Un pallone sostenibile?
Un pallone sostenibile?
I numeri del professionismo in Italia sono in costante crescita L’ultimo report Figc mostra ricavi per 3,8 miliardi e un contributo fiscale di oltre 1 miliardo. Ma il sistema perde più di quel che guadagna

di Nicola Carosielli 08/08/2020 02:00

Ftse Mib
33.934,82 17.16.33

-0,98%

Dax 30
17.918,03 17.15.28

-0,94%

Dow Jones
37.833,83 17.22.15

-1,63%

Nasdaq
15.450,83 17.15.48

-1,67%

Euro/Dollaro
1,0714 17.01.29

+0,26%

Spread
139,26 17.29.51

-1,42

Tra le due facce della medaglia, il presidente della Figc, Gabriele Gravina, ha scelto di specchiarsi in quella dei ricavi. Commentando i numeri del Report Calcio 2020 pubblicato dalla Figc, con il supporto di Pwc e Ariel, Gravina ha sottolineato quanto il pallone «continui a rappresentare il principale sport italiano, nonché un fondamentale strumento per accompagnare lo sviluppo sostenibile del Paese» e ribadendo l’importanza di «coniugare risultati sportivi, sostenibilità a livello economicofinanziario e impatto sociale». In effetti le cifre emerse dal report, arrivato alla decima edizione, mostrano un movimento con oltre 32 milioni di tifosi, 1,4 milioni di tesserati e 3,8 miliardi di euro di ricavi raggiunti dal professionismo (di cui 3,38 solo la Serie A), con una contribuzione fiscale e previdenziale superiore al miliardo di euro. Insomma un impatto economico di 3,1 miliardi, per un’incidenza sul Pil nazionale arrivata allo 0,22%, dallo 0,16% del 2014.
Guardando, però, da vicino i numeri della performance economica nel 2018-2019, il calcio professionistico ha registrato il peggior risultato netto dalla stagione 2014-2015, con un passivo di 395 milioni di euro. Praticamente un peggioramento dell’83,9%. Non è andata meglio alla gestione operativa dei club, considerando la contrazione dell’ebitda di quasi il 9% su base annua a 712 milioni di euro. Il motivo? Il costo del lavoro (salito del 14,6%), quindi degli stipendi che da soli incidono per il 50% sul complessivo, così come sono aumentati ammortamenti e svalutazioni (+20,3%). In totale, l’incidenza di queste voci è del 70% sul totale dei costi di produzione. Ad aumentare sono state anche le voci relative ai costi per servizi (+7,6%), andando a pesare per un altro 14% sul totale costi. Come se se non bastasse, è peggiorato ulteriormente l’indebitamento complessivo del calcio professionistico, che nel 2018-2019 ha superato la soglia di 4,6 miliardi (+9,3%), quasi tutti riconducibili alla Serie A. Insomma i costi del calcio professionistico continuano ad aumentare in misura superiore ai ricavi.
Questo nonostante le entrate in crescita e l’impegno dei club nel diversificare sempre più le fonti di fatturato. I ricavi da diritti Tv e radio, infatti, nonostante costituiscano ancora la fonte principale (il 40% del fatturato complessivo) sono rimasti sostanzialmente invariati. A seguire vengono le plusvalenze, che coprono circa il 21%, mentre è aumentato al 19% il peso dei ricavi da sponsor e attività commerciali. Stabili invece le entrate da ingresso in stadio (9%).
Questo, ovviamente, non toglie nulla all’importante contributo che il mondo del calcio professionistico fornisce in termini di contribuzione fiscale e previdenziale. Soprattutto considerando che nel 2017 questa ha raggiunto quasi 1,3 miliardi di euro, in crescita del 7,4% sul 2016 e addirittura del 47% sul 2006. Una spinta arriva in particolare dai 623,3 milioni dell’Irpef (49%), seguita dall’Iva (254,6 milioni), dalle scommesse (192 milioni, il 15%), dalla contribuzione previdenziale Inps per 137 milioni (11%) e dall’Irap (47,3 milioni).
Il contributo, insomma, è evidente, così come l’impegno del movimento. Ma la strada da fare per una sana fusione di sport e sostenibilità finanziaria appare ancora molto lunga e in salita. (riproduzione riservata)