Per favore, l'ultimo banchiere della vecchia scuola spenga le luci. Lunedì primo dicembre, in una sala da ballo affollata di Times Square, circa 2.000 partecipanti si sono alzati dai loro posti per salutare l'ultimo leone di Wall Street, Marc Rowan, amministratore delegato di Apollo Global Management. L’occasione era la 50ª edizione dell'UJA-Federation Wall Street Dinner, un importante evento di raccolta fondi a New York, che quest'anno ha fruttato circa 57 milioni di dollari e durante il quale Rowan è stato lodato per la sua “leadership visionaria” nel campo della filantropia e degli affari.
Erano presenti decine di finanzieri di spicco, tra cui Lloyd Blankfein, ex ceo di Goldman Sachs Group, insieme a personalità di spicco di JPMorgan Chase, Morgan Stanley e Bank of America, ma la folla era più orientata verso il nuovo lato di Wall Street, tra cui Jon Gray, Chief Operating Officer di Blackstone, Marc Lipschultz, co-amministratore delegato di Blue Owl Capital, e Michael Arougheti, amministratore delegato di Ares Management, nonché gli amministratori delegati degli hedge fund Dan Loeb, di Third Point e Paul Singer, di Elliot Investment Management.
In una certa misura, la cena ha rappresentato un ulteriore passo avanti nel cambio della guardia a Wall Street, dalle banche tradizionali di vecchia data alle nuove istituzioni del mercato privato (l'altra manager premiata quella sera è stata Julie Solomon, co-responsabile del settore immobiliare di Ares). É in atto infatti un continuo spostamento di potere e influenza, ben compreso dalle principali organizzazioni di beneficenza che hanno assecondato questa tendenza, almeno in parte perché, come avrebbe potuto osservare Willie Sutton, è lì che si trovano i soldi.
Per molti decenni, il massimo traguardo a Wall Street era ottenere una posizione di vertice in una delle più grandi banche commerciali o di investimento della nazione: il comitato di gestione di JPMorgan o una partnership presso Goldman Sachs. Era il segno del massimo successo, una chiave di accesso ai vertici della società newyorkese (e oltre) e una strada verso la grande ricchezza.
Questo è rimasto vero anche dopo due enormi cambiamenti nel settore. In primo luogo, le società sono state quotate in borsa, soprattutto negli anni '70 e '80: Bank of America e JPMorgan nel settore commerciale e le banche d'investimento Merrill Lynch, Morgan Stanley e infine Goldman Sachs nel 1999. In secondo luogo, i due settori hanno iniziato a convergere, a partire dalla deregolamentazione dell'amministrazione Reagan e culminando nel tumulto del 2008, quando Lehman Brothers è crollata e altre società sono state acquistate (Bear Stearns da JPMorgan e Merrill Lynch da Bank of America) o costrette a diventare holding bancarie (Goldman e Morgan Stanley).
Allo stesso tempo, alcuni imprenditori stavano creando un universo finanziario parallelo: nel venture capital con società come Greylock, Sequoia Capital e Kleiner Perkins costituite tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70; negli hedge fund, tra cui Bridgewater Associates, Elliot e Tudor Investment; e infine le società di private equity KKR, Blackstone e Carlyle Group, tutte fondate tra la metà degli anni '70 e la metà degli anni '80. Sebbene queste società abbiano iniziato in piccolo, molti dei fondatori, alcuni dei quali ricoprono ancora posizioni di leadership, avevano grandi ambizioni e hanno trasformato le loro società in giganti globali, in grado di competere con le società più tradizionali di Wall Street.
In particolare, il private equity e la sua incarnazione successiva, le società di asset alternativi, molto meno vincolate dalla vigilanza normativa rispetto alle banche, sono diventate perni di quello che oggi si definisce il sistema bancario ombra, come previsto in un documento del 2017 lungimirante e influente, “The Remaking of Wall Street” di Andrew Tuch, professore di diritto alla Washington University. Allora aveva scritto che, sebbene le società di private equity siano essere meno vulnerabili dal punto di vista finanziario rispetto alle ex banche d'investimento, i loro fondi di credito e le loro operazioni di broker-dealer potrebbero «rappresentare un rischio sistemico».
«Le società di private equity sono state in grado di espandersi nel settore dei broker-dealer, del credito e delle assicurazioni semplicemente perché possono farlo. Nessuno le ferma», afferma Arthur E. Wilmarth Jr., professore emerito di diritto alla George Washington University ed esperto di diritto bancario e regolamentazione finanziaria. «Hanno sostituito le vecchie investment bank».
Attenzione, le quattro grandi - JPMorgan Chase, Goldman, Morgan Stanley e Bank of America - sono ancora formidabili, ma in molti casi sono state eclissate, in particolare come macchine di creazione di ricchezza, dai loro colleghi del mercato privato e dalle loro strutture commissionali multigenerazionali creatrici di ricchezza.
Queste grandi fortune non sono accumulate solo dai fondatori delle società del mercato privato - nomi noti come gli amministratori delegati degli hedge fund Ken Griffin e Steve Cohen; Peter Thiel e Marc Andreessen nel venture capital; e Steve Schwarzman e Henry Kravis nel private equity, ma anche da una nuova generazione di dirigenti, molti dei quali hanno accumulato oltre compensi per 500 milioni di dollari o addirittura diversi miliardi.
Per aiutare a quantificare questo cambio della guardia, Barron's ha chiesto alla società di consulenza Equilar di confrontare il totale dei compensi della vecchia guardia di Wall Street con quella della nuova. Equilar ha misurato la quantità di denaro guadagnata dai cosiddetti Neo (named executive officers), ovvero senior manager di una società quotata in borsa come per esempio l’amministratore delegato, il direttore finanziario e altri tre o quattro posizioni, la cui retribuzione deve essere divulgata nei documenti ufficiali) delle quattro grandi banche di Wall Street, nonché di otto società di private equity/asset alternativi (pe/alt) quotate in borsa (Apollo, Ares, Blackstone, Blue Owl, Carlyle, Hamilton Lane , KKR e TPG ).
A differenza di quasi tutti i fondi di venture capital e gli hedge fund, la maggior parte delle grandi società di private equity sono quotate in borsa, il che rende più facile il confronto tra soggetti simili. I dati riflettono la retribuzione accumulata da ciascun dirigente dal 2006 in poi (quando la Securities and Exchange Commission ha modificato le norme di rendicontazione) e il valore delle azioni vendute dal 2003 in poi (quando la SEC ha reso obbligatoria la presentazione elettronica di tali informazioni), oltre al valore delle loro attuali partecipazioni azionarie, che in molti casi hanno registrato un notevole apprezzamento.
Risultato? Il Neo medio del gruppo PE/alt ha ricevuto circa 2,3 miliardi di dollari, mentre il Neo medio delle banche tradizionali ha guadagnato 331 milioni di dollari. Anche escludendo tre fondatori di private equity fortemente remunerati, Steve Schwarzman, ceo e co-fondatore di Blackstone (35 miliardi di dollari), e Henry Kravis e George Roberts, co-fondatori di KKR (entrambi 11 miliardi di dollari), la media dei Neo del private equity ha comunque superato il miliardo di dollari.
Un altro dato interessante emerge dall'analisi della retribuzione totale mediana dei due gruppi, che per i banchieri delle società tradizionali è di 133 milioni di dollari contro i 376 milioni di dollari dei manager del settore PE/alt (o 324 milioni di dollari se si escludono Schwarzman, Kravis e Roberts). Si tratta comunque di un divario notevole. Tra i dirigenti delle banche tradizionali presenti nella lista, solo Jamie Dimon, Ceo di JPMorgan Chase e il più affermato del gruppo, ha guadagnato più di 1 miliardo di dollari.
In cima alla lista dopo Schwarzman, Kravis e Roberts ci sono due nomi sempre più familiari, il Chief operating officer di Blackstone, Jon Gray (e sempre più capo in tutto tranne che nella carica), che ha portato a casa 7,6 miliardi di dollari, e Marc Rowan di Apollo, con 5 miliardi di dollari. Rowan è balzato alle cronache per aver guidato il licenziamento del presidente e del presidente del Consiglio di amministrazione, un banchiere d'investimento della vecchia scuola, della sua alma mater, l'Università della Pennsylvania.
Ci sono alcuni altri miliardari che potrebbero essere meno noti, anche se hanno contribuito a trasformare queste società nelle potenze che sono oggi, come il direttore finanziario di Blackstone, Michael Chae, che in precedenza ha guidato una serie di attività operative e ha guadagnato 1,2 miliardi di dollari. I co-ceo di KKR, Scott Nuttall e Joseph Bae, amici da quando entrarono nella società come analisti junior nel 1996, hanno guadagnato circa 3,7 miliardi di dollari ciascuno.
C'è poi Jim Coulter, presidente esecutivo e socio fondatore di TPG, che ora contribuisce a guidare le pratiche di investimento dell'azienda in materia di impatto e ambiente. Nella lista c’è anche Jon Winkelried, amministratore delegato di TPG, che ha lavorato presso Goldman per oltre trent'anni prima di entrare in TPG dieci anni fa. Michael Rees e Doug Ostrover di Blue Owl hanno guadagnato più di un miliardo ciascuno, così come il duo di Ares, il Ceo Michael Arougheti e Bennett Rosenthal, e Scott Kleinman, co-presidente di Apollo Asset Management, che un tempo lavorava presso la Smith Barney (chi la ricorda?).
I dati di Equilar non misurano il patrimonio netto di questi individui. Non tengono conto, per esempio, dell'investimento di Arougheti nella squadra di baseball della Major League Baltimore Orioles, o dei ranch di Winkelried in Colorado. Equilar non include nemmeno una serie di miliardari di alto profilo nel settore del private equity come David Rubenstein, co-presidente di Carlyle, e Tony Ressler, presidente esecutivo di Ares, che non sono più NEO.
La disparità tra la vecchia e la nuova Wall Street è evidente anche scendendo lungo la catena alimentare dei compensi. La società di intelligence patrimoniale Alrata ha esaminato circa 2.000 americani con un patrimonio netto superiore a 30 milioni di dollari che si identificano come operanti nel settore bancario e finanziario. Il patrimonio netto medio di coloro che provengono da un gruppo di aziende tradizionali (JPMorgan, Bank of America, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Wells Fargo, Citigroup e Bank of New York Mellon) è di 118 milioni di dollari, mentre quello di coloro che dichiarano di lavorare in hedge fund è di 142 milioni di dollari; nel venture capital è di 151 milioni di dollari e nel private equity è di 161 milioni di dollari.
Esistono innumerevoli modi per misurare l'impatto di queste società del mercato privato sui mercati finanziari, a partire dalle società di private equity statunitensi che impiegano 13,3 milioni di lavoratori, che hanno incassato un totale di 1.100 miliardi di dollari in stipendi e benefit. Società come il gigante del credito privato Apollo possiedono centinaia di ospedali negli Stati Uniti. Blackstone e KKR hanno investimenti significativi in data center e possiedono centinaia di migliaia di unità residenziali.
A proposito di immobili, avete letto il recente articolo del Wall Street Journal intitolato Il mercato degli Hamptons sta vivendo una rinascita epica? Beh, indovinate chi sta comprando? «C'è stato un tempo in cui i partner di Goldman Sachs compravano tutto; ora sono quelli del private equity», dice Paul Brennan, uno dei migliori agenti immobiliari della Douglas Elliman negli Hamptons, che quest'anno ha venduto un paio di proprietà da otto cifre.
Considerate anche questi numeri: la capitalizzazione di mercato combinata delle otto società di private equity/alternative asset incluse nello studio Equilar è di circa 492 miliardi di dollari. Il patrimonio totale gestito da queste società è di 46.700 miliardi di dollari. E il mercato del credito privato, dominato dalle società di alternative asset, è ora di oltre 1500 miliardi di dollari. Tutti questi importi rappresentano, in una certa misura, un costo opportunità per le banche tradizionali.
«Le grandi banche continuano a vincere nel business delle fusioni e acquisizioni, nella consulenza finanziaria e nell’intermediazione. In questi settori non hanno davvero concorrenza», afferma John Arnholz, avvocato specializzato in titoli ora in pensione da Morgan Lewis. «Ma basta guardare le notizie: tutte le storie principali riguardano ciò che stanno facendo Blackstone, Apollo e Ares».
Le implicazioni di questo riassetto vanno ben oltre il funzionamento di Wall Street e ora si estendono alla società in generale, che si tratti di politica, sport o intrattenimento. In effetti, l'influenza dei banchieri ombra è probabilmente pari o addirittura superiore a quella dei banchieri tradizionali.
Esistono tre implicazioni del potere di queste società sull’alta formazione e l’istruzione superiore. In primo luogo, i fondi di dotazione delle università, in particolare quelli della Ivy League, hanno investito massicciamente nel private equity, ottenendo buoni risultati, ma ora non più. In secondo luogo, Marc Rowan, venture capitalist come Peter Thiel e gestori di hedge fund come Bill Ackman e Leon Cooperman hanno criticato aspramente queste istituzioni, cercando di imporre cambiamenti nella leadership e nei programmi di studio.
In terzo luogo, i grandi guadagni realizzati nel private equity consentono sempre più a queste società di assumere i migliori e i più brillanti cervelli nei campus universitari. Poi c'è la politica. Un tempo erano così tanti i manager di Goldman Sachs che andavano a lavorare a Washington che la società era soprannominata “Government Sachs”. Ora non più. Jerome Powell ha lavorato presso il Carlyle Group e altre società di private equity prima di diventare presidente della Federal Reserve.
Il segretario al Tesoro Scott Bessent era un gestore di hedge fund, e Stephen Feinberg, co-fondatore di Cerberus Capital Management, è ora vicesegretario alla Difesa. Tra i venture capitalist, David Sachs è il responsabile dell'intelligenza artificiale e delle criptovalute di Trump e, non dimentichiamolo, anche il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, era un venture capitalist. Vance, come qualcuno ricorda, ha lavorato per Thiel, grande amico di Sachs, che è diventato uno dei principali finanziatori del Partito Repubblicano, seguendo le orme di magnati degli hedge fund come George Soros a sinistra e Robert Mercer di Renaissance Capital a destra.
Ai vertici dei singoli stati americani, Glenn Youngkin era co-amministratore delegato di Carlyle prima di diventare governatore della Virginia, mentre David McCormick, ex amministratore delegato dell'hedge fund Bridgewater, è senatore degli Stati Uniti per la Pennsylvania. Le incursioni del private equity nel mondo dello sport, un tempo sporadiche, sono diventate una vera e propria marea, con PitchBook che ha identificato 74 importanti squadre sportive nordamericane, per un valore di 258,4 miliardi di dollari, con collegamenti al private equity.
I dati di PitchBook non includono nemmeno sport come il lacrosse, il bull riding, la Formula Uno, la Minor League Baseball, il flag football, il rugby, la pallavolo, la pallanuoto o persino gli sport giovanili in cui il PE ha investito. Investitori di private equity come RedBird Capital Partners e Ares hanno anche investito o possiedono squadre di calcio di prestigio in Spagna, Inghilterra, Francia e Italia.
I banchieri di Wall Street un tempo erano i perfetti antagonisti nella cultura popolare. Ora sono i dirigenti del private equity a ricoprire il ruolo di cattivi o antieroi in serie televisive come Billions e Succession. In quest’ultima serie un dialogo recitava: «Sai che tutti ti odiano?» chiede Kendall Roy. «Beh, no, non mi sembra», risponde Stewy Hosseini con malizia. «Il private equity», continua Kendall, «ti mette le mani addosso e ti succhia i profitti come un vampiro o una fottuta locusta».
Questo piccolo aneddoto è citato in Derivative Media: How Wall Street Devours Culture di Andrew deWaard, professore di media e cultura popolare all'Università della California, San Diego, che, come potete immaginare (forse insieme all'autore di quel dialogo), non è troppo contento che i ragazzi del private equity siano arrivati nel campus. Il libro di DeWaard contiene una tabella che mostra una ventina di esempi di società come KKR (Skydance di David Ellison), Apollo (Legendary Entertainment) e Blackstone (Hello Sunshine) che hanno investito nel settore cinematografico.
Nel frattempo, tutte le grandi agenzie di talenti, fondamentali per il funzionamento di Hollywood, come la William Morris Endeavor, la Creative Artists Agency (che ora possiede ICM Partners) e la United Talent Agency, sono di proprietà o hanno o hanno avuto grandi quote delle loro attività possedute da PE. Cosa ha attirato il PE a Hollywood? «Forse perché non ci sono molti altri posti in cui investire», dice deWaard. «Il cinema, la televisione e la musica popolare hanno resistito a lungo alla finanziarizzazione, in parte perché si tratta di un settore complesso.
E ci sono persone che guadagnano molto in altri settori e vanno a Hollywood perché è un ottimo modo per spendere i propri soldi e partecipare a feste». (Shhhh. Non ditelo ai limited partner che forniscono i fondi alle società). I manager del private equity che cercano un finale hollywoodiano per i loro investimenti nel settore dell'intrattenimento e per tutto il loro portafoglio dovrebbero però riconoscere che tutta questa creazione di ricchezza arriva in un momento in cui il modello PE/alt viene messo in discussione.
Critici come Wilmarth della George Washington University affermano che l'attuale ritmo delle operazioni non può sostenere il numero di exit dagli investimenti necessario per restituire il capitale ai limited partners, sorta di soci accomandanti. «I fondi di private equity hanno un enorme debito che stanno cercando di estendere e nascondere, con i cosiddetti continuation funds, fondi di continuazione, accordi di pagamento degli interessi in natura e finanziamenti sul valore patrimoniale netto per cercare di restituire un po' di denaro agli investitori», afferma Wilmarth.
«Ora stanno cercando di rivolgersi agli investitori al dettaglio, perché quelli istituzionali stanno dicendo: un momento, ma dove sono tutti i rendimenti che ci erano stati promessi? Avremmo fatto meglio con un fondo indicizzato all’ S&P 500». Charley Ellis, osservatore di lunga data dei mercati e autore di The Partnership: The Story of Goldman Sachs, ha già visto questo film. «I casi sono due: o le banche ombra saranno obbligate ad accettare una maggiore regolamentazione, oppure, prima o poi, una o più di una finirà coinvolta in un pasticcio che sconvolgerà i mercati», ha dichiarato Ellis in una e-mail a Barron's.
«Prima o poi e in un modo o nell'altro, le probabilità aumentano sempre di più, fino a quando continuano a svilupparsi problemi gravi che hanno un impatto sui mercati, più o meno come hanno fatto Lehman e Bear Stearns. I tempi, l'entità e tutti i dettagli non saranno noti in anticipo, ma le probabilità stanno aumentando», afferma. Sembra che sia giunto il momento per Ellis di scrivere un nuovo libro. O almeno alcuni nuovi capitoli di quello di prima. (riproduzione riservata)