Nessuno la chiamerà apertamente «miniera d’oro immobiliare», come ha fatto il ministro ultranazionalista israeliano Bezalel Smotrich. Ma la ricostruzione di Gaza, corollario agli accordi di pace tra Israele e Hamas, con i suoi miliardi di dollari di lavori e quasi 200 mila edifici da rifare, si annuncia esattamente così: il più grande cantiere del Medio Oriente. Sarebbero bastate già le cifre dell’Irdna (Interim Rapid Damage and Needs Assessment), la valutazione congiunta di Onu-Ue-Banca Mondiale, che a febbraio stimava il costo per rimettere in piedi la Striscia in 53,2 miliardi di dollari spalmati su dieci anni, di cui 20 miliardi nei primi tre.
Ma il conto è inevitabilmente salito sotto i colpi dei bombardamenti e dei tank israeliani: le stime aggiornate della Banca Mondiale indicano ora ben 80 miliardi di dollari, una cifra pari a quattro volte il pil combinato di Cisgiordania e Striscia di Gaza nel 2022.
Per dare un’ordine di grandezza, il piano per Gaza con i costi aggiornati vale circa un sesto di quello ucraino (524 miliardi di dollari), ma la concentrazione di spesa è senza precedenti se la si applica a un territorio di appena 365 chilometri quadrati e poco più di due milioni di persone. Vale a dire che si spenderanno circa 40mila dollari per ogni abitante.
Per la conta dettagliata dei danni materiali tra abitazioni rase al suolo, reti idriche ed elettriche inservibili, scuole e ospedali distrutti, bisogna fermarsi alle stime Irdna di febbraio 2025, che calcolavano circa 30 miliardi. Ma uno studio radar satellitare di giugno 2025 (Active InSar Monitoring of Building Damage in Gaza,) ha portato a 191mila edifici danneggiati o ridotti in briciole, circa tre quinti del patrimonio urbano della Striscia. Le macerie stimate superano i 40 milioni di tonnellate e la loro rimozione potrebbe richiedere più di dieci anni. Proseguendo nella contabilità post-guerra, secondo l’Oms, serviranno oltre 7 miliardi per rimettere in piedi i servizi sanitari.
Già a inizio marzo la Lega Araba aveva abbozzato il Gaza Reconstruction Plan, finanziato da Qatar, Emirati, Arabia Saudita ed Egitto, sotto il coordinamento della World Bank e delle Nazioni Unite. Il cessate il fuoco annunciato il 10 ottobre 2025, segna l’avvio della fase operativa: la World Bank e l’Undp, il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, stanno predisponendo i primi early recovery contracts dando la priorità alla rimozione delle macerie e la ricostruzione di infrastrutture idriche e sanitarie.
La Bei e la Commissione europea lavorano a una sorta Gaza Reconstruction Facility sul modello ucraino e a fine settembre 2025 hanno annunciato la firma con l’Autorità monetaria palestinese di una linea di credito da 400 milioni di euro per sostenere la ripresa economica e la resilienza del settore privato in Palestina. Il documento Irdna prevede una filiera integrata di imprese locali e internazionali, dalle demolizioni al project management. Le agenzie multilaterali puntano a combinare operatori palestinesi e contractor Mena per i lavori di base, con società europee e asiatiche nei ruoli di supervisione, utilities e ingegneria ambientale. Ma la corsa è già iniziata. I settori a maggiore impatto sono housing, con domanda immediata di prefabbricati, acqua ed energia, desalinizzazione e micro-reti elettriche: un mercato di opere a bassa complessità ma cosiddette ad alta ripetitività, dove contano competenze ma anche rapidità.
I gruppi dell’area Mena, che comprende il Medio Oriente e il Nord Africa, si stanno posizionando per i futuri bandi multilaterali: le egiziane Orascom Construction e Arab Contractors, la libanese-qatariota Consolidated Contractors Company, l’Organi Group, le turche Limak Holding e Tekfen, insieme al colosso immobiliare Talaat Moustafa Group, figurano già nei dossier preliminari della Lega Araba. La regia della Casa Bianca negli accordi di pace garantisce un ruolo alle aziende Usa. Bechtel, Aecom e Fluor sono pronte per i primi progetti infrastrutturali, come reti idriche e sanitarie. Caterpillar, fornitore globale di macchinari pesanti, potrebbe essere coinvolta nella logistica e nella rimozione delle macerie. Si scalda anche il Regno Unito, sotto i riflettori per il ruolo dell’ex premier Tony Blair come possibile governatore super partes della Striscia. i gruppi di ingegneria Arup e Mott MacDonald figurano tra i possibili advisor tecnici, forti di precedenti collaborazioni con la Banca Mondiale in Libano e Giordania. Alcuni analisti indicano anche Balfour Beatty come possibile partner per opere infrastrutturali finanziate dai fondi arabi e multilaterali.
Tra i big italiani e dell’eurozona, basta il colpo d’occhio su come i titoli hanno reagito in borsa alla notizia degli accordi di pace per capire chi il mercato considera tra i potenziali co-protagonisti della ricostruzione.
A piazza Affari, per esempio, si è messo subito in luce il comparto costruzioni e materiali, con Cementir, Buzzi e Webuild tra i titoli più esposti in Italia. In particolare, secondo Banca Akros, Cementir «potrebbe beneficiare della fine dei conflitti in Ucraina, Siria e nella Striscia di Gaza» grazie alla forte presenza in Turchia che la colloca nella posizione ideale per servire i cantieri dell’area. «L’Italia è pronta a contribuire alla stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo di Gaza», ha messo in chiaro la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Allargando la ricognizione post-bellica ai listini europei, una spinta è arrivata anche a Saint-Gobain, Vicat, Holcim, Heidelberg Materials, Vinci e Bouygues.
Ma c’è anche una partita parallela che si riapre col cessate il fuoco: la corsa ai giacimenti offshore, che vede già in campo i principali gruppi dell’ oil & gas. Israele, infatti, vuole accelerare l’espansione dei giacimenti Tamar e Leviathan, operati da Chevron e NewMed Energy, con l’obiettivo di aumentare la capacità esportabile verso l’Egitto.Il primo. Tamar Expansion Project, mira a 1,6 miliardi di piedi cubi al giorno, con avvio tra fine 2025 e inizio 2026. Leviathan Phase 1B, invece, porterà la produzione da 1,2 a 1,4 miliardi di piedi cubi entro il 2030, dopo la decisione finale d’investimento. Nell’ultmo Offshore Licensing Round, poche settimane dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele aveva assegnato la Zona G a Eni (operatore) con Dana Petroleum e Ratio Energies, la Zona I a Bp, Socar e NewMed Energy. L’intensificarsi della guerra ha congelato le operazioni, ma ora si può pensare di ripartire. (riproduzione riservata)