppata proprio dal veto pubblico, non è praticabile. Il titolare di Via XX Settembre, tra l’altro, non avrebbe affatto gradito le dichiarazioni di Orcel di essere stato tagliato fuori dalla vendita via accelerated book building della quota di Mps, dichiarazione che considera più che inconsistenti, per usare un eufemismo. Insomma, quando sembrava che un certo assetto, deprecabile per molti versi, fosse stato raggiunto, ora torna tutto in discussione. (riproduzione riservata)