Invesco smonta l'indicatore preferito da Buffett: è impreciso
Invesco smonta l'indicatore preferito da Buffett: è impreciso
Gli economisti di Invesco hanno analizzato l'affidabilità dell'indicatore preferito dall'oracolo di Omaha, il rapporto tra capitalizzazione di mercato statunitense e il pil, ora ai massimi storici al 270%, e lo hanno definito piuttosto "difettoso". Non si può mettere a confronto "le mele con le pere" e non ha senso concentrarsi solo sulla parte azionaria della struttura del capitale e omettere le obbligazioni

di Francesca Gerosa 27/01/2021 15:21

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Invesco smonta l'indicatore di mercato preferito dal leggendario investitore, Warren Buffett, il rapporto tra capitalizzazione di mercato statunitense e pil, che all'inizio di gennaio ha raggiunto il livello più alto in 13 anni, spingendo alcuni osservatori alla conclusione che le azioni statunitensi siano le più sopravvalutate dalla crisi finanziaria globale. Oltre al suo picco subito prima del crollo del 2008, le precedenti occasioni in cui il cosiddetto indicatore Buffett ha raggiunto nuovi massimi includevano la bolla tecnologica del 2000 e la bolla immobiliare del 2006/2007, quando l'indice ha raggiunto il 210% e il 188% del pil degli Stati Uniti, rispettivamente. A seguito di entrambi gli eventi, il mercato azionario statunitense ha sottoperformato consistentemente.

Con l'indice ora ai massimi storici al 270%, gli investitori si chiedono se le azioni statunitensi dovrebbero scendere a livelli di valutazione più normali. Il capo economista di Invesco, John Greenwood, e il senior economist, Adam Burton, hanno analizzato l'affidabilità dell'indicatore per l'analisi dell'andamento del mercato azionario di un paese, in particolare per valutare se il mercato è sopravvalutato o sottovalutato rispetto a una media storica. Ebbene, l'analisi della relazione tra i prezzi delle attività e l'attività economica rivela diversi problemi con questo indicatore.

Il rapporto tra capitalizzazione di mercato e pil misura il valore totale di tutti i titoli quotati in borsa negli Stati Uniti diviso per il prodotto interno lordo degli Stati Uniti. Come forma di multiplo di valutazione prezzo/vendita per un intero paese è certamente un modo semplice per confrontare il valore aggregato di tutte le azioni con la produzione totale di un paese. Tuttavia, secondo gli economisti di Invesco, è anche piuttosto rozzo e difettoso in diversi modi.

In primo luogo molte azioni quotate negli Stati Uniti sono in realtà società globali che generano ricavi e profitti non solo a livello nazionale, ma in tutto il mondo. "Qualsiasi confronto, quindi, tra la capitalizzazione di mercato delle azioni statunitensi e il pil nominale degli Stati Uniti sta mettendo a confronto le mele con le pere", hanno sottolineato i due autori. In secondo luogo, ci si chiede se abbia senso concentrarsi solo sulla parte azionaria della struttura del capitale e omettere altre forme di attività finanziarie come obbligazioni o prestiti. Attualmente, tassi di interesse e rendimenti obbligazionari estremamente bassi spingono gli investitori a preferire azioni o liquidità. Secondo gli economisti di Invesco, sarebbe quindi più appropriato confrontare i valori delle attività totali, e non solo i valori delle azioni aziendali, con il pil nominale.

Gli investitori devono comprendere due concetti per capire il legame tra il valore totale delle attività e il reddito nominale. In primo luogo, le famiglie e le aziende tendono a detenere più denaro rispetto al reddito man mano che l'economia cresce e si arricchiscono. Di conseguenza, la curva che rappresenta il rapporto tra i valori delle attività totali e il reddito nominale è inclinata positivamente, hanno spiegato gli economisti di di Invesco. In secondo luogo, c'è un legame molto forte tra l'aggregato monetario ampio e il valore totale di tutte le attività, con dati storici che mostrano che gli attori del mercato desiderano mantenere una quantità abbastanza stabile di moneta generale all'interno dei loro portafogli totali. "Questa relazione stabile ha subito cambiamenti nei sistemi monetari, episodi inflazionistici, bolle dei prezzi delle attività e crisi finanziarie", hanno osservato.

Secondo Greenwood e Burton, il corollario di questi due concetti monetari è, quindi, che ci si dovrebbe aspettare che il valore totale delle attività aumenti rispetto al reddito nel medio-lungo termine. La loro analisi conferma questa ipotesi, mostrando che la moneta in generale e il totale delle attività crescono all'incirca allo stesso tasso, mentre il pil nominale e gli utili aziendali crescono anch'essi a tassi simili, ma inferiori. Negli Stati Uniti il valore della moneta in senso lato e del totale delle attività sono cresciuti a tassi annualizzati del 7,2% e del 7,1%, rispettivamente, dal 1950, mentre il pil nominale e i profitti aziendali sono cresciuti entrambi a un tasso annualizzato del 6,3% durante questo periodo.

"Il denaro cresce rispetto al reddito in tutte le principali economie, ma il rapporto tra denaro e attività totali rimane abbastanza stabile", hanno sintetizzato gli economisti di Invesco. "I valori delle azioni possono variare come quota del patrimonio totale a seconda della situazione finanziaria, ma il reddito nazionale non è il confronto appropriato per i valori del mercato azionario. Pertanto, l'indicatore di Buffett è uno strumento di valutazione impreciso che implica falsamente che le valutazioni delle attività tornino a un rapporto medio con il pil nominale mentre, in realtà, aumentano chiaramente nel tempo". (riproduzione riservata)