La tempesta perfetta
La tempesta perfetta
Per azioni e bond si chiude la metà d'anno peggiore dell'ultimo mezzo secolo. Anche il bitcoin ne esce alquanto ridimensionato. Tre i cigni neri: la guerra, l'inflazione e i tassi. Le scommesse vincenti? Lo spread, la volatilità e le materie prime

di Elena Dal Maso e Francesca Gerosa 25/06/2022 00:14

Ftse Mib
33.922,16 7.59.45

+0,12%

Dax 30
17.737,36 23.50.49

-0,56%

Dow Jones
37.986,40 10.50.32

+0,56%

Nasdaq
15.281,86 23.50.49

-2,05%

Euro/Dollaro
1,0657 23.00.33

-0,01%

Spread
143,06 17.30.12

+0,44

Un semestre durissimo che ha colpito in maniera mirata azioni, obbligazioni e criptovalute con asset più che dimezzati. Sono tre i cigni neri che stazionano sui mercati: l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, la strozzatura delle catene di approvvigionamento con i continui lockdown in Cina e la corsa al rialzo dei tassi delle banche centrali nel tentativo di raffreddare un'inflazione che tende al 9% in Usa e Ue. Combinati assieme, i tre fattori costituiscono un mix esplosivo per i listini e l'economia, al punto che ora per prezzare appieno la recessione attesa gli investitori si interrogano su quanto possano ancora flettere i listini.

I mercati hanno perso fino al 36,5%. Tralasciando il rimbalzo di venerdì 24 giugno, da gennaio alla chiusura di giovedì 23 il Ftse Mib ha perso il 21%, il Dax in Germania il 18,7%, negli Usa l'S&P 500 ha lasciato sul terreno il 20,3%, il Nasdaq il 29%, il Moex in Russia il 36,5%. È andata meglio per l'Ibex 35 spagnolo (-7%). In Asia, il Nikkei è negativo per il 9,1% e Shanghai per il 12%.

Sul fronte delle obbligazioni, il rendimento del Btp decennale è quasi triplicato (quindi il prezzo è crollato) dall'1,19% al 3,44%, il Bund tedesco a sua volta è passato dal -0,12% all'1,47%, il Treasury americano è a sua volta raddoppiato dall'1,63% al 3,11%. Lo spread, ovvero il differenziale fra il titolo italiano a 10 anni e l'omologo tedesco, si è nel frattempo ampliato da 135 punti base di gennaio agli attuali 201, con una fiammata a metà giugno in area 240 punti che ha costretto Bce a intervenire: è stato annunciato per luglio uno speciale strumento di politica monetaria anti-frammentazione, ossia di tutela dei bond governativi dei Paesi periferici come il Btp in Italia soggetti a forti vendite da parte dei mercati e quindi di un allargamento pericoloso dello spread che costringe il Tesoro a pagare di più il debito in circolazione. Quanto al mondo digitale, i primi dei mesi dell'anno hanno visto forti vendite su tutte le valute. Il Bitcoin, la cripto più importante, si è più che dimezzata (-54,4%) a 21.130 dollari.

Azioni e bond: il peggior portafoglio da 50 anni. «Per il classico portafoglio 60/40, 60% azioni e 40% bond, che ha caratterizzato le gestioni degli ultimi decenni, è il peggior semestre almeno dal 1976, con un total return del -9,8%, secondo i dati della New York University», osserva Lorenzo Batacchi, portfolio manager di Bper Banca e membro Assiom Forex. Il calcolo è stato fatto da gennaio a fine maggio, ma a giugno la situazione è persino peggiorata: l'S&P 500 è sceso da quota 4.176 a 3.795 di venerdì 24. Il Treasury decennale ha visto il rendimento salire dal 2,9% al 3,1%.

Sempre la New York University racconta che i record negativi negli ultimi 100 anni, ancora da battere, per ora, sono quelli del 1931, con la Grande Depressione, allora il rendimento totale (significa compresi i dividendi) segnò un -27,1%, a seguire il 1937 con un -20,7%. In terza posizione il mercato orso (molto simile a quello attuale, caratterizzato dalla corsa del petrolio e del gas) del 1973-74 con un -14,7%, a seguire il 2008 e il crollo dei mercati finanziari con il fallimento di Lehman Brothers con un -13,9%. Restano ancora quattro giorni di mercato aperto per finire giugno, bisogna vedere se i dati verranno confermati con i listini che viaggiano in piena volatilità.

«Pochi di noi erano già attivi nei mercati finanziari negli anni '70, quando le economie globali sperimentarono uno scenario inflativo simile a quello attuale», spiega Fabio Caldato, partner di Olympia Wealth Management. «Dobbiamo quindi rifarci ai dati estrapolati, più che ad esperienze vissute. Il primo semestre 2022 ha mostrato perdite a doppia cifra di quasi tutti gli asset facilmente investibili: dal Bund tedesco al nostrano Btp, unitamente alle borse, i portafogli degli investitori non hanno saputo trovare rifugio».

In quattro delle cinque precedenti occasioni in cui l'indice americano delle blue chip, l'S&P 500, ha evidenziato «performance disastrose nei primi due trimestri come oggi, si è assistito a un robusto rimbalzo nella seconda parte dell'anno», aggiunge il money manager. «Pare, tuttavia, difficile affidarsi a questa statistica viste le drammatiche condizioni macroeconomiche che persistono», mette in guardia Caldato. «Crediamo che il 2022 a fine anno sarà ancora negativo, ma non disastroso. Le scelte di allocazione dovranno rimanere saggiamente rivolte alla qualità: settoriale in ambito azionario, del merito creditizio su quello obbligazionario», conclude.

L'indice della volatilità raddoppiato, che cosa significa. Uno dei grandi vincitori di questo primo semestre 2022 (alla data del 24 giugno) è il Vix, l'indice della volatilità, passato da quota 16,6 di gennaio all'attuale livello di 28,7, quasi raddoppiando e facendo la felicità di quanti hanno puntato su derivati che replicano questo paniere. I mercati sono molto nervosi, con sessioni di forti vendite seguite da rimbalzi di breve o brevissimo periodo. Secondo gli analisti di Société Générale, che sono andati a guardare i movimenti dei mercati negli ultimi 150 anni, la situazione è particolarmente complessa e l'indice S&P 500 potrebbe registrare un ulteriore caduta del 24% dai livelli attuali, ovvero una contrazione del 40% dal picco di gennaio. A indicare che le borse, con una recessione dietro l'angolo causata dalla politica monetaria restrittiva delle banche centrali che hanno ripreso un deciso movimento al rialzo dei tassi, non hanno ancora toccato i minimi del 2022. Livelli che gli uomini di Société Générale indicano in area 2.900 dell'S&P 500.

La banca francese è arrivata a questo intervallo studiando i dati dei mercati post-crisi dal 1870 a oggi attraverso l'analisi quantitativa. Gli analisti hanno calcolato che rispetto ai valori attuali attorno a 3.790 punti dell'S&P 500, 3.020 dovrebbe rappresentare un livello equo, in linea con la tendenza storica della valutazione di un mercato post-crisi. Potrebbe però ritracciare ulteriormente a 2.900 in caso di un rialzo troppo sostenuto dei tassi.

Il presidente della Federal reserve, Jerome Powell, ha spiegato davanti alla Camera il 22 e 23 giugno che la Fed è impegnata a raffreddare la corsa all'inflazione in maniera «incondizionata». Significa che l'obiettivo principale della Banca centrale è il controllo del costo dei prezzi, ai massimi degli ultimi 40 anni su entrambe le sponde dell'oceano. John Stoltzfus, chief investment strategist di Oppenheimer & Co, va tuttavia in controtendenza e ritiene che l'S&P 500 farà rally nel secondo semestre, chiudendo il 2022 a quota 5.330, il 40% circa sopra i livelli di giovedì 23.

 

Il 2022 verrà ricordato come l'anno delle materie prime, la cui volatilità tra inflazione alle stelle, guerra in Ucraina e recessione ha registrato movimenti a cui non si era più abituati. Sebbene il petrolio sia il mercato maggiormente seguito, i suoi rincari sono stati più contenuti nei primi sei mesi: Wti +38,25% e Brent +41%. «Rialzi determinati dalla minor offerta, a seguito del blocco russo, di un Opec+ che fatica a star dietro a una maggior domanda e con gli impianti di trivellazione globali ancora a -55% dai massimi», sottolinea a Milano Finanza Gabriel Debach, market analyst di eToro. Invece, i distillati hanno visto un maggior rialzo con la benzina statunitense salita del 70,5% (in Italia solo un +7%), ancora di più il gasolio per il riscaldamento (+87%). Inoltre, le maggiori turbolenze legate al gas russo e alla fornitura di gas naturale liquefatto statunitense hanno fatto schizzare il gas naturale Usa di un +76%, mentre quello europeo del +89,5%. Timori sulla fornitura di gas russo, incendio al terminal Freeport in Texas e un'ondata di caldo sono alcuni degli ultimi catalizzatori, precisa Debach. Chi, tuttavia, ha registrato un vero balzo è stato il carbone: +148% per la diversificazione della fornitura energetica con il ritorno alle centrali a carbone per molti dei Paesi europei. Tra i metalli l'oro si è dovuto accontentare di un +1,9%. «La domanda di oro da parte degli investitori è stata ridotta dalla concorrenza, rappresentata dall'aumento dei rendimenti delle obbligazioni decennali statunitensi. Il dollaro forte ha, inoltre, reso il metallo giallo più costoso per i principali acquirenti, come l'India», chiarisce l'esperto di eToro. In effetti, dopo i forti rialzi registrati fino a metà marzo, i principali metalli hanno invertito la rotta, sulla scorta di un deciso rallentamento economico: argento (-7,3%), rame (-12%), acciaio (-6,3%), ferro (-3,4%), alluminio (-11%) e platino (-3,7%). In controtendenza il carbonato di litio, cresciuto del 72%, e il titanio (+95%) complice una domanda da parte di alcuni settori (trasporto e difesa) che continua ad avere un deciso appetito di materie prime. Ma è nel comparto agricolo che si sono visti i maggiori rialzi generalizzati, segno prevalente, dice Debach, di un'inflazione che dal comparto energetico si è spostata a quello alimentare e con le problematiche dei fertilizzanti: soia (+19%), grano (+21%), formaggi (+33%), latte (+31%), aranciata (+15%), caffè (+6%), cotone (+26%), riso (+10%), olio di girasole (+38%), mais (+28%). Maglia nera al legname (-45%), ulteriore spia di un rallentamento del comparto edilizio americano.

Sei mesi di forte volatilità sui mercati valutari con le banche centrali che hanno iniziato ad alzare i tassi per affrontare le pressioni inflazionistiche. «Il biglietto verde ha mostrato una performance molto positiva nel primo semestre sulla scia del cambio di rotta della Fed che in poche riunioni ha portato il costo del denaro nel range 1,50%-1,75%», indica a Milano Finanza Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia. Le monete che sono riuscite ad apprezzarsi rispetto alla divisa statunitense sono ben poche: il peso uruguaiano (+12,3% da inizio anno), il real brasiliano (+7,2%), il peso messicano (+2%) e il rand sudafricano (+0,2%). Tutte rappresentano economie legate al commercio di materie prime (Uruguay: carne, grano, riso e soia; Brasile: soia, metalli ferrosi, zucchero; Messico: petrolio; Sud Africa: minerali e metalli) e le rispettive banche centrali hanno adottato politiche monetarie restrittive, spiega Diodovich. Ma è il rublo ad aver mostrato l'apprezzamento (+37%) più forte rispetto al dollaro. Tuttavia, l'economia russa, a causa delle sanzioni dei paesi occidentali, ha imposto alcune misure per il controllo dei capitali e l'obbligo della conversione obbligatoria degli introiti delle imprese russe in valuta estera, alterando il fair value sui mercati valutari, osserva Diodovich.

Viceversa, la valuta che più ha perso valore rispetto al dollaro è stata la lira turca (-25%), complici le decisioni della banca centrale di Ankara che, sotto le pressioni del presidente Erdogan, ha scelto di fronteggiare l'inflazione non alzando i tassi, ma favorendo la crescita economica. Tra le altre valute deboli lo yen sulla scia delle scelte ultra-accomodanti da parte della Bank of Japan. È invece sull'orlo del collasso il bitcoin che ha perso quasi il 50% a causa del crollo dell'ecosistema Terra-Luna, della decisione dell'exchange Celsius di bloccare i prelievi di criptovalute e della conferma delle potenziali perdite da parte dell'hedge Three Arrows. (riproduzione riservata)