Mentre si dice che si potrebbe non solo vedere il primo aumento dei tassi di interesse da parte della Fed a marzo, ma che sarà di 50 punti base, il più grande in oltre 20 anni, e il rendimento del Treasury a 10 anni sale all'1,89%, Patrick Zweifel, Chief Economist di Pictet Asset Management, ha analizzato quali Paesi emergenti sono più vulnerabili agli aumenti dei tassi di interesse statunitensi e quali dovrebbero, invece, dimostrarsi più resilienti.
"Quando l'America starnutisce, il mondo prende il raffreddore. E quando la più grande economia al mondo rialza i tassi di interesse, la gente, le imprese e i governi di tutto il pianeta ne subiscono gli effetti sui propri costi di finanziamento. Ciò è particolarmente vero nei mercati emergenti, dove una quota significativa di prestiti è espressa in dollari americani", ha spiegato Zweifel.
Considerando che la Federal Reserve statunitense prevede tre rialzi dei tassi di interesse quest'anno (Goldman Sachs e JP Morgan ne prevedono quattro nel 2022) e altri rialzi nel 2023, chi investe nei mercati emergenti potrebbe avere validi motivi per sentirsi un po' nervoso. Tuttavia, l'analisi di di Pictet Asset Management indica che sarebbe sbagliato fare di tutta l'erba un fascio: la vulnerabilità alla stretta monetaria della Fed varia ampiamente tra le diverse economie in via di sviluppo.
Per analizzare le differenze, il modello di di Pictet Asset Management prende in esame 13 fattori di rischio, tra cui diverse misure del debito pubblico e privato, i saldi delle partite correnti, la forza delle riserve valutarie e i differenziali dei tassi di interesse rispetto agli Stati Uniti (si veda la fugura). Le 25 economie dei mercati emergenti nel modello vengono, quindi, classificate partendo dalla migliore (1) fino alla peggiore (25) per ciascun indicatore.
"I punteggi aggregati indicano che Colombia, Ungheria, Cile e Romania saranno probabilmente i Paesi più vulnerabili ai rialzi dei tassi statunitensi. Tutti e quattro hanno elevate esigenze di finanziarsi esternamente, spesso in valuta forte", ha spiegato Zweifel. "All'estremo opposto della scala, Taiwan, Russia, India, Cina e Corea saranno probabilmente i più resilienti. Generalmente dispongono di sufficienti riserve valutarie, il che significa che possono intervenire per sostenere le loro valute contro il dollaro, se necessario, e hanno bassi livelli di debito estero".
Per esempio, nella griglia Taiwan ha il miglior punteggio in relazione alle partite correnti con un surplus pari al 14,4% del pil, mentre la Colombia si colloca all'ultimo posto con un deficit del 5,1%, dipendendo dal capitale estero per colmare il divario tra la spesa interna e gli investimenti interni. Essendo tale dato associato a livelli elevati di attività estere nette e di debito estero e a un fragile saldo di bilancio fiscale, i rischi aumentano.
"La storia suggerisce che l'impatto negativo dei rialzi dei tassi statunitensi sui mercati emergenti è accentuato in periodi di rallentamento della crescita economica, lo scenario più probabile per quest'anno", ha avvertito Zweifel che nel 2022 ha previsto una ripresa della crescita dal picco negativo raggiunto nel terzo trimestre dello scorso anno "e questo potrebbe, quindi, offrire un cuscinetto contro la risalita dei tassi Usa. A lungo termine, gli squilibri dovrebbero correggersi, come abbiamo visto con il taper tantrum del 2013".
Le valute dei Paesi emergenti più colpiti "si indeboliranno, rendendo le loro esportazioni più competitive e, nel tempo, stimolando la crescita", ha aggiunto il Chief Economist di Pictet Asset Management. Nel complesso, "la nostra analisi evidenzia che l'universo dei mercati emergenti non è omogeneo. Se si vuole investire all'interno di questo gruppo di Paesi, è fondamentale ricorrere a un'analisi approfondita e a un'allocazione attiva per individuare le migliori opportunità di investimento ed evitare i rischi maggiori, compresi quelli legati alla stretta monetaria della Fed". (riproduzione riservata)