Tramonta il sole sulle challenger bank? Da gioiellini di borsa, lanciati sull’onda della spinta tech, le principali realtà del settore sono rimaste scottate dalla stretta della Bce e in qualche caso sono finite nel mirino di Banca d’Italia. Gli ispettori della Vigilanza hanno acceso un faro sul business degli istituti nativi digitali, costringendoli a una serie di rettifiche che nel caso di Illimity hanno portato i conti in rosso.
Nasce così la spinta al consolidamento, motivata anche da logiche industriali. È la fine di un’epoca o un rilancio è ancora possibile? Di certo qualcosa si è inceppato nel modello di business degli istituti digitali, ora in difficoltà dopo una partenza sprint.
«Le challenger bank sono figlie di un’altra epoca, quella dei tassi zero, e nascono per trovare una soluzione alla conseguente compressione dei margini e agli alti costi sostenuti per mantenere le filiali e pagare il personale», spiega Dario Spoto, partner di Kpmg Corporate Finance. «Si è diffuso così un diverso modello di banca, focalizzato sul digitale. Con un duplice vantaggio: capacità di fare funding più ampia, basata su piattaforme tecnologiche, e una maggiore facilità nel raggiungere i clienti, soprattutto quelli che preferivano bypassare la filiale».
Ne è scaturito un nutrito gruppo di banche digitali, fondate da professionisti di lungo corso come nel caso di Illimity di Corrado Passera, di Banca Sistema di Gianluca Garbi e di Cherry Bank di Giovanni Bossi. Oppure controllate da fondi, ad esempio CF+ (Elliott) e Banca Progetto (Oaktree). Tutte loro si sono dotate della licenza bancaria dopo aver comprato delle realtà minori che la possedevano già. In questo modo hanno lanciato la sfida agli istituti tradizionali, occupando spazi di mercato poco presidiati.
Alcune challenger bank sono persino sbarcate in borsa in cerca del capitale necessario per investire in innovazione e accrescere la stazza attraverso acquisizioni. Da qui è iniziata una lunga maratona, condita da una serie di record. Secondo la sesta edizione del Digital Banking Maturity di Deloitte le realtà attive in Italia a fine 2023 erano una ventina e avevano un tasso annuo di crescita composto dei depositi tra il 2019 e il 2023 di circa il 50%: oltre dieci volte il 4% delle banche tradizionali.
Lo scenario si è capovolto in poco tempo. «Diversi business, come la specialized finance, sono finiti sotto pressione dopo alcune modifiche regolamentari che hanno avuto ripercussioni anche sulla dotazione di capitale e sulla possibilità di operare credito», commenta Luigi Mastrangelo, senior partner di Deloitte e financial services industry leader. «In concomitanza è sorto il tema della liquidità. Molte challenger bank non hanno una raccolta diretta e sono rimaste esposte alla stretta della Bce. A ogni rialzo dei tassi è cresciuto di pari passo il costo della raccolta, con evidenti ricadute sul conto economico».
Smart Bank è una delle principali vittime del giro di vite di Francoforte ed è finita in amministrazione straordinaria a dicembre 2023. L’ex Banca del Sud non ha saputo gestire il rischio tassi perché per fare provvista ha iniziato a offrire l’8% su depositi a cinque/sette anni su canali internazionali. L’operazione si è rivelata insostenibile per l’assenza di strumenti con rendimenti più alti su cui reinvestire.
C’è invece la crisi degli npl dietro le difficoltà di Illimity. Dopo che i principali istituti di credito hanno ripulito i bilanci liberandosi di incagli e sofferenze, l’istituto di Passera ha deciso di abbandonare il business per puntare forte sui prestiti alle pmi. Nel frattempo è finita oggetto di un’opas lanciata da Banca Ifis e qualche mese dopo ha dovuto riscrivere il bilancio 2024 per svalutare la cartolarizzazione di un credito per un problema legale.
Ne è seguita una rettifica da 53,5 milioni, che avrebbe potuto giustificare un aumento di capitale. Una situazione che potrebbe aver convinto i soci a consegnare le azioni all’istituto di Mestre, in qualche caso ben prima che la banca guidata da Frederik Geertman annunciasse il rilancio il 25 giugno.
Pochi giorni dopo anche CF+ è entrata a gamba tesa nel risiko con un’opas su Banca Sistema che ha registrato subito l’adesione dello stesso Garbi, fondatore e primo azionista al 24%. Anche la challenger bank specializzata nel factoring e nella cessione del quinto aveva riscritto il bilancio a fine dicembre. La colpa è della stretta europea sulla nuova definizione di default, che costringe a riclassificare in scaduti anche i crediti in bonis verso la Pa con una dilazione nei pagamenti superiore a 90 giorni. Questo nonostante lo Stato sia considerato da tutti un pagatore sicuro.
La stessa sorte è toccata a Bff Bank, penalizzata in borsa nel maggio 2024 dopo l’intervento di Palazzo Koch. Banca Progetto merita invece una menzione a parte. La challenger bank del fondo Oaktree è stata commissariata da Banca d’Italia dopo l’indagine del Tribunale di Milano su alcuni prestiti con garanzia statale, concessi a società considerate dalla magistratura vicine alla ‘ndrangheta.
Anche per Banca Progetto si prospetta una ricapitalizzazione da parte di Oaktree in cordata con il fondo Jc Flowers. Oppure uno spezzatino con la bad bank affidata a Mcc e i crediti più semplici da riscuotere contesi da Bff e AideXa. A differenza degli altri la challenger bank fondata dall’ex dg di Unicredit, Roberto Nicastro, ha deciso di concentrarsi su un solo business, i prestiti alle pmi.
Anche in questo caso la crescita passa dal m&a, stessa strada che potrebbe seguire Cherry Bank. Il ceo Bossi ha già messo le mani sul Banco delle Tre Venezie e sulla Popolare Valconca. Ora è pronto a cogliere nuove opportunità anche a costo di ridurre la sua quota.
Il consolidamento permetterà agli istituti nativi digitali di unire le forze per creare operatori più efficienti e redditizi, con un patrimonio più solido. All’orizzonte si prospetta anche un cambio del modello di business.
«Prevedo un’evoluzione dal mercato di massa al mondo affluent. Le challenger bank si sposteranno verso una clientela ad alto potenziale di spesa, che comprenderà il mondo degli imprenditori wealth», spiega Mastrangelo. «Per chi la seguirà, la via della diversificazione resta un’opzione valida perché garantisce equilibrio e stabilizza il costo della raccolta. Oltre al lancio di nuovi prodotti, il mercato vede un’ulteriore possibile spinta verso il consolidamento che favorisce sinergie di costo». (riproduzione riservata)